Offriamo di seguito la trascrizione ufficiale della conferenza stampa di papa Francesco durante il volo di ritorno dall’Egitto, avvenuta sabato 29 aprile 2017.
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Greg Burke:
Grazie, Santo Padre. Ci sono alcuni giornalisti che fanno il viaggio per la prima volta e alcuni che hanno fatto quasi cento viaggi, più di cento! Lei… non so se sa quanti viaggi internazionali ha fatto…
Papa Francesco:
Diciotto.
Greg Burke:
Diciotto. E il diciannovesimo è dietro l’angolo, quindi anche Lei ha un bel numero di viaggi papali, adesso! Grazie per questo momento, che è sempre un momento forte, per noi.
Incominciamo con il gruppo italiano: Paolo Rodari… Non so se Lei vuole dire qualcosa, prima…
Papa Francesco:
Sì. Buonasera! Vi ringrazio per il lavoro, perché sono state 27 ore, credo, di tanto lavoro. Grazie tante per quello che avete fatto. Grazie. E sono a vostra disposizione.
Greg Burke:
Grazie, Santo Padre.
Paolo Rodari, di “Repubblica”:
Santo Padre, grazie. Volevo chiederLe, a proposito del Suo incontro di ieri con il Presidente Al Sisi: di che cosa avete parlato, se Lei ha accennato ai temi dei diritti umani e, in particolare, se ha avuto modo di parlare del caso di Giulio Regeni, e se secondo Lei si arriverà nel merito alla verità.
Papa Francesco:
Su questo darò una risposta generale per poi arrivare al particolare. Generalmente, quando sono con un Capo di Stato, in dialogo privato, quello rimane privato. A meno che, d’accordo, si dica: “Quanto diciamo su questo punto lo renderemo pubblico”. In questo viaggio ho avuto quattro dialoghi privati: con il Grande Imam di Al-Azhar, con il Presidente Al Sisi, con il Patriarca Tawadros e con il Patriarca Ibrahim; e credo che, se il dialogo è privato, per rispetto si deve mantenere la riservatezza. E’ riservato. Poi c’è la domanda su Regeni. Io sono preoccupato. Dalla Santa Sede mi sono mosso su quel tema, perché anche i genitori me l’hanno chiesto; la Santa Sede si è mossa. Non dirò come né dove, ma ci siamo mossi.
Greg Burke:
Darío Menor Torres, “El Correo” español:
Darío Menor Torres, “El Correo”:
Grazie, Santità. Lei ha detto ieri che la pace, la prosperità e lo sviluppo meritano ogni sacrificio, e dopo ha sottolineato l’importanza del rispetto dei diritti inalienabili dell’uomo. Questo significa un supporto al governo egiziano, un riconoscimento del suo ruolo in Medio Oriente, per come prova a difendere i cristiani malgrado le insufficienti garanzie democratiche?
Papa Francesco:
No, no. Si devono interpretare letteralmente come valori in se stessi. Ho detto questo: difendere la pace, difendere l’armonia dei popoli, difendere l’uguaglianza dei cittadini qualunque sia la religione che professano sono valori. Io ho parlato dei valori. Se un governante difende l’uno o l’altro [di tali valori], è un altro problema. Ho fatto diciotto visite in parecchi Paesi. A volte ho sentito: “Il Papa, andando là, dà un appoggio a quel governo…”. Perché sempre un governo ha le sue debolezze o i suoi avversari politici, gli uni dicono una cosa, gli altri un’altra… Io non mi immischio. Io parlo dei valori, e ognuno veda e giudichi se questo governo o questo Stato, o quello o quell’altro, porta avanti quei valori.
Darío Menor Torres:
Le è rimasto il desiderio di visitare le Piramidi?
Papa Francesco:
Ma tu sai che oggi alle sei del mattino i miei due assistenti se ne sono andati a visitare le Piramidi?
Darío Menor Torres:
Ah sì? Ma Le sarebbe piaciuto andare con loro?
Papa Francesco:
Sì, davvero, sì…
Darío Menor Torres:
Grazie mille.
Greg Burke:
Se possiamo rimanere sul tema del viaggio… Virginie Riva del gruppo francese, “Radio Europe 1”:
Virginie Riva, “Radio Europe 1”:
Santo Padre, una domanda partendo dal viaggio ma per allargare alla Francia, se Lei accetta. Lei ha parlato, ad Al-Azhar, all’Università, dei populismi demagogici. I cattolici francesi in questo periodo sono tentati dal voto populista o estremo, sono divisi e disorientati. Quali possono essere gli elementi di discernimento che Lei potrebbe dare a questi elettori cattolici?
Papa Francesco:
Benissimo. C’è una dimensione di “populismo” – tra virgolette, perché voi sapete che questa parola, da parte mia, ho dovuta reimpararla in Europa, perché in America Latina ha un altro significato –. C’è il problema dell’Europa e c’è il problema dell’Unione Europea. Quello che ho detto sull’Europa non lo ripeterò qui: ne ho parlato quattro volte: due a Strasburgo, una al Premio Carlo Magno, e all’inizio della commemorazione del 60° [dei Trattati di Roma]. Lì c’è tutto quello che ho detto sull’Europa. Ogni Paese è libero di fare le scelte che creda convenienti rispetto a questo; io non posso giudicare se quella scelta la fa per questo motivo o per quell’altro, perché non conosco la politica interna. E’ vero che l’Europa è in pericolo di sciogliersi, questo è vero. L’ho detto delicatamente a Strasburgo, l’ho detto più fortemente al Premio Carlo Magno, e ultimamente senza nuances. Su questo dobbiamo solo meditare: l’Europa che va dall’Atlantico agli Urali… C’è un problema che spaventa l’Europa e forse alimenta i populismi: il problema delle migrazioni. Questo è vero. Ma non dimentichiamo che l’Europa è stata fatta dai migranti: secoli e secoli di migranti… Siamo noi! Ma è un problema che si deve studiare bene; e bisogna anche rispettare le opinioni, le opinioni oneste di una discussione politica con la maiuscola, grande: una grande Politica, non la piccola politica del Paese che poi finisce per cadere [per essere inefficace]. Riguardo alla Francia: dico la verità, io non capisco la politica interna francese. Ho cercato di avere buoni rapporti, anche con il Presidente attuale, con il quale c’è stato un conflitto una volta ma dopo ho potuto parlare chiaramente sulle cose, rispettando la sua opinione… Dei due candidati politici [Le Pen e Macron] non so la storia, non so da dove vengano… Sì, so che uno è rappresentante della destra forte, ma l’altro davvero non so da dove venga. Per questo, non posso dare un’opinione chiara sulla Francia. Ma parlando dei cattolici: qui in Egitto, in uno dei raduni, mentre salutavo la gente, uno mi ha detto: “Perché non pensa alla politica alla grande?”- “Cosa vuol dire?”. E mi ha detto, come chiedendo aiuto: “Fare un partito per i cattolici”. Questo signore è buono, ma vive nel secolo scorso! Riguardo ai populismi, hanno un rapporto con i migranti, ma questo non fa parte del viaggio. Se c’è tempo posso tornare su questo. Se c’è tempo, tornerò.
Vera Shcherbakova, Itar-Tass:
Santo Padre, La ringrazio, prima di tutto per la benedizione: Lei mi ha benedetto, io mi sono inginocchiata qualche minuto fa, qui davanti. Io sono ortodossa e non vedo nessuna contraddizione… Volevo chiedere: quali sono le prospettive dei rapporti con gli ortodossi – ovviamente russi, ma anche, ieri, nella Dichiarazione Comune con il Patriarca copto ortodosso –, c’è la data della Pasqua in comune, e si parla anche del riconoscimento del Battesimo… A che punto siamo? E un’altra cosa: come valuta Lei i rapporti tra il Vaticano e la Russia, come Stato, anche alla luce della difesa dei valori dei cristiani del Medio Oriente, soprattutto in Siria?
Greg Burke:
Questa è Vera Shcherbakova dell’agenzia Itar-Tass, l’agenzia russa.
Papa Francesco:
Christòs anèsti! [Cristo è risorto] Con gli ortodossi, ho sempre avuto una grande amicizia, già a Buenos Aires. Per esempio, ogni 6 gennaio andavo ai Vespri, nella vostra cattedrale, dal Patriarca Platon – che adesso è nella zona dell’Ucraina, è arcivescovo –: 2 ore e 40 di preghiera in una lingua che non capivo, ma si poteva pregare bene! E poi la cena con la comunità, trecento persone, una cena della vigilia di Natale – non la cena del Natale, la vigilia – ancora non si potevano mangiare latticini né carne, ma era una bella cena… E poi la tombola, la lotteria… amicizia. Anche gli altri ortodossi. A volte avevano bisogno di aiuto legale: venivano alla Curia cattolica, perché sono comunità piccole, e andavano dagli avvocati… Sempre ho avuto un rapporto fraterno: siamo Chiese sorelle. Con Tawadros ho un’amicizia speciale: per me è un grande uomo di Dio. Tawadros è un Patriarca, un Papa che porterà avanti la Chiesa, il nome di Gesù… Ha uno zelo apostolico grande. Lui è uno dei più – permettimi la parola, ma fra virgolette – “fanatici” sul fatto di trovare la data fissa della Pasqua. Anch’io, ma… cerchiamo il modo. Lui dice: “Lottiamo, lottiamo!”. E’ un uomo di Dio. E’ un uomo che, quando era vescovo, lontano dall’Egitto, andava a dare da mangiare ai disabili; è un uomo che è stato inviato in una diocesi con cinque chiese e ne ha lasciate venticinque, non so quante famiglie cristiane, con lo zelo apostolico. Poi, tu sai come si fa l’elezione tra loro: se ne cercano tre, si scelgono, e poi si mettono i nomi in una borsa, si chiama un bambino, gli si bendano gli occhi e il bambino sceglie il nome… E lì è il Signore! Chiaramente lui è un grande Patriarca. L’unità del battesimo va avanti. La colpa, sul battesimo, è una cosa storica, perché ai tempi dei primi Concili era in comune. Poi, siccome i cristiani copti battezzavano i bambini nei santuari, quando volevano sposarsi e venivano da noi perché si sposavano con una cattolica, si chiedeva qualcosa che facesse fede e non l’avevano, e si faceva il battesimo sotto condizione: così abbiamo incominciato noi, non loro. Ma adesso si è aperta la porta e siamo sulla buona strada per questo problema, per poterlo superare. Nella Dichiarazione Comune, il penultimo paragrafo parla di questo.
Gli ortodossi russi riconoscono il nostro battesimo e noi riconosciamo il loro battesimo. Ero molto amico del vescovo a Buenos Aires, dei russi. Anche con i georgiani, per esempio. Il Patriarca dei georgiani è un uomo di Dio, Elia II, è un mistico! E noi cattolici dobbiamo imparare anche da questa tradizione mistica delle Chiese ortodosse. In questo viaggio abbiamo fatto l’incontro ecumenico: c’era anche il Patriarca Bartolomeo, c’era il Patriarca greco-ortodosso, poi c’erano altri cristiani: gli anglicani, anche il Segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra… Tutto quello che fa l’ecumenismo è in cammino. L’ecumenismo si fa in cammino, con le opere di carità, con l’impegno di aiutare, di fare le cose insieme quando si possono fare insieme… Non esiste un ecumenismo statico. E’ vero che i teologi devono studiare e mettersi d’accordo, ma questo non potrà andare a buon fine se non si cammina. “Cosa possiamo fare adesso?”. Facciamo quello che possiamo fare: pregare insieme, lavorare insieme, fare le opere di carità insieme… Ma insieme! E questo è andare avanti. I rapporti con il Patriarca Kirill sono buoni. Anche l’arcivescovo metropolita Hilarion è venuto parecchie volte a parlare con me, e abbiamo un buon rapporto.
Vera Shcherbakova:
E con lo Stato russo? I cristiani, i valori comuni?…
Papa Francesco:
Sì, io so che lo Stato russo parla di questo, della difesa dei cristiani del Medio Oriente. Questo lo so e credo che sia una cosa buona, parlare, lottare contro la persecuzione. Oggi ci sono più martiri che nei primi secoli, in Medio Oriente soprattutto.
Greg Burke:
Phil Pullella.
Philip Pullella, agenzia Reuters:
Lei ha parlato ieri, nel primo discorso, del pericolo di azioni unilaterali e che tutti devono essere costruttori di pace. Lei ha parlato molto della “terza guerra mondiale a pezzi”. Però sembra che oggi questa paura e ansia sia concentrata su quello che sta succedendo intorno alla Corea del Nord.
Papa Francesco:
Sì, è il punto centrale…
Phil Pullella:
Esatto: è il punto centrale. Il presidente Trump ha mandato una squadra di navi militari al largo della costa della Corea del Nord; il leader della Corea del Nord ha minacciato di bombardare la Corea del Sud, il Giappone e addirittura gli Stati Uniti, se riescono a costruire i missili a lunga gittata; la gente ha paura e si sta parlando della possibilità di una guerra nucleare, come se niente fosse. Allora Lei, se vedrà il presidente Trump, ma anche altre persone, cosa vuole dire a questi leader che hanno la responsabilità del futuro dell’umanità? Perché siamo in un momento abbastanza critico …
Papa Francesco:
Io li chiamo. Li chiamo e li chiamerò, come ho chiamato i leader di diversi luoghi, a un lavoro per risolvere i problemi sulla strada della diplomazia. E ci sono i facilitatori – tanti nel mondo – ci sono mediatori che si offrono: ci sono Paesi come la Norvegia, per esempio; nessuno può accusare la Norvegia di essere un Paese dittatoriale; sempre è pronta ad aiutare… Per citare un esempio, ma ce ne sono tanti… Ma la strada è la strada del negoziato, la strada della soluzione diplomatica. Questa “guerra mondiale a pezzi”, della quale sto parlando da due anni, più o meno, è “a pezzi”, ma i pezzi si sono allargati, ma si sono anche concentrati. Si sono concentrati in punti che già erano “caldi”, perché questa vicenda dei missili della Corea è da un anno che va avanti, ma adesso sembra che la cosa si sia riscaldata troppo. Io chiamo sempre a risolvere i problemi sulla strada diplomatica, con il negoziato… Perché è in gioco il futuro dell’umanità. Oggi una guerra allargata distruggerà non dico la metà dell’umanità, ma una buona parte dell’umanità e della cultura… tutto, tutto. Sarebbe terribile. Credo che oggi l’umanità non sarebbe capace di sopportare. Ma guardiamo a quei Paesi che stanno soffrendo una guerra al loro interno, e dove ci sono fuochi di guerra: il Medio Oriente, per esempio, ma anche in Africa… lo Yemen… Fermiamoci! Cerchiamo, cerchiamo una soluzione diplomatica. E su questo credo che le Nazioni Unite abbiano il dovere di riprendere un po’ la loro leadership, perché si è annacquata: si è annacquata un po’.
Phil Pullella:
Lei vuole incontrare il presidente Trump quando verrà in Europa? C’è stata una richiesta per questo incontro?
Papa Francesco:
Io non sono stato ancora informato dalla Segreteria di Stato che sia stata fatta una richiesta; ma io ricevo ogni Capo di Stato che chiede udienza.
Greg Burke:
Credo che le domande sul viaggio siano finite. Si può prenderne una ancora? Poi dobbiamo andare a cena, alle sei e mezza. C’è Antonio Pelayo, di Antena 3, che Lei conosce.
Antonio Pelayo:
Santo Padre, la situación en Venezuela ha degenerado últimamente de modo muy grave y ha habido muchas muertes. Quisiera preguntarle si la Santa Sede, y usted personalmente, piensan relanzar esa acción, esa intervención pacificadora, y qué formas podría asumir esta acción.
Papa Francesco:
Hubo una intervención de la Santa Sede bajo pedido fuerte de los cuatro Presidentes que estaban trabajando como facilitadores, y… la cosa no resultó. Y quedó ahí. No resultó porque las propuestas no eran aceptadas, o se diluían, o era un “sí, sí“ pero “no, no”… Todos conocemos la difícil situación de Venezuela, que es un País al que yo quiero mucho. Y sé que ahora están insistiendo; no sé bien de dónde – creo que de los cuatro Presidentes – para relanzar esta facilitación, y están buscando el lugar. Yo creo que tiene que ser con condiciones ya. Condiciones muy claras. Parte de la oposición no quiere esto. Porque es curioso, la misma oposición está dividida. Y, por otro lado, parece que los conflictos se agudizan cada vez más. Pero hay algo de movimiento. Hay algo de movimiento, estuve informado de eso, pero está muy en el aire todavía. Pero todo lo que se pueda hacer por Venezuela hay que hacerlo. Con las garantías necesarias. Si no, jugamos al “tintín pirulero”, y no va la cosa. Gracias.
Greg Burke:
Grazie, Santo Padre. E adesso dobbiamo andare…
Papa Francesco:
Ancora una.
Greg Burke:
Una ancora. C’è un tedesco: Jörg Bremer della Frankfurter Allgemeine.
Jörg Bremer della „Frankfurter Allgemeine“:
Qualche giorno fa, Lei ha parlato sul tema dei rifugiati in Grecia, a Lesbo, e Lei ha usato il termine di “campi di concentramento”, perché sono troppo pieni di gente. Per noi tedeschi ovviamente questo è un termine molto, molto serio e molto vicino a quello di “campo di sterminio”. C’è chi dice che sia stato un Suo lapsus linguae: cosa intendeva dire?
Papa Francesco:
Primo, voi dovete leggere bene tutto quello che ho detto. Ho detto che i più generosi dell’Europa erano l’Italia e la Grecia: lo sono stati, è vero, sono i più vicini alla Libia e alla Siria… Sulla Germania, sempre ho ammirato la capacità di integrazione. Quando io studiavo lì, c’erano tanti turchi, integrati, a Francoforte, tanti, integrati, e conducevano una vita normale. Non è stato un lapsus linguae: ci sono campi di rifugiati che sono veri campi di concentramento. Ce n’è qualcuno forse in Italia, qualcuno altrove… in Germania no, di sicuro. Ma Lei pensi: cosa fanno le persone che sono chiuse in un campo e non possono uscire? Lei pensi a quello che è successo nel Nord Europa quando volevano attraversare il mare per andare in Inghilterra: sono chiusi dentro! Mi ha fatto ridere – e questa è un po’ la cultura italiana – mi ha fatto ridere sapere di un campo di rifugiati in Sicilia – me l’ha raccontato il delegato dell’Azione Cattolica della diocesi di Agrigento – lì, nella zona, ce ne sono due o tre di questi campi, non so di quale diocesi; le autorità di quella città dov’è il campo hanno parlato alla gente del campo di rifugiati e hanno detto: “A voi, stare qui dentro, farà male alla salute mentale; voi dovete uscire. Ma, per favore, non fate cose brutte. Noi non possiamo aprire la porta, ma facciamo un buco, sul retro. Voi uscite, fate una bella passeggiata…”. E così si sono creati rapporti con gli abitanti di quel paesino, rapporti buoni… Questi non fanno delinquenza, non fanno criminalità. Ma il solo fatto di essere chiusi, senza fare niente, questo è un lager, no? Ma non ha nulla a che fare con la Germania, no, no. Grazie.
Greg Burke:
Grazie a Lei, Santo Padre.
Papa Francesco:
Grazie a voi di questo lavoro che fate e che aiuta tanta gente. Voi non sapete il bene che potete fare con le vostre cronache, con i vostri articoli, con i vostri pensieri… Dobbiamo aiutare la gente e aiutare anche la comunicazione, perché la comunicazione e anche la stampa ci porti alle cose buone e non ci porti a disorientamenti che non ci aiutano. Grazie tante, grazie tante. E buona cena. E pregate per me!
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