La CEI ha quindi il suo nuovo presidente: il card. Gualtiero Bassetti. La nomina, da parte di Papa Francesco, è stata annunciata dal card. Angelo Bagnasco, presidente uscente, ed è stata il frutto della 70esima Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
L’Assemblea si è aperta, in Vaticano alla presenza del Papa, il 22 maggio scorso e si è chiusa oggi con la conferenza stampa del neo-presidente.
Bassetti faceva parte della terna di nomi, scelta dai vescovi italiani, da sottoporre al Papa per la nomina. Insieme al card. Bassetti facevano parte della terna: mons. Francesco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, e il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento.
Il card. Gualtiero Bassetti, nato il 7 aprile 1942 in provincia di Firenze, è arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. È stato già vice-presidente della CEI dal 2009 al 2014. Dall’ottobre 2012 è presidente della Conferenza Episcopale Umbra. È membro della Congregazione per i Vescovi e di quella per il Clero e del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
La conferenza stampa del neo-presidente è stata abbastanza lunga, ricca di domande e spunti di riflessione, che hanno toccato diversi argomenti.
Riportiamo di seguito la sintesi delle dichiarazioni rilasciate dal card. Bassetti.
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Ieri ha dichiarato di essere un “improvvisatore”. Cosa vuol dire?
Per me è il contrario di calcolatore. Sono più spinto dall’istinto del cuore che dall’intuito della ragione. Se vedo una necessità sento il bisogno di buttarmi.
È una scelta evangelica perché il signore comanda di leggere I segni dei tempi cioè Dio parla non solo una rivelazione diretta, ma anche attraverso gli elementi della natura.
Lei ha detto di essere “ormai al crepuscolo della vita”. Come ci arriva a questo? Con quale sguardo? Forte di quale esperienza?
Dalle mie finestre di Massa Marittima, vedevo tutti i tramonti. Il tramonto è una cosa bellissima e poi a seconda di come avviene è il preludio del nuovo giorno.
Il “crepuscolo” della mia vita lo vedo come un tramonto che riesce ancora un po’ ad illuminare, ma che poi prepara al nuovo giorno.
Cosa le rimane di queste giornate?
La prima impressione, dopo l’interesse che si è sempre più accentuato per me, era quella di essere il piccolo Davide nell’armatura di Saul che doveva andare incontro al gigante Golia, ma che lasciata l’armatura ha raccolto cinque pietre e con quelle ha fatto la sua battaglia.
In principio mi sono sentito sgomento, poi ho sentito l’affetto dei vescovi e del Santo Padre e allora mi sono sentito incoraggiato, ed ho detto: insieme possiamo fare ancora qualcosa di bello.
Cosa vuole sottolineare del comunicato finale dell’Assemblea? Quali contenuti?
Vorrei fare riferimento all’intervento del Papa che ha lasciato il discorso preparato ed ha voluto parlare a braccio.
Però rileggendo poi il discorso, ci ho visto una chiara esposizione dell’Evangelii Gaudium. Sta a cuore al Papa la conversione pastorale della Chiesa.
Non è soltanto un cambiare qualcosa, ma è un cambiamento di mentalità di cuore, con le mani impegnate nell’operare.
In un momento di inclusività, la Chiesa che accoglie, come la rete di Pietro che prende tutti i tipi di pesci, diventa un “ospedale da campo”.
Già don Mazzolari, prima del concilio, ha avuto la stessa intuizione: la Chiesa come ospedale da campo.
La collegialità non è un camminare solo insieme, ma è camminare sulla stessa strada. Questa è stata la sostanza del discorso del Papa e che ha guidato i lavori dell’Assemblea.
Il Movimento 5 Stelle ormai è una realtà sempre più sviluppata. È utile per la Chiesa iniziare un dialogo istituzionale con queste realtà?
La Chiesa post-conciliare dialoga con tutti. Ma sulla politica va fatta una distinzione.
C’è una politica, con la “p” minuscola, che è quella di tutti i partiti, che rispetto. Poi c’è una politica, con la “P” maiuscola, che riguarda il bene comune, di tutti.
La Chiesa e la CEI, per come ho intenzione di condurla secondo le mie possibilità, vuole impegnarsi su questo secondo aspetto.
Si ritrova subito due problemi sulla sua scrivania: l’accoglienza dei profughi e la gestione dei casi di pedofilia da parte dei vescovi. Come agire?
Nei confronti dei profughi il discorso è complesso.
Dalla Bibbia e dal Magistero emerge la necessità dell’accoglienza.
Capisco che l’Italia fa parte del contesto Europa e questa del contesto mondo. Capisco che siamo impotenti davanti a questo problema epocale, ma c’è questo impegno nella Chiesa e nella ricerca di regole che disciplinano l’accoglienza.
È notevole l’iniziativa della CEI: “Liberi di partire, liberi di restare”. Oltre all’accoglienza, si devono creare le condizioni affinché la gente non è costretta a partire.
Per la pedofilia la situazione è preoccupante, ma non si parte da zero.
Il Magistero di Benedetto XVI è stato chiaro e siamo tenuti a metterci in contatto con la Congregazione per la Fede per ricevere le linee guida, per valutare caso per caso.
Il problema però non va generalizzato. Questo problema purtroppo tocca anche la famiglia e altri tipi di convivenze.
Come diceva mia nonna: “I bambini non si toccano!”. La pedofilia è un crimine grande e la Chiesa fa tutto il possibile.
A noi pastori il compito di essere vigili.
Le ultime presidenze CEI hanno sempre dato rilevanza al tema dei cosiddetti “valori non negoziabili”, come ad esempio l’eutanasia, Qual’è il suo pensiero?
Noi forse già stiamo mancando su un punto: non diamo a queste persone l’assistenza, la vicinanza, l’amicizia, l’affetto di cui avrebbero bisogno.
Quando una persona ha la percezione di essere un valore per l’altro è molto più difficile che arrivi a togliersi la vita.
La legislazione dovrebbe anche tenere conto del parere del medico che assiste perché anche lui ha una grossa responsabilità.
Lei ha dichiarato di essere orgoglioso di essere un sacerdote fiorentino, come Don Milani. Il 20 giugno sarà, con Papa Francesco, a Barbiana?
Io con il cuore sono a Barbiana! Nel mese di giugno avevo previsto un ritiro con il mio clero a Barbiana, poi ho preferito lasciare la precedenza alla visita del Papa, rinviando tutto all’inizio del prossimo anno pastorale.
Ho conosciuto bene Don Milani. Nella mia formazione di fede e umanistica devo tanto alla chiesa fiorentina, per una serie di uomini cresciuti a Firenze, nel secolo scorso, e che sono stati nostri maestri di vita.
Nelle sue esperienze a Firenze, c’è ne qualcuna che riguarda il mondo ebraico?
Quando venne l’alluvione nel ‘66, ero un giovane vice parroco a San Salvi, vicino alla sinagoga.
Incontrai un uomo eccezionale: il rabbino Belgrado. Lui ci raccontò di quando scelse di salvare prima la Torah che i figli. Però Dio lo ha illuminato e gli ha dato anche la forza per salvare i suoi figli.
Mai dimenticherò questa testimonianza di un uomo, profondamente religioso, che aveva fatto una scelta di fede.
Molto discussa è stata l’Amoris Laetitia, soprattutto nel capitolo che ha sollevato “i dubia”. Come mai l’episcopato italiano non si è dotato di linee guida univoche? Come presidente CEI e come vescovo della sua diocesi, che linea dà?
Non è vero che non si è fatto un discernimento. Qualcosa a livello regionale c’è.
L’Amoris Laetitia è la sintesi della dottrina sul matrimonio e sulla famiglia, basta guardare i riferimenti.
Per comprendere il documento dobbiamo fare un passaggio importante, evitare questa omologazione: ogni situazione irregolare è peccato mortale.
Il Catechismo prima di arrivare ad un peccato mortale, presenta una serie di condizioni che si devono realizzare tutte in concomitanza.
Allora, cosa chiede il Papa? Non parla di ammissione ai sacramenti, ma parla di discernimento, com’è la reale situazione di quella persona, di quella coppi. Iniziare un cammino, anche penitenziale se è necessario, e poi valutare.
L’Amoris Laetitia va presentata come è stata scritta. Non è un documento opinabile, ma è Magistero.
Lei viene da una terra, l’Umbria, che è stata colpita, ferita, in questi mesi, anche nei suoi simboli religiosi. Come opererà per questi territori e per i suoi abitanti?
Faccio mia la voce di mons. Boccardo, che guida quella chiesa: si affrettino gli interventi non tanto per la ricostruzione, che sono complessi, ma per le abitazioni.
Io aggiungerei, oltre alle case che sono di fondamentale importanza, la necessità di costruire strutture dove riportare la tradizione religiosa affinchè questi paesi non perdano la loro identità, le loro tradizioni religiose, la loro unità.
Lei è componente del Consiglio per l’unità dei cristiani. Che peso possono avere le diocesi di Lungro e quella di Piano degli Albanesi sul tema dell’ecumenismo? Che prospettiva ha l’Abbazia greca di Grottaferrata o va verso la decadenza?
Tutti ci auguriamo che l’Abbazia non vada verso la decadenza. Le comunità di Lungro e Piana degli Albanesi, sono delle comunità vive e integrate con la Chiesa di rito latino.
Mi sembra che avere due diocesi di rito greco-bizantino, sia una ricchezza che vada preservata così come la cultura e le tradizione antica. Ogni varietà nello spirito è ricchezza.
In autunno si prospetta una terza edizione del Family Day. Come valuta i due precedenti eventi? Li ritiene validi?
Questi problemi, li affronteremo e riaproffondiremo, perché il tema fondamentale resta quello dei giovani e della famiglia.
I principi dell’etica cristiana sono evangelici, rispettano la persona. La dottrina è chiara e la Chiesa continua proporla.
La Chiesa entra in dialogo con il modo di oggi. Però non ho paura del dialogo, ma del pressapochismo di chi non ha un’identità chiara e non sa dove andar a parare. Per poter dialogare bisogna essere solidi nei propri principi per accogliere e correggere, eventualmente l’altro. Il dialogo ha I suoi criteri.
Nel 2018 ci sarà il Sinodo per i giovani. Come i vescovi si prepareranno all’evento? Che importanza hanno gli oratori?
Il Papa, che viene da una cultura diversa, sottolinea l’importanza degli oratori.
L’oratorio non è solo uno strumento pastorale, ma anche culturale e missionario, è una ricchezza.
Noi vescovi guardiamo ai giovani con il cuore di pastori. La nostra preoccupazione è per i nostri giovani. Che nessuno rubi loro la speranza, perché ci sono tanti lupi rapaci che voglio turbare la sperza.
Non è vero che l’unione fa la forze se sono tutti deboli, ma solo se siamo forti.
Che si dia a questi la possibilità di un lavoro, di costruirsi un futuro valido.
La mancanza di lavoro toglie la dignità ai giovani.
Il suo predecessore, nel saluto ai vescovi, ha detto che la vostra voce spesso è stata inascoltata sulle emergenze del paese, soprattuto famiglia e giovani. Lei condivide? È preoccupato di questa tendenza?
Continuo ad essere un uomo di speranza, ma il card. Bagnasco ha ragione. Spesso più che la nostra voce è il nostro grido a restare inascoltato.
Noi però continueremo. Perché non possiamo rimanere inerti davanti ai problemi della famiglia e dei giovani.
Più volte ha parlato di una Chiesa che deve ripartire dai più poveri. Che tipo di cambiamenti dobbiamo aspettarci?
Mi sembra che nel suo Magistero, Papa Francesco, abbia fatto un passo in avanti, anche rispetto al Magistero del suo predecessore.
I poveri li chiamavamo ultimi, ma il Papa ha coniugato un nuovo termine, che ci fa riflettere: scarto.
Questa società emargina e produce scarto, spazzatura.
Anche se uno è ultimo ha pur sempre una dignità, ma lo scarto non è più considerata persona, è considerato spazzatura.
Dobbiamo stare attenti a cosa produce scarti.
Cardinal Gualtiero Bassetti - Foto Copyright Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve
Card. Bassetti: “La mancanza di lavoro toglie la dignità ai giovani”
La prima conferenza stampa del neo-presidente della CEI