Con le parabole di questa domenica il Signore ci svela una di quelle “cose” riservate ai “piccoli” e nascoste agli “intelligenti e ai sapienti”. Così, “aprendo la bocca in parabole”, il Signore “tira fuori cose nascoste” alla sapienza del mondo “sin dalla sua fondazione”.
A tutti parla in “parabole”, offrendo la possibilità di riconoscere la propria cecità e sordità. Ma il mondo, ingannato dal demonio, non accetta la realtà; ha il cuore indurito e non può vedere né ascoltare.
Ma dal mondo Dio ha scelto un resto, “piccolo” come un “granello di senapa”, che avesse però “orecchi per intendere”. Come in principio, quando con la sua Parola ha creato l’universo separando la luce dalle tenebre e le acque dalla terra ferma, così, dopo il peccato di Adamo ed Eva, con la stessa Parola Dio ha dato inizio a una nuova creazione.
Ha chiamato Abramo rivelandosi come l’unico Dio capace di compiere le sue promesse; ha “separato” Israele dagli altri popoli, perché ascoltasse la sua voce e obbedisse i suoi comandi, e divenire così un segno di Lui tra le Nazioni.
Infine, dopo una lunga storia di infedeltà, nella pienezza dei tempi, il Padre ha mandato il suo Figlio, con una carne simile a quella di ogni uomo, perché ogni carne potesse, in Lui, “avere orecchi” per ascoltare e “intendere”.
Per questo, “lasciata la folla”, immagine del mondo, Gesù “entra in casa”, ovvero nell’intimità della comunità cristiana, per “spiegare” ai suoi discepoli le “parabole”. Questa casa “separata” dal mondo, è il “seme bello” (secondo l’originale greco “buono” può voler dire anche “bello”), che Dio ha seminato nel mondo perché esso si salvi.
Proprio perché separata e diversa come la luce dalle tenebre e la terra dalle acque, la Chiesa è il sacramento di Salvezza (cfr. Concilio Vaticano II) offerto da Dio a ogni generazione.
In essa, Gesù stesso educa i suoi discepoli, che significa appunto – secondo l’etimologia del verbo latino ‘e-ducerè – “tirare fuori”, il meglio da ciascuno di loro e dalla comunità. Nella Chiesa, infatti, “compagnia affidabile, siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio” (Benedetto XVI).
Nella Chiesa primitiva coloro che si avviavano a ricevere il battesimo erano chiamati “catecumeni”, che letteralmente significa “istruiti a viva voce”. Nella “casa” i catecumeni ascoltavano la predicazione della Parola di Dio, e, poco a poco, ne sperimentavano il potere nella propria vita.
E’ la Parola, unita ai sacramenti e alla vita fraterna della comunità cristiana, che trasforma il “seme bello” in una “messe fiorita”. La Chiesa, infatti, è “seminata nel mondo” per “splendervi come il sole” separato dalle tenebre del peccato; è immagine della nuova creazione che Dio ha compiuto in Cristo, sole di giustizia per l’umanità.
Per questo essa “è nel mondo ma non è del mondo”. E’ separata, come già lo fu Israele, anticipando così per ogni uomo la “fine del mondo” quando “il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli a raccogliere dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità”.
La Parabola della zizzania illumina dunque la storia del mondo, e, in essa, le vicende della Chiesa, e le tue e le mie. La nostra vita è una profezia che Dio annuncia ad ogni uomo. E di ogni profezia deve esserne verificata l’autenticità. Ciò significa che il mondo deve provare il cuore e la mente dei cristiani, e vedere se quello che annunciano è vero. E’ l’unica possibilità che ha di salvarsi.
Esattamente come accadde a Cristo, nel deserto prima, e sulla Croce poi. Dall’inizio alla fine della sua vita pubblica, in ogni istante della sua missione, è stato messo a dura prova, in un susseguirsi di tentazioni. Accanto a Lui cresceva la “zizzania”, e non ha fatto nulla per estirparla.
Anzi, proprio per essere ghermito dal nemico è venuto nel mondo. Sulla Croce, “stelo cresciuto”, la zizzania ha tentato l’ultimo assalto per soffocare il “frutto” del “seme bello e buono”. Ma quell’amore assoluto, infinito, senza riserve né condizioni, ha svelato la vera natura di quell’erbaccia.
Nelle prime fasi della crescita, infatti, essa assomiglia al grano ed è difficile distinguerla. E’ necessaria la Croce perché sia smascherata. Così è per ciascuno di noi. Nella Chiesa “ascoltiamo” il Signore e impariamo a com-prendere le sue parole, a prendere cioè con noi il suo giogo.
In essa può crescere il seme di vita eterna ricevuto nel battesimo, alimentato dai sacramenti e fortificato attraverso le prove della vita illuminate dalla Parola che ci è predicata e dalla guida dei pastori e dei catechisti. Così, impariamo a discernere il “grano” in mezzo alla “zizzania”, e ad avere pazienza nella sofferenza.
Crocifissi con Cristo, potremo allora entrare nel mondo dove è all’opera il “mistero dell’iniquità” per annunciare il “mistero della salvezza”. Anche oggi ci sarà zizzania nella nostra vita, in famiglia, al lavoro, a scuola.
Saremo tentati di scendere dalla Croce, per estirpare la pianta seminata dal “nemico”. Ma non è questa la volontà di Dio. Essa è per noi la stessa che fu per Gesù: restare nella storia così com’è perché appaia in noi la vittoria sulla morte.
Essere cioè quello che siamo chiamati ad essere, semplicemente. Ascoltare la Parola e lasciare che essa compia in noi la sua opera; la vita divina in noi ci farà assumere il peccato degli altri, senza voler cambiare nulla. Solo così risplenderà la Verità sui rami della Croce sulla quale il Signore si distende con noi. E ogni uomo potrà trovare in essa riposo e salvezza.
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Il grano in mezzo alla zizzania
Commento al Vangelo della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 23 luglio 2017