Rito Romano
2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42
Rito Ambrosiano
Gn 6, 1-22; Sal 13; Gal 5, 16-25; Lc 17. 26-30.33
1) Il primato dell’amore di Cristo – Amare il prossimo in Dio.
L’inizio del Vangelo di oggi: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10, 37) suona incomprensibile, per non dire inumano. Ed anche i due versetti successivi: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 38-39) non sono facilmente comprensibili. Se ragionassimo come gli ebrei e greci di duemila anni fa, considereremmo queste frasi di Cristo folli e scandalose.
Cerchiamo di capirne la sapiente ragionevolezza, tenendo conto di quanto San Paolo afferma: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1 Cor 1, 22-25).
In primo luogo, per avere questa comprensione dobbiamo domandare a Cristo che invii il suo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con la stessa intelligenza e con lo stesso amore, , con il quale Lui l’ha “letta” per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Sacra Scrittura, Cristo aiutò i due discepoli di Emmaus a scorgere la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della Sua condanna e della Sua morte. Così, la croce, che sembrava essere la fine di ogni speranza, è stata finalmente capita da loro come sorgente di vita e di risurrezione.
In secondo luogo, teniamo presente che il Vangelo di oggi ci dice che:
- l’amore verso Gesù deve superare l’amore verso il padre e la madre e verso i figli (Mt 10, 37;
- la croce forma parte della sequela di Gesù (Mt 10, 38);
- occorre perdere la vita per poterla possedere (Mt 10, 39):
- Gesù si identifica con il missionario e con il discepolo (Mt 10, 40-41)
- Il più piccolo dei gesti (per esempio offrire un bicchiere d’acqua) fatto per il più piccolo dei più piccolo ottiene la ricompensa più grande: Cristo stesso.
Alla luce di ciò possiamo capire che l’amore a Cristo non è antagonista dell’amore ai nostri cari. Gesù non chiede tanto di amarli di meno quanto di amarli in Lui.
Per dirla in breve: Cristo dice di non anteporre a Dio ciò che Dio dà. Guardiamo, per esempio, alla testimonianza di Abramo, al quale fu comandato di uccidere il suo unico figlio e tra il figlio e Dio scelse Dio. “Perciò neanche ciò che ti dà il Signore come la cosa più grande, lo devi anteporre a Colui che te l’ha data. E quando Dio te lo vorrà togliere, non ti abbattere, perché Dio occorre amarlo gratuitamente. Quale premio più bello si può ottenere da Dio che lui stesso?” (Sant’Agostino, Discorso 2, 4). E con la sua Alleanza Dio “ridiede” ad Abramo il figlio. In effetti, solo riferiti a Lui i nostri legami e affetti umani trovano fondamento e protezione.
Il Redentore, che sana e santifica l’amore umano, lo eleva nel suo cuore. Dando il primato all’amore di Lui le nostre relazioni sono convertite, guarite e rese vere.
Nella croce pasquale, di morte e di resurrezione, tutto rinasce santamente, anche l’amore fra padre e figlio, fra marito e moglie. Il primato richiesto dal Signore è il principio garante di ogni relazione liberata da ogni deviazione idolatrica: solo Dio è Dio.
2) Il Primato dell’amore di Cristo in famiglia.
Quando il Messia dice che Lui deve essere amato da noi più di nostro padre e di nostra madre, non intende cancellare il quarto comandamento, che è il primo grande comandamento verso le persone [1]. E neppure dobbiamo pensare che, dopo aver compiuto il suo miracolo per gli sposi di Cana, dopo aver consacrato il legame coniugale tra l’uomo e la donna, dopo aver resuscitato il figlio di una vedova e la figlia di un centurione restituendoli alla vita famigliare, il Signore ci chieda di sradicarci da questi affetti.
Anzi, quando il Redentore afferma il primato della fede e dell’amore a Dio, non trova un paragone più significativo degli affetti famigliari.
Il comando di mettere i legami famigliari nell’ambito dell’obbedienza della fede e dell’alleanza con il Signore non li mortifica. Al contrario, li protegge, li svincola dall’egoismo, li custodisce dal degrado, li porta in salvo per la vita che non muore.
“Quando gli affetti famigliari si lasciano convertire alla testimonianza del Vangelo, diventano capaci di cose impensabili, che fanno toccare con mano le opere di Dio, quelle opere che Dio compie nella storia, come quelle che Gesù ha compiuto per gli uomini, le donne, i bambini che ha incontrato. Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici. Un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più. E dove ci sono questi affetti famigliari, nascono questi gesti dal cuore che sono più eloquenti delle parole. Il gesto dell’amore….. Questo fa pensare” (Papa Francesco).
Infine, oltre a chiederci di amare i nostri cari in Dio, cioè di vivere l’amore nell’Amore, Cristo, nel Vangelo di oggi, ci insegna che per compiere un gesto d’amore basta poco: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. Ogni gesto di amore, accoglienza, fosse anche il più semplice, il meno impegnativo, quello che apparentemente non conta, non è valutato secondo i parametri dell’economia moderna, dell’utilità, del rendimento, come quello di un bicchiere d’acqua che si dà a chi lo chiede, se fatto con amore e per amore, non perderà davanti a Dio la ricompensa.
3) Il Primato dell’amore nelle vergini consacrate.
L’insegnamento di Cristo, che è presentato oggi nel Vangelo, può essere sintetizzato così:
- se ci si ama dando il primato a Dio, nulla ci può separare;
- ogni cosa ha senso nell’amore, quando Dio è al primo posto, anche un bicchiere d’acqua.
A questo punto è giusto proporre le vergini consacrate come testimoni speciali di questo primato da dare a Dio. La loro è la testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico ed indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo regno. Senza questo segno concreto della verginità consacrata, il fuoco di carità che anima l’intera chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso del vangelo della croce correrebbe il rischio di smussarsi. Queste donne rendono testimonianza che la verginità permette una vita lieta e vera, fatta di semplicità e di umiltà, di spontaneità e tenaci, dolcezza e fortezza nella certezza della fede operosa nella carità.
Ad una umanità smarriti per senza punti veri di riferimento, le vergini consacrate unicamente all’amore di Dio sono testimoni che l’adesione vitale al proprio fine, cioè al Dio vivente, ha realmente unificato e aperto, mediante l’integrazione di tutte le sue facoltà, la purificazione dei loro pensieri, la spiritualizzazione dei loro sensi, la profondità e la perseveranza della loro vita in Dio.
In breve, testimoniano, in forma luminosa e singolare, che il mondo può essere trasfigurato e offerto a Dio nello spirito delle beatitudini.
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Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
In Math. 35, 1 s.
“Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me. E chi non prende la sua croce e viene dietro a me, non è degno di me” (Mt 10,37-38). Notate la dignità e l’autorità del Maestro. Vedete come egli dimostra di essere il Figlio unico e legittimo del Padre, ordinando agli uomini di rinunziare a tutto e di anteporre l’amore per lui a ogni cosa. Non vi ordino soltanto -egli dice in sostanza – di preferire me ai vostri amici o ai vostri parenti. Vi ordino qualcosa di più, vi dico cioè che se preferite la vostra anima, la vostra vita all’amore che mi dovete, siete ben lontani dall’essere miei discepoli…
E se Paolo raccomanda con tanta cura ai figli di essere sottomessi ai genitori, non stupitevene. Egli ordina di obbedire ai genitori solo in quelle cose che non offendono l’amore di Dio. È santo rendere ai genitori tutto l’onore e la deferenza che loro è dovuta. Ma se essi esigono da noi quanto non è loro dovuto, non si deve obbedir loro. Ecco perché Luca, citando le parole di Gesù, scrive: “Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre, la moglie e i figli, i fratelli, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Cristo non comanda di non amare in senso assoluto, perché ciò sarebbe del tutto ingiusto; ma se i genitori e i parenti esigessero per sé un amore più grande di quello che nutriamo per lui, egli dice di detestarli per tale motivo. Questo amore non ordinato, infatti, perderebbe sia colui che ama sia coloro che sono così amati.
Gesù parla in tal modo per rendere al tempo stesso i figli più forti, quando è in causa l’amore di Dio, e i genitori, che volessero ostacolarli, più miti e ragionevoli. Costatando che Dio ha tale forza e potenza da attirare a sé i figli degli uomini, separandoli dai loro genitori, questi ultimi desisteranno dall’opporsi, ben comprendendo che tutti i loro sforzi in tal senso sarebbero inutili. Ecco perché in questo passo Gesù si rivolge solo ai figli, e non indirizza le sue parole anche ai padri, i quali, però, dalle sue parole sono avvertiti di non tentare mai di allontanare da Dio i loro figli trattandosi di impresa impossibile. Ma affinché i padri non rimangano indignati e non si ritengano offesi da questo comando ch’egli rivolge ai giovani, osservate come prosegue il suo discorso. Dopo aver detto «Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre» aggiunge subito «e persino la propria vita». Credete voi – egli dice in sostanza – che io vi chieda soltanto di rinunziare ai vostri genitori, ai vostri fratelli, alle vostre sorelle, alle vostre spose? Non c’è niente di più strettamente unito all’uomo della sua vita: ebbene, se non giungerete a disprezzare anche quella, io non vi considererò né vi tratterò certo da amici, ma in modo del tutto contrario. E non chiede ai suoi discepoli solo di disprezzare la propria vita, ma ingiunge loro di esporla alla guerra, alle lotte, all’uccisione, al sangue.
“Chi non porta la sua croce e viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14,27). Vuole insomma che noi siamo pronti non solo alla morte, ma anche a una morte violenta e persino alla più ignominiosa di tutte le morti. Non parla ancora ai discepoli della sua passione, volendo che, ammaestrati prima da tali insegnamenti, più facilmente siano pronti ad accettarla quando dovranno sentirne parlare. Come è possibile non ammirare il fatto che l’anima degli apostoli, dopo tali predizioni, non si sia staccata dal corpo, dato che nel tempo presente si preparavano per loro solo dolori e sofferenze, mentre la felicità che attendevano era solo nelle loro speranze? Come hanno fatto a non scoraggiarsi e a non perdersi d’animo? Non possiamo trovare altra spiegazione per questo straordinario fatto se non la straordinaria potenza del Maestro e il grande amore dei discepoli. Queste sono le ragioni per cui, pur vedendosi destinati a soffrire tribolazioni ben più aspre e terribili di quelle subite da grandi uomini quali furono Mosè e Geremia, rimasero fedeli e si mostrarono pronti ad affrontarle senza obiettare ed opporsi minimamente.
“Chi fa risparmio della sua vita la perderà, chi invece la perde per causa mia, la ritroverà” (Mt 10,39). Vedete quale danno subiscono coloro che amano troppo la loro vita, e quale guadagno ottengono coloro che sanno disprezzarla e perderla? Poiché Cristo comanda ai suoi apostoli cose tanto difficili, come la rinunzia ai genitori, ai figli, alla natura, alla parentela, a tutti i beni, a tutti gli affetti terreni e alla vita stessa, stabilisce anche una ricompensa, che è grandissima. Ciò a cui vi sottoponete – egli dice – non solo non vi danneggerà ma, al contrario, vi arrecherà un immenso vantaggio tanto che il peggior male che potrebbe capitarvi sarebbe proprio rinunziare a soffrire tutte queste tribolazioni. Ripetendo un’argomentazione che gli è familiare, si serve dei loro desideri per persuaderli e stimolarli. Perché non volete rinunziare alla vostra vita? Non è forse perché l’amate? Ebbene, egli conclude, se l’amate, disprezzatela, perché allora le gioverete immensamente e dimostrerete veramente di amarla.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.
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NOTA
[1] I primi tre sono in rapporto a Dio, questo e gli altri sei riguardano l’essere umano.