Discesa dalla Croce - ZENIT HSM

Quello "stare" di donne ai piedi della Croce

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala

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In prossimità delle celebrazioni dei riti pasquali, particolarmente sentiti e vissuti dalla pietà popolare durante la Settimana Santa, ci soffermiamo a riflettere sulla figura della Mater Dolorosa lasciandoci accompagnare dall’evangelista Giovanni (Gv, 19, 25-27), il quale ci descrive la presenza della madre di Gesù al Calvario.
Al contrario dei modi enfatici di manifestare il dolore e il lutto diffusi nel mondo antico, e anche nella società giudaica ai tempi di Gesù, Giovanni non testimonia che Maria gridasse o piangesse o si disperasse. Ma scrive, semplicemente, solennemente: “stava”. Il verbo greco qui impiegato ha una molteplicità di sfumature di significato, alcune delle quali possono essere utili per comprendere il nostro contesto. “Stare”  è contrapposto a “cadere” (cf. ad es. Rm 14,4; 1Cor 10,12), evocando così la capacità di resistenza.
In 1Cor 10,12-13 l’immagine dello stare contrapposto al cadere evoca proprio la resistenza nella prova. Tenendo questo sullo sfondo, nel contesto della passione di Cristo, lo “stare” evoca dunque fedeltà nella prova, una fedeltà che si contrappone alla fuga degli altri discepoli  che hanno abbandonato il Signore, l’hanno tradito o rinnegato. “Stare” è dunque espressione di fedeltà. Ma è anche una fedeltà che dice comunione: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala”:  anche altre donne  “stavano”; non si può “stare” in solitudine, si può “stare” solo nella comunione. Quanta dignità e forza in questo “stare”: l’uso di questo verbo ci trasmette l’idea di un’insolita stabilità, dignitosa e piena di attenzione, nel saper “rimanere” nelle situazioni. E poi: Maria non sta “ai piedi” della Croce, quasi fosse icona di  sottomissione, passività e dolore, ma , è scritto nel Vangelo, sta “presso la Croce, in un significato di dignitosa forza e prossimità a Colui che soffre.
È quello che mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro, ci indica nell’ultima sua lettera pastorale, “Il fascino del Vangelo della tenerezza”, al n. 64, quando raccomanda di “essere popolo e curare le fragilità… questo, per gli operatori pastorali, significa, come per don Puglisi, rimanere vicini alla vita della gente, con una profonda attenzione piena d’amore, alla miseria umana, in quanto tocchiamo la carne sofferente degli altri”.
Vicinanza, ascolto, “farsi prossimo”: lo “stare” di  Maria è coscienza critica di fronte ai mali del mondo e questo è il compito che interpella gli uomini e le donne di oggi. Il dolore c’è nell’esperienza umana e questo è un dato incontrovertibile: ma può essere una vera scuola di compassione e di resurrezione. Con Maria, non ci si ferma a contemplare un Crocifisso, che se rimanesse per sempre inchiodato, diverrebbe uno dei troppi crocifissi aggiunti alla storia. Non si è come i due di Emmaus, che si erano fermati al Crocifisso e se ne andavano quindi con il volto triste. Con forza Edith Stein afferma: “La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa da richiamo verso l’alto”.

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Anna Rotundo

Anna Rotundo (Catanzaro) è laureata in scienza religiose: insegna religione nelle scuole secondarie, è componente del comitato di redazione del giornale diocesano Comunità Nuova" e di diverse altre riviste. Si occupa, tra l'altro, di cultura, diritti umani e diritti delle donne."

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