“Con l’auguro di fare esperienza del fatto che la preghiera è il dialogo con Dio che salva.”
Rito Romano
XX Domenica del Tempo Ordinario – 20 agosto 2017
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-2
Rito Ambrosiano
1Re 19, 8b-16. 18a-b; Sal 17; 2Cor 12, 2-10b; Mt 10, 16-20
Domenica XI dopo Pentecoste
Un grido che ottiene la salvezza
1) Il grido della fede per invocare un dono non per pretenderlo.
Domenica scorsa, abbiamo meditato sulla preghiera filiale di Cristo, che esprime la sua esigenza di stare con il Padre, e sulla preghiera di Pietro che per stare con Cristo gli grida: “Signore, salvami”. Il Vangelo di oggi ci fa ascoltare il grido di una donna pagana che – in modo supplice e fiducioso – si rivolge al Messia dicendo: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Questa donna implora Cristo di liberare sua figlia dal demonio. Chiede umilmente al Signore di compiere un miracolo, ma non esige l’intervento divino come un diritto, lo aspetta come un dono. Lo domanda a Colui che è dono, riconoscendo in lui il Signore e Messia. La sua fede è tutta racchiusa nell’espressione: “Pietà di me, Signore, Figlio di Davide”.
Ancora una volta la Liturgia ci fa contemplare il “Vangelo della Grazia” che risponde al desiderio di salvezza e per questo ci fa pregare: “Infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio” (Colletta).
Pregando in questo modo ci mettiamo nell’orizzonte sconfinato dell’amore di Dio per noi, amore che ci attira a Lui per colmarci di gioia.
L’episodio raccontato dal Vangelo di oggi s’inserisce e si comprende in questa logica dell’amore tenero ed infinito di Dio. In esso San Matteo ci racconta di un incontro che si svolge “in terra straniera” con una donna pagana, che è una madre oppressa da un dolore angosciante (“Mia figlia è molto tormentata da un demonio”). Questa madre ottenne quello che domandava. Il racconto evangelico di oggi ci racconta la storia di un dolore aperto alla fede e di una fede diventata miracolo e liberazione.
La donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere esaudita. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell’apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: “Non le rivolse neppure la parola”. Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna.
Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente presa di distanza di Gesù, che dice: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (Mt 15, 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza – “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15, 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande di questa madre e le dice: “Avvenga per te come desideri” (Mt 15, 28) e a partire da quell’istante sua figlia fu guarita.
2) Domanda perseverante a chi ci ama.
La guarigione di una giovane donna non è il solo miracolo di cui parla il Vangelo oggi. Durante il dialogo tra Cristo e la donna Cananea, che mendica una grazia, è avvenuto un altro miracolo più grande della guarigione di sua figlia. Questa madre è diventata una “credente”, una delle prime credenti provenienti dal paganesimo.
Se il Messia l’avesse ascoltata alla prima richiesta, tutto quello che questa donna avrebbe conseguito sarebbe stata la liberazione della figlia. La vita sarebbe trascorsa con qualche fastidio in meno. Ma tutto sarebbe finito lì e, alla fine, madre e figlia sarebbero morte nell’anonimato. Invece così si parlerà di questa anonima donna pagana fino alla fine del mondo. E, forse, Gesù ha preso lo spunto proprio da questo incontro per proporre la parabola della vedova importuna sulla “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”.
Nell’insistenza della donna cananea traspare la fiducia nel potere di Gesù. Lui cercava di starsene nascosto, ma la fama che lo accompagnava gli impediva un solo istante di tregua. Lui era lì per lei (e oggi Lui è qui per noi). E lei lo aveva capito. La sua presenza in quel territorio non ebreo, “nella zona di Tiro e di Sidone”, non poteva essere il frutto di un caso. Aveva intuito il tempo favorevole per la salvezza della figlia. Questa certezza la muove, la spinge sino a Gesù. La certezza della fede piena di speranza la getta ai piedi di Cristo che dice: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Sì, questa donna ha una fede grandissima. “Pur non conoscendo né gli antichi profeti, né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti né le sue promesse, anzi, respinta da lui, persevera nella sua domanda e non si stanca di bussare alla porta di colui che per fama gli era stato indicato come salvatore. Perciò la sua preghiera viene esaudita in modo visibile e immediato” (San Beda il Venerabile, Omelie sui Vangeli I, 22 : PL 94, 102-105).
La preghiera insistente di questa donna non nasce solamente dalla necessità di ottenere la guarigione della figlia, nasce dalla fede che non è il risultato di una teoria o di un bisogno ma di un incontro con Cristo il Figlio del “Dio vivente che chiama e svela il suo amore” (Papa Francesco, Lumen Fidei, 4), con un gesto di misericordia.
Inoltre, l’episodio, sul quale stiamo meditando, ci fa capire che nella preghiera di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che noi chiediamo, ma affidarci piuttosto a cuore di Cristo, cercando di interpretare le vicende della nostra vita nella prospettiva del suo disegno di amore, spesso misterioso ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre, è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Lui.
Un exemple clair de cette attitude est offert par les vierges consacrées, qui sont appelés à vivre d’une manière particulière le « service de la prière », comme il a été dit au cours du Rite de la Consécration, quand l’eveque leur consigne le Livre d’Heures.
En outre, avec le don complet de soi-même au Christ, ces femmes montrent comment demander, comment prier: avant que le don (=grâce ) soit accordée, elles adhèrent à Jésus, qui, dans ses dons il donne soi-même donne. Le Donateur est plus précieux que le don; Il est le « trésor inestimable », la « perle précieuse »; le don du miracle est donné “en plus” (cf. Mt 6,21 et 6,33).
Un esempio chiaro di questo atteggiamento è offerto dalla vergini consacrate, che sono chiamate a vivere in modo particolare il “servizio della preghiera”, come è detto durante il Rito di Consacrazione, quando viene consegnato loro il Libro delle Ore.
Inoltre con la piena donazione di sè stesse a Cristo, queste donne testimoniano che come chiedere, come pregare: prima che il dono (=grazia) sia concesso, esse aderiscono a Gesù, che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro inestimabile”, la “Perla preziosa”; il dono del miracolo è concesso “in aggiunta” (cfr Mt 6,21 e 6,33).
Queste consacrate testimoniano una cosa molto importante: prima che il dono venga concesso, è necessario aderire a Colui che dona: il donatore è più prezioso del dono. Anche per noi, quindi, al di là di ciò che Dio ci da quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre.
Non dimentichiamo infine il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo che deve entrare anche nella nostra preghiera. La nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore Gesù ci conceda di essere capaci di una preghiera perseverante e intensa, per rafforzare il nostro rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi ci sta accanto e sentire la bellezza di essere “figli nel Figlio” insieme con tante sorelle e fratelli.
Lettura Patristica
Erma (II secolo)
Il Pastore, Precetto IX
Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .
Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.
Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.
Guardati dal dubbio! È sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.
Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.
L'arcivescovo Francesco Follo, 2016 © Cortesia della Missione della Santa Sede presso l'UNESCO
Un grido che ottiene la salvezza, di Mons. Francesco Follo
La preghiera è il dialogo con Dio che salva