II Domenica di Pasqua – della divina Misericordia – Anno A – 23 aprile 2017
Rito romano
At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31
Rito Ambrosiano
At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
1) Domenica[1] della misericordia, il “secondo nome” dell’amore.
“Cos’è la misericordia? Null’altro si potrebbe dire, che “una miseria raccolta nel cuore”. Quando la miseria altrui tocca e colpisce il tuo cuore, quella è misericordia” (P. David Maria Turoldo). Questa misericordia è possibile quando si crede in Dio Amore, che ha Misericordia “come secondo nome”, come scrisse S. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in Misericordia.
E se fu questo santo Papa a dare ufficialmente il titolo di ‘Domenica della Divina Misericordia’ a questa II Domenica di Pasqua, è utile sottolineare che il motivo, almeno implicito, lo si può trovare nel Vangelo di oggi, dove si racconta che il Redentore entra nel Cenacolo e, apparendo agli Apostoli, dà loro la pace e l’incarico di “amministrare” il perdono e la riconciliazione, cioè la misericordia di Dio, che Gesù ha manifestato in lungo e in largo nella sua vita terrena. Infatti, al paralitico, prima ancora di rialzarlo in piedi, dice: “Figliolo i tuoi peccati ti sono perdonati” suscitando una certa sorpresa perché solo Dio può rimettere i peccati. Ma Gesù è davvero Dio, perciò può perdonare divinamente. Ai suoi discepoli racconta che Dio è come un pastore buono che va a ricercare la pecorella smarrita, o come quel papà che perdona il figlio che se ne era andato con metà dell’eredità e usa anche grande pazienza con l’altro che era rimasto e si era incavolato. Gesù raccomanda la misericordia nella preghiera del Padre Nostro (… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori), di perdonare fino a settanta volte sette, di saper distinguere il peccato dal peccatore e, non limitandosi a dare solo dei bei insegnamenti, dalla croce dice addirittura: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
E da Risorto affida alla sua Chiesa questa missione di annunciare, vivere, celebrare e diffondere la misericordia divina, che Lui ha tanto raccomandato e praticato.
In questo modo il Risorto rivela il senso della Chiesa. Gesù l’ha voluta per annunciare – a tutti gli uomini e in tutti i tempi –il vangelo della sua morte e risurrezione, cioè la salvezza da lui portata, liberando tutti quelli che credono in lui dalla morte e dal peccato. Il Redentore manda dunque i suoi apostoli a proclamare la misericordia divina[2].
Questa misericordia viene da un Dio che è Padre teneramente fermo e paternamente amorevole.
2) La fede condizione per essere perdonati e avere la vita.
Il brano del Vangelo di oggi dice anche qual è la condizione per ricevere la Misericordia Paterna. L’evangelista dichiara di aver scritto “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. E poco prima, narrando il celebre episodio dell’incredulità di Tommaso, invitato dal Risorto a toccare le ferite per cui era morto, del Risorto riferisce le consolanti e insieme inquietanti parole: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”. La fede, dunque, è la condizione per essere perdonati e “avere la vita”.
Per questo all’inizio della Messa di oggi, a nome di tutti i fedeli, il Sacerdote prega: “Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale infiammi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti” (Colletta[3]). E’ mediante la fede nel Vangelo e mediante il Battesimo che si “acquista” la salvezza, cioè la remissione dei peccati e il dono della vita nuova e vera.
Se “con fede la invochiamo, la misericordia ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma. È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato” (Papa Francesco, Lett. Ap. Misericordia et misera, 20 novembre 2016).
Per vivere questa fede, per credere all’amore, ci è di esempio Madre Teresa di Calcutta, Missionaria della Carità. Lei ha fatto tutto quello che ha fatto per Cristo. A chi le chiese chi è Cristo per lei, Madre Teresa disse: “Chi è Gesù per me? Gesù è il Verbo fatto uomo, è il pane della vita, è la vittima offerta per i nostri peccati sulla croce, è il sacrificio offerto per i miei peccati e per quelli del mondo, è la parola che va proclamata, è la verità, che deve essere narrata, è la via che deve essere percorsa, è la vita, che deve essere vissuta è la luce che deve essere fatta splendere, è l’amore che deve essere amato, è la gioia che deve essere condivisa, è il sacrificio che deve essere offerto, è la pace che deve essere data, è il pane della vita che deve essere mangiato, è l’affamato che deve essere nutrito, è l’assetato, che deve essere dissetato, è il nudo che deve essere vestito, è l’uomo solo, che deve essere consolato, è il non voluto, che deve essere voluto, è il drogato che bisogna aiutare, è la prostituta da sottrarre al pericolo e da sostenere, è il carcerato che bisogna visitare”.
Santa Teresa di Calcutta era così certa di Cristo risorto che spesso affermava: “Non lasciare mai che le tue preoccupazioni crescano fino al punto di farti dimenticare la gioia del Cristo risorto”.
La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua stessa gioia. Non ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l’uomo. Si tratta sempre, in un caso come nell’altro, di una gioia che affonda le sue radici nell’amore. Questa gioia non sta nell’assenza della Croce, ma nel comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una diversa lettura della Croce e del dramma dell’uomo. Pace e gioia sono al tempo stesso i doni del Risorto e le tracce per riconoscerlo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. Questa piccola, grande Suora era certa del paradiso, dove anelava andare, ma era altrettanto certa che già sulla terra è possibile essere con Gesù e comunicare la sua gioia, amando il prossimo come Lui lo ama e servendolo come Lui lo serve. In questo modo questa Santa è stata Missionaria della Carità misericordiosa. Non è importante che facciamo cosi grandi come lei ha fatto, l’importante è che facciamo piccole cose con grande amore.
Dio è amore. La rivelazione del suo amore è Cristo: come Figlio ci rivela la Paternità del Padre. Come Uomo ci rivela il suo amore sponsale per la Chiesa.
A questo amore rispondono in modo particolare le Vergini consacrate che si consacrano a Cristo quale ragione della loro vita. Come san Leandro di Siviglia scrive “per le vergini consacrate Cristo è tutto: sposo, fratello, amico, parte dell’eredità, premio, Dio e Signore” (Regula sancti Leandri, Introductio).
Consacrandosi a Cristo Sposo[4], le Vergini ne condividono completamente la missione di misericordia che va fino all’estremo dono di sé sulla via della carità. Queste donne testimoniano che non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come lui ci ha amato. Un incontro con Cristo che è anche adorazione e donazione piena a Lui. Questo San Giovanni Paolo II volle ribadire scrivendo: “Nella verginità [consacrata] si esprime … il radicalismo del Vangelo: lasciare tutto e seguire Cristo” (Lett. Ap. Mulieris Dignitatem, 20), amandolo e portando al prossimo la Sua misericordia.
Lettura Patristica
San Cipriano di Cartagine (210 – 258)
De Ecclesiae unitate
Il Signore dice a Pietro: “Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e ciò che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo” (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua Risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Jn 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: “Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice” (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: “Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio” (Ep 4,4-6).
Quest’unità dobbiamo conservare salda e difendere soprattutto noi, vescovi, che nella Chiesa presidiamo, dimostrando così che lo stesso nostro episcopato è unico e indiviso. Nessuno inganni i fratelli con la menzogna, nessuno corrompa la loro fede nella verità con perfida prevaricazione! L’episcopato è unico, e i singoli ne possiedono ciascuno una parte, ma «in solido». Anche la Chiesa è unica, e si propaga in una moltitudine vastissima per la sua feconda prolificità, proprio come i raggi del sole sono molti, ma lo splendore è unico, i rami degli alberi sono molti, ma unico è il tronco saldamente attaccato alla radice, e come dalla sorgente unica defluiscono molti ruscelli e quantunque sembri che una numerosa copia di acqua largamente si diffonda tuttavia essa conserva alla sua origine l’unità. Dalla massa dei sole togli un raggio: l’unità della luce non ammette divisione; dall’albero stacca un ramo: il ramo non potrà più germogliare; dalla fonte isola un ruscello: questo subito seccherà.
Così, anche la Chiesa del Signore diffonde luce per tutta la terra, dappertutto fa giungere i suoi raggi; tuttavia unico è lo splendore che dappertutto essa diffonde, né si scinde l’unità del corpo. Estende i suoi rami frondosi per tutta la terra riversa in ogni direzione le sue acque in piena, ma unico è il principio unica è l’origine, unica è la madre ricca di frutti e feconda. Dal suo grembo nasciamo, dal suo latte siamo nutriti, dal suo Spirito siamo vivificati.
[1] Nel 1992, San Giovanni Paolo II istituì la festa della Divina Misericordia e stabile che fosse celebrata in tutta la Chiesa Cattolica oggi, II domenica di Pasqua, detta anche “Domenica in albis”, perché quanti erano stati battezzati durante la notte di Pasqua deponevano le vesti bianche indossate durante la Veglia di Pasqua appena ricevuto il Battesimo.
[2] Mistero profondo, e tremenda responsabilità! Dio ha voluto aver bisogno di uomini per raggiungere gli altri uomini; di più, ratifica in anticipo le loro decisioni. E’ anche vero che assicura loro lo Spirito Santo, cioè la costante assistenza divina: ma il pensiero che la misericordia di Dio si consegna in fragili e indegne mani umane, fa tremare le vene e i polsi di chi è chiamato ad amministrarla.
[3] Deus misericórdiæ sempitérnæ, qui in ipso paschális festi recúrsu fidem sacrátæ tibi plebis accéndis, auge grátiam quam dedísti, ut digna omnes intellegéntia comprehéndant, quo lavácro ablúti, quo spíritu regeneráti, quo sánguine sunt redémpti. | Dieu d’éternelle miséricorde, qui par le retour de ces fêtes pascales enflammes la foi de ton peuple consacré, augmente la grâce que tu lui as donnée afin que tous, par une intelligence juste, comprennent par quel baptême ils ont été purifiés, par quel Esprit ils ont été régénérés, par quel sang ils ont été rachetés.
[4] L’espressione «sposarsi con Dio», conviene maggiormente alla donna. Le vergini cristiane sono state considerate, fin dall’antichità come spose di Cristo. Si può dire che esse rappresentano, nella maniera più appropriata e più completa, la qualità di sposa di Cristo che si attribuisce alla Chiesa. Nelle vergini consacrate si personifica questa relazione di sposa con il Cristo. In effetti, la consacrazione verginale dà a questa relazione tutto il suo valore. La vergine che dona tutto il suo cuore a Cristo rinuncia a uno sposo umano per prendere direttamente il Signore come sposo. Nel matrimonio vi è l’attuazione delle nozze di Cristo e della Chiesa, come dice san Paolo (Ef 5,28). Nella verginità questa attuazione è più totale, perché solo Cristo diventa lo Sposo, senza la mediazione di uno sposo umano Il legame di sposa della Chiesa con il Cristo raggiunge così la sua più grande profondità.