Riportiamo di seguito il testo del discorso rivolto da papa Francesco ai partecipanti alla 68esima Settimana Liturgica Nazionale, ricevuti oggi, giovedì 24 agosto 2017, in Udienza in Vaticano in occasione dei 70 anni di fondazione del “Centro di Azione Liturgica”.
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Do il benvenuto a tutti voi e ringrazio il Presidente, Sua Eccellenza Mons. Claudio Maniago, per le parole con cui ha presentato questa Settimana Liturgica Nazionale, a 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica.
Questo arco di tempo è un periodo in cui, nella storia della Chiesa e, in particolare, nella storia della liturgia, sono accaduti eventi sostanziali e non superficiali. Come non si potrà dimenticare il Concilio Vaticano II, così sarà ricordata la riforma liturgica che ne è sgorgata.
Sono due eventi direttamente legati, il Concilio e la riforma, non fioriti improvvisamente ma a lungo preparati. Lo testimonia quello che fu chiamato movimento liturgico, e le risposte date dai Sommi Pontefici ai disagi percepiti nella preghiera ecclesiale; quando si avverte un bisogno, anche se non è immediata la soluzione, c’è la necessità di mettersi in moto.
Penso a san Pio X che dispose un riordino della musica sacra[1] e il ripristino celebrativo della domenica,[2] ed istituì una commissione per la riforma generale della liturgia, consapevole che ciò avrebbe comportato «un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò – come egli stesso riconosceva – è necessario che passino molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico […] riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come ripulito dallo squallore dell’invecchiamento».[3]
Il progetto riformatore fu ripreso da Pio XII con l’Enciclica Mediator Dei[4] e l’istituzione di una commissione di studio;[5] anch’egli prese decisioni concrete circa la versione del Salterio,[6] l’attenuazione del digiuno eucaristico, l’uso della lingua viva nel Rituale, l’importante riforma della Veglia Pasquale e della Settimana Santa.[7] Da questo impulso, sull’esempio di altre Nazioni, sorse in Italia il Centro di Azione Liturgica, guidato da Vescovi solleciti del popolo loro affidato e animato da studiosi che amavano la Chiesa oltre che la pastorale liturgica.
Il Concilio Vaticano II fece poi maturare, come buon frutto dall’albero della Chiesa, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza di un rinnovamento: si desiderava una liturgia viva per una Chiesa tutta vivificata dai misteri celebrati. Si trattava di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera, avendo premura «affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente» (SC, 48). Lo ricordava il Beato Paolo VI nello spiegare i primi passi della riforma annunciata: «E’ bene che si avverta come sia proprio l’autorità della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale […]; e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola di preghiera, che sta per cominciare».[8]
La direzione tracciata dal Concilio trovò forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e del legittimo progresso (cfr SC, 23), [9] nei libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI, ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio, e ormai da quasi 50 anni universalmente in uso nel Rito Romano. L’applicazione pratica, guidata dalle Conferenze Episcopali per i rispettivi Paesi, è ancora in atto, poiché non basta riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità. I libri riformati a norma dei decreti del Vaticano II hanno innestato un processo che richiede tempo, ricezione fedele, obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che partecipano alla liturgia. In verità, lo sappiamo, l’educazione liturgica di Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo. Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva ai Cardinali riuniti in Concistoro: «E’ venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio».[10]
E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile.
Il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani, sulla cui responsabilità e autorità conto molto nel momento presente; sono coinvolti anche gli organismi nazionali e diocesani di pastorale liturgica, gli Istituti di formazione e i Seminari. In questo ambito formativo si è distinto, in Italia, il Centro di Azione Liturgica con le sue iniziative, tra cui l’annuale Settimana Liturgica.
Dopo aver ripercorso con la memoria questo cammino, vorrei adesso toccare alcuni aspetti alla luce del tema su cui avete riflettuto in questi giorni, cioè: “Una Liturgia viva per una Chiesa viva”.
– La liturgia è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio pasquale I). Senza la presenza reale del mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità liturgica. Come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica. Ciò che definisce la liturgia è infatti l’attuazione, nei santi segni, del sacerdozio di Gesù Cristo, ossia l’offerta della sua vita fino a stendere le braccia sulla croce, sacerdozio reso presente in modo costante attraverso i riti e le preghiere, massimamente nel suo Corpo e Sangue, ma anche nella persona del sacerdote, nella proclamazione della Parola di Dio, nell’assemblea radunata in preghiera nel suo nome (cfr SC, 7). Tra i segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo pietra viva, scartata dagli uomini ma divenuta pietra d’angolo dell’edificio spirituale in cui viene offerto al Dio vivente il culto in spirito e verità (cfr 1 Pt 2,4; Ef 2,20). Perciò l’altare, centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione,[11] viene dedicato, unto con il crisma, incensato, baciato, venerato: verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso;[12] sopra l’altare viene posta l’offerta della Chiesa che lo Spirito consacra sacramento del sacrificio di Cristo; dall’altare ci sono elargiti il pane della vita e il calice della salvezza «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera eucaristica III).
– La liturgia è vita per l’intero popolo della Chiesa.[13] Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo – come insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma anche del popolo. Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio stesso compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che fluisce dai santi segni. La Chiesa in preghiera raccoglie tutti coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo, senza scartare nessuno: sono convocati piccoli e grandi, ricchi e poveri, fanciulli e anziani, sani e malati, giusti e peccatori. Ad immagine della “moltitudine immensa” che celebra la liturgia nel santuario del cielo (cfr Ap 7,9), l’assemblea liturgica supera, in Cristo, ogni confine di età, razza, lingua e nazione. La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: «L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio».[14] Non dobbiamo dimenticare, dunque, che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare, da valorizzare e incoraggiare in armonia con la liturgia.[15]
– La liturgia è vita e non un’idea da capire. Porta infatti a vivere un’esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi, e non ad arricchire il proprio bagaglio di idee su Dio. Il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».[16] Le riflessioni spirituali sono una cosa diversa dalla liturgia, la quale «è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero».[17] C’è una bella differenza tra dire che esiste Dio e sentire che Dio ci ama, così come siamo, adesso e qui. Nella preghiera liturgica sperimentiamo la comunione significata non da un pensiero astratto ma da un’azione che ha per agenti Dio e noi, Cristo e la Chiesa.[18] I riti e le preghiere (cfr SC, 48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano pertanto una scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù. Ciò è in linea con la catechesi mistagogica praticata dai Padri, ripresa anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta della liturgia, dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti alla luce dei testi e dei riti degli odierni libri liturgici.
La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile. Perciò, celebrando i santi misteri ricorda Maria, la Vergine del Magnificat, contemplando in lei «come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere» (SC, 103).
Infine, non possiamo dimenticare che la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano, che, pur essendo il più esteso, non è il solo. L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con Cristo e in Cristo, a gloria del Padre e per la salvezza del mondo.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio i responsabili del Centro di Azione Liturgica a proseguire tenendo fede all’ispirazione originale, quella di servire la preghiera del popolo santo di Dio. Infatti, il Centro di Azione Liturgica si è sempre distinto per la cura prestata alla pastorale liturgica, nella fedeltà alle indicazioni della Sede Apostolica come dei Vescovi e godendo del loro supporto. La lunga esperienza delle Settimane Liturgiche, tenutesi in numerose diocesi d’Italia, insieme alla rivista “Liturgia”, ha aiutato a calare il rinnovamento liturgico nella vita delle parrocchie, dei seminari e delle comunità religiose. La fatica non è mancata, ma neppure la gioia! E’ ancora questo l’impegno che vi chiedo oggi: aiutare i ministri ordinati, come gli altri ministri, i cantori, gli artisti, i musicisti, a cooperare affinché la liturgia sia “fonte e culmine della vitalità della Chiesa” (cfr SC, 10). Vi chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
*
NOTE
[1] Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903: ASS 36 (1904), 329-339.
[2] Cfr Cost. ap. Divino afflatu, 1 novembre 1911: AAS 3 (1911), 633-638.
[3] Motu proprio Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913) 449-450.
[4] 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) 521-600.
[5] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica, 71, “Memoria sulla riforma liturgica” (1946).
[6] Cfr Pio XII, Motu proprio In cotidianis precibus, 24 marzo 1945: AAS 37 (1945) 65-67.
[7] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Decretum Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio 1951: AAS 43 (1951) 128-129; Id., Decretum Maxima Redemptionis, 16 novembre 1955: AAS 47 (1955) 838-841.
[8] Udienza generale del 13 gennaio 1965.
[9] «La riforma dei riti e dei libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della costituzione Sacrosanctum Concilium e fu attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr Sacrosanctum Concilium, 25). Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr ibid., 23); perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale “ad normam Sanctorum Patrum” (cfr ibid., 50; Institutio generalis Missalis Romani, Prooemium, 6)» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4).
[10] «Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa. Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo – pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli – abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio» (Alloc. Gratias ex animo, 27 giugno 1977: Insegnamenti di Paolo VI, XV [1977], 655-656, in italiano 662-663).
[11] Cfr Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299; Rito della dedicazione di un altare, Premesse, nn. 155, 159
[12] «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio).
[13] «Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (SC, 23).
[14] Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8.
[15] Cfr SC, 13; Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 122-126: AAS 105 (2013), 1071-1073.
[16] Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima, Parrocchia romana di Ognissanti, 7 marzo 2015.
[17] Omelia nella Messa a S. Marta, 10 febbraio 2014.
[18] «Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda, nozionistica, ma la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio. […] Nell’Eucaristia c’è tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Lui» (Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8).
Do il benvenuto a tutti voi e ringrazio il Presidente, Sua Eccellenza Mons. Claudio Maniago, per le parole con cui ha presentato questa Settimana Liturgica Nazionale, a 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica.
Questo arco di tempo è un periodo in cui, nella storia della Chiesa e, in particolare, nella storia della liturgia, sono accaduti eventi sostanziali e non superficiali. Come non si potrà dimenticare il Concilio Vaticano II, così sarà ricordata la riforma liturgica che ne è sgorgata.
Sono due eventi direttamente legati, il Concilio e la riforma, non fioriti improvvisamente ma a lungo preparati. Lo testimonia quello che fu chiamato movimento liturgico, e le risposte date dai Sommi Pontefici ai disagi percepiti nella preghiera ecclesiale; quando si avverte un bisogno, anche se non è immediata la soluzione, c’è la necessità di mettersi in moto.
Penso a san Pio X che dispose un riordino della musica sacra[1] e il ripristino celebrativo della domenica,[2] ed istituì una commissione per la riforma generale della liturgia, consapevole che ciò avrebbe comportato «un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò – come egli stesso riconosceva – è necessario che passino molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico […] riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come ripulito dallo squallore dell’invecchiamento».[3]
Il progetto riformatore fu ripreso da Pio XII con l’Enciclica Mediator Dei[4] e l’istituzione di una commissione di studio;[5] anch’egli prese decisioni concrete circa la versione del Salterio,[6] l’attenuazione del digiuno eucaristico, l’uso della lingua viva nel Rituale, l’importante riforma della Veglia Pasquale e della Settimana Santa.[7] Da questo impulso, sull’esempio di altre Nazioni, sorse in Italia il Centro di Azione Liturgica, guidato da Vescovi solleciti del popolo loro affidato e animato da studiosi che amavano la Chiesa oltre che la pastorale liturgica.
Il Concilio Vaticano II fece poi maturare, come buon frutto dall’albero della Chiesa, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza di un rinnovamento: si desiderava una liturgia viva per una Chiesa tutta vivificata dai misteri celebrati. Si trattava di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera, avendo premura «affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente» (SC, 48). Lo ricordava il Beato Paolo VI nello spiegare i primi passi della riforma annunciata: «E’ bene che si avverta come sia proprio l’autorità della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale […]; e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola di preghiera, che sta per cominciare».[8]
La direzione tracciata dal Concilio trovò forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e del legittimo progresso (cfr SC, 23), [9] nei libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI, ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio, e ormai da quasi 50 anni universalmente in uso nel Rito Romano. L’applicazione pratica, guidata dalle Conferenze Episcopali per i rispettivi Paesi, è ancora in atto, poiché non basta riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità. I libri riformati a norma dei decreti del Vaticano II hanno innestato un processo che richiede tempo, ricezione fedele, obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che partecipano alla liturgia. In verità, lo sappiamo, l’educazione liturgica di Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo. Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva ai Cardinali riuniti in Concistoro: «E’ venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio».[10]
E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile.
Il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani, sulla cui responsabilità e autorità conto molto nel momento presente; sono coinvolti anche gli organismi nazionali e diocesani di pastorale liturgica, gli Istituti di formazione e i Seminari. In questo ambito formativo si è distinto, in Italia, il Centro di Azione Liturgica con le sue iniziative, tra cui l’annuale Settimana Liturgica.
Dopo aver ripercorso con la memoria questo cammino, vorrei adesso toccare alcuni aspetti alla luce del tema su cui avete riflettuto in questi giorni, cioè: “Una Liturgia viva per una Chiesa viva”.
– La liturgia è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio pasquale I). Senza la presenza reale del mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità liturgica. Come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica. Ciò che definisce la liturgia è infatti l’attuazione, nei santi segni, del sacerdozio di Gesù Cristo, ossia l’offerta della sua vita fino a stendere le braccia sulla croce, sacerdozio reso presente in modo costante attraverso i riti e le preghiere, massimamente nel suo Corpo e Sangue, ma anche nella persona del sacerdote, nella proclamazione della Parola di Dio, nell’assemblea radunata in preghiera nel suo nome (cfr SC, 7). Tra i segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo pietra viva, scartata dagli uomini ma divenuta pietra d’angolo dell’edificio spirituale in cui viene offerto al Dio vivente il culto in spirito e verità (cfr 1 Pt 2,4; Ef 2,20). Perciò l’altare, centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione,[11] viene dedicato, unto con il crisma, incensato, baciato, venerato: verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso;[12] sopra l’altare viene posta l’offerta della Chiesa che lo Spirito consacra sacramento del sacrificio di Cristo; dall’altare ci sono elargiti il pane della vita e il calice della salvezza «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera eucaristica III).
– La liturgia è vita per l’intero popolo della Chiesa.[13] Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo – come insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma anche del popolo. Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio stesso compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che fluisce dai santi segni. La Chiesa in preghiera raccoglie tutti coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo, senza scartare nessuno: sono convocati piccoli e grandi, ricchi e poveri, fanciulli e anziani, sani e malati, giusti e peccatori. Ad immagine della “moltitudine immensa” che celebra la liturgia nel santuario del cielo (cfr Ap 7,9), l’assemblea liturgica supera, in Cristo, ogni confine di età, razza, lingua e nazione. La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: «L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio».[14] Non dobbiamo dimenticare, dunque, che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare, da valorizzare e incoraggiare in armonia con la liturgia.[15]
– La liturgia è vita e non un’idea da capire. Porta infatti a vivere un’esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi, e non ad arricchire il proprio bagaglio di idee su Dio. Il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».[16] Le riflessioni spirituali sono una cosa diversa dalla liturgia, la quale «è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero».[17] C’è una bella differenza tra dire che esiste Dio e sentire che Dio ci ama, così come siamo, adesso e qui. Nella preghiera liturgica sperimentiamo la comunione significata non da un pensiero astratto ma da un’azione che ha per agenti Dio e noi, Cristo e la Chiesa.[18] I riti e le preghiere (cfr SC, 48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano pertanto una scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù. Ciò è in linea con la catechesi mistagogica praticata dai Padri, ripresa anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta della liturgia, dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti alla luce dei testi e dei riti degli odierni libri liturgici.
La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile. Perciò, celebrando i santi misteri ricorda Maria, la Vergine del Magnificat, contemplando in lei «come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere» (SC, 103).
Infine, non possiamo dimenticare che la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano, che, pur essendo il più esteso, non è il solo. L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con Cristo e in Cristo, a gloria del Padre e per la salvezza del mondo.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio i responsabili del Centro di Azione Liturgica a proseguire tenendo fede all’ispirazione originale, quella di servire la preghiera del popolo santo di Dio. Infatti, il Centro di Azione Liturgica si è sempre distinto per la cura prestata alla pastorale liturgica, nella fedeltà alle indicazioni della Sede Apostolica come dei Vescovi e godendo del loro supporto. La lunga esperienza delle Settimane Liturgiche, tenutesi in numerose diocesi d’Italia, insieme alla rivista “Liturgia”, ha aiutato a calare il rinnovamento liturgico nella vita delle parrocchie, dei seminari e delle comunità religiose. La fatica non è mancata, ma neppure la gioia! E’ ancora questo l’impegno che vi chiedo oggi: aiutare i ministri ordinati, come gli altri ministri, i cantori, gli artisti, i musicisti, a cooperare affinché la liturgia sia “fonte e culmine della vitalità della Chiesa” (cfr SC, 10). Vi chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
*
NOTE
[1] Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903: ASS 36 (1904), 329-339.
[2] Cfr Cost. ap. Divino afflatu, 1 novembre 1911: AAS 3 (1911), 633-638.
[3] Motu proprio Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913) 449-450.
[4] 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) 521-600.
[5] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica, 71, “Memoria sulla riforma liturgica” (1946).
[6] Cfr Pio XII, Motu proprio In cotidianis precibus, 24 marzo 1945: AAS 37 (1945) 65-67.
[7] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Decretum Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio 1951: AAS 43 (1951) 128-129; Id., Decretum Maxima Redemptionis, 16 novembre 1955: AAS 47 (1955) 838-841.
[8] Udienza generale del 13 gennaio 1965.
[9] «La riforma dei riti e dei libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della costituzione Sacrosanctum Concilium e fu attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr Sacrosanctum Concilium, 25). Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr ibid., 23); perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale “ad normam Sanctorum Patrum” (cfr ibid., 50; Institutio generalis Missalis Romani, Prooemium, 6)» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4).
[10] «Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa. Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo – pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli – abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio» (Alloc. Gratias ex animo, 27 giugno 1977: Insegnamenti di Paolo VI, XV [1977], 655-656, in italiano 662-663).
[11] Cfr Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299; Rito della dedicazione di un altare, Premesse, nn. 155, 159
[12] «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio).
[13] «Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (SC, 23).
[14] Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8.
[15] Cfr SC, 13; Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 122-126: AAS 105 (2013), 1071-1073.
[16] Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima, Parrocchia romana di Ognissanti, 7 marzo 2015.
[17] Omelia nella Messa a S. Marta, 10 febbraio 2014.
[18] «Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda, nozionistica, ma la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio. […] Nell’Eucaristia c’è tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Lui» (Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8).
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