L’Osservatore Romano in italiano del 10 agosto 2017 ha pubblicato questi ampi stralci della relazione, sul tema «Totalmente altro», che il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, ha tenuto l’8 agosto a Ponte di Legno, in provincia di Brescia, nel corso della seconda giornata della manifestazione «Tonalestate» intitolata Il barbaro. Fatti non foste a viver come bruti, dedicata al tema della ragione.
Tra i partecipanti, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, e il già rabbino capo di Firenze, Joseph Levi.
Il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha indirizzato un telegramma del 19 di Luglio 2017, alla Dott.ssa Paola Azzali, presidente dell’Associazione Tolanestate in occasione di questo incontro dei 7-10 agosto 2017 sul tema “Il Barbaro”. Invita a “valorizzare al meglio quanto la ragione è in grado di offrire”.
La ragione rifiuta violenze e barbarie
di Dalil Boubakeur
«La vita è solo un’ombra che passa», diceva Shakespeare attraverso il suo Macbeth. Prosegue affermando che «il mondo intero è un palcoscenico, durante la nostra vita recitiamo molti ruoli di un racconto che non ha senso». Spinoza stemperò questo punto di vista pessimista ricollocando il destino dell’uomo in una prospettiva storica, confidandogli il compito di espandere la propria visione di se stesso non tanto in rapporto a sé, ma dal punto di vista dell’eternità.
Quando Newton dimostrò che le stesse leggi reggono tutto l’universo e che l’uomo ne è totalmente sottomesso, si sostituí la concezione antropocentrica dell’universo con un approccio universalista proveniente direttamente dall’eliocentrismo, implicando dunque l’esistenza di un solo Dio, di una sola natura e di una sola sostanza. Tutto ciò che è di ordine fisico o spirituale è della stessa natura e proviene da una fonte unica, cioé un Dio infinito che ha concepito l’infinità delle cose.
L’uomo che desidera liberarsi da queste catene è dunque irragionevole? È condannato forse a restare ancorato all’abitudine, alle convenzioni o alla sottomissione? Non ha forse il diritto di esprimere la sua stanchezza, la sua rivolta o anche la sua violenza? La teologia non ha forse stabilito che gli annunciatori di Dio hanno provocato reazioni violente, persecuzioni e martiri di una grande crudeltà? Attraverso la sua sofferenza, il Cristo non ha forse dato l’esempio di un amore infinito per il mondo, con il solo scopo di salvarlo? Dopo tante persecuzioni e minacce di morte, il profeta dell’islam non andò forse dai suoi nemici alla Mecca perdonandoli per conquistare il loro cuore? Quando Abramo ricevette, al posto del suo amato figlio, l’ariete che lo sostituiva per essere sacrificato, non mostra forse che l’amore di Dio e la sua pietà sono superiori alla sua legge?
La ragione rifiuta l’immanenza della violenza e della barbarie. Nella religione, l’atto sacrificale diventa una violenza protettrice con obiettivi soteriologici e risolutori. La violenza sacrificale del martirio di Cristo aveva anch’essa un valore soteriologico la cui portata non fu quella di salvare una tribù, ma tutta l’umanità dal peccato originale. Si chiamano cristiani tutti coloro che attraverso la loro fede vogliono essere salvati da Gesù Cristo. Ma, secondo noi musulmani, Dio ha perdonato Adamo ed Eva quando si sono incontrati sul monte Arafat. Ha solo imposto loro di vivere del sudore della loro fronte, di partorire nel dolore e di non poter ritornare in Paradiso se non per merito.
«Nell’isolamento di Dio, io guardo salire verso di me, in mezzo a villani angeli che escono dalle brume e dalla morte, la moltitudine dei dannati del giudizio universale. Si alzano lentamente. Il primo di loro ha un volto perso nel quale leggo la tristezza. Esprime una grande disperazione ma nessuno lo può assolvere né salvare», scrive Albert Camus ne La caduta. Questa immagine dell’essere ridotti a derelitti, promessa alla condizione umana abbandonata da Dio, genera una violenza barbara. L’assurdo di Camus incatena l’uomo a un destino insensato e tragico. «L’uomo è un angelo caduto che si ricorda del cielo», dice il poeta Alfred de Musset.
L’essere veramente derelitti coincide con l’assenza di ogni possibile luce o speranza, essa impedisce un pensiero coerente, razionale o giusto. Il mio amico il Dalai Lama ci confidava, in occasione della sua visita alla Grande moschea di Parigi nel 1994, che lo scopo dell’educazione del monaco buddista è di acquistare un pensiero giusto che generi una parola giusta e, nella sua continuità, un’azione anch’essa ragionevolmente giusta, poiché solo il giusto è amato da Dio.
Il Corano ricorda che gli uomini sono legati a un patto precedente la loro nascita, che impegna la comunità umana a comportarsi in modo giusto. «E così facemmo di voi una comunità di giusti affinché siate testimoni degli uomini» (sura ii, versetto 143).
L’assenza di fede è l’essenza dell’essere derelitti. Lo spirito deviato che rifiuta la luce della ragione è una caratteristica della barbarie che ci immerge nell’assurdo, nel non senso e nell’assenza della grazia salvatrice del mondo. È nel nostro inconscio che si trova l’origine delle pulsioni che distolgono la nostra ragione dalle chiarezze del bene, della morale e di ció che è salvifico. L’isteria non è, in fondo, che lo stato estremo di una sregolatezza che sfocia nella barbarie e che è il risultato di un’abile manipolazione condotta scaltramente. Attualmente essa è orchestrata dallo stato islamico, il quale sbandiera davanti alle sue vittime lo spettro del diventare dei derelitti per meglio asservirle alla sua causa. Non avete notato che i terroristi soffrono di questa condizione di isteria? Uno stato d’animo estremo che acceca, spazza via e distrugge tutto, compreso lo stesso autore?
Il filosofo Alain constata che nessuno può dire quello che pensa o pensare ciò che dice, poiché il pensiero e la parola non sono della stessa natura. Se il pensiero è in stretto accordo con il mondo sensibile, la parola al contrario risulta da meccanismi che sfuggono alla volontà e alla ragione. A titolo d’esempio, i lapsus mostrano i limiti del parallelismo tra la parola e il pensiero. Si tratta di atti mancati, tanto rivelatori per Lacan. Cartesio, che deplora questi stessi limiti nell’espressione, instaura il dubbio metodico attraverso una riflessione tratta dal Discorso sul metodo: «Se io dubito di tutto, è certo che dubito. Ma dubitare vuol dire pensare. Per cui è certo che io penso, dunque esisto».
L’islam accorda un’importanza preponderante alla trascendenza dell’inconoscibile e di Dio. Nell’islam e nell’ebraismo, che sono molto vicini in questo aspetto, lo stesso nome di Dio è sconosciuto, inconoscibile; esso appartiene al campo del ghayb, “lo sconosciuto”.
«Alif, Lâm, Mîm, ecco il Libro su cui non ci sono dubbi, una guida per i timorati, per coloro che credono nell’invisibile» (Corano, sura ii, versetto 1). Nell’invisibile, cioè al mistero, fortemente presente in ognuna delle tre religioni monoteiste. Nietzsche diceva che è per ignoranza che noi siamo soggetti alla ragione. Fede e ragione sono inscindibilmente legate e necessarie per comprendere un universo le cui chiavi non sono concesse in anticipo per decriptare l’uomo. Una civiltà ha la stessa fragilità di una vita. Quanto è attuale oggi la riflessione sul “barbaro”. Ormai il rischio non riguarda più soltanto una civiltà, ma l’esistenza dell’umanità tutta.
Alla fine ci uniremo? Useremo le vie dello spirito e del cuore per farci padroni delle macchine? Cesseremo di soccombere alle norme del tempo presente, mondializzazione, nomadizzazione, norme sociali, decoro borghese o proletario?
È rompendo le norme che dei pittori come Picasso, Cézanne e Dalí ci hanno portato alle porte dell’arte moderna. Dei poeti come Apollinaire (I calligrammi), degli scultori come Calder (che ha rinnovato le sue sculture creando i mobiles, opere mobili e animate), dei pensatori come Galileo, dei sapienti come Fibonacci, degli architetti, dei musicisti, degli artisti, dei visionari, tutti loro hanno rivoluzionato la loro epoca e a tutti loro è stato affibbiato il nome di barbari prima di entrare nella storia. Occorrono traghettatori e non affossatori. Abbiamo bisogno di luci nuove per aiutarci a scacciare l’oscuro e l’oscurantismo. O di un barbaro insubordinato.
© L’Osservatore Romano – 10/08/2017