Papa - ©Servizio Fotografico L'Osservatore Romano

Messa Crismale. "Verità, Misericordia e Gioia": le tre grazie del Vangelo

Nell’omelia della Messa Crismale, Papa Francesco ha suggerito ai sacerdoti come dare il “lieto Annuncio”

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Le anfore di pietra delle nozze di Cana, la brocca che portava la Samaritana che Gesù incontra al pozzo, l’Otre immenso del Cuore trafitto del Signore. Sono le tre icone che Papa Francesco presenta ai sacerdoti nell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo nella Basilica di San Pietro, durante la quale viene benedetto l’olio che sarà usato per amministrare i sacramenti lungo l’anno.
Il Vescovo di Roma – che ha concelebrato con i preti della diocesi, che rinnovano le promesse fatte al momento dell’ordinazione – si è soffermato sul concetto di “lieto annuncio”, portato da Gesù “ai poveri”, come riferisce l’evangelista Luca.
Papa Bergoglio sottolinea che “tutto ciò che Gesù annuncia” è lieto. E, alla sua scuola, anche i sacerdoti sono chiamati a rendere “gioioso l’annuncio”. Questo lieto annuncio – prosegue – nasce dall’Unzione. La prima fu quella che “fece lo Spirito Santo nel seno di Maria” ed essa rimane intrisa di “Verità, Misericordia e Gioia”.
“Mai la verità del lieto Annuncio potrà essere solo una verità astratta, di quelle che non si incarnano pienamente nella vita delle persone perché si sentono più comode nella lettera stampata dei libri”, afferma il Papa. E – continua – “mai la misericordia del lieto Annuncio potrà essere una falsa commiserazione, che lascia il peccatore nella sua miseria perché non gli dà la mano per alzarsi in piedi e non lo accompagna a fare un passo avanti nel suo impegno”.
Al tempo stesso – prosegue – non “potrà essere triste o neutro l’Annuncio, perché è espressione di una gioia interamente personale”, ossia “la gioia di Gesù nel vedere che i poveri sono evangelizzati e che i piccoli vanno ad evangelizzare”.
Ecco allora che il Pontefice propone tre immagini che danno il senso a questo annuncio. Inizia dalle “anfore di pietra delle nozze di Cana”. Maria “è l’otre nuovo della pienezza contagiosa” e – continua – “senza la Madonna non possiamo andare avanti nel sacerdozio!”. Lei “ci permette di superare la tentazione della paura: quel non avere il coraggio di farsi riempire fino all’orlo, quella pusillanimità di non andare a contagiare di gioia gli altri”.
Un’altra donna è protagonista della seconda icona pensata da Francesco. Egli parla della brocca che porta sulla testa la Samaritana, che esprime la questione “della concretezza”. “Il Signore, che è la Fonte dell’Acqua viva, non aveva un mezzo per attingere l’acqua e bere qualche sorso – racconta il Santo Padre -. E la Samaritana prese dell’acqua dalla sua brocca con il mestolo e saziò la sete del Signore. E la saziò ancora di più con la confessione dei suoi peccati concreti. Scuotendo l’otre di quell’anima samaritana, traboccante di misericordia, lo Spirito Santo si versò in tutti gli abitanti di quel piccolo paese, che invitarono il Signore a fermarsi in mezzo a loro”.
Concretezza di cui si è fatta interprete Madre Teresa di Calcutta, la quale – ricorda il Papa – “con il suo sorriso e il suo modo di toccare con le mani le ferite, ha portato il lieto Annuncio a tutti. Il modo di toccare con le mani le ferite: le carezze sacerdotali ai malati, ai disperati. Il sacerdote uomo della tenerezza”.
Terza icona è l’Otre immenso del Cuore trafitto del Signore: “integrità mite, umile e povera, che attira tutti a sé”. Il Pontefice rammenta che “da Lui dobbiamo imparare che annunciare una grande gioia a coloro che sono molto poveri non si può fare se non in modo rispettoso e umile fino all’umiliazione”. Ecco allora che “non può essere presuntuosa l’evangelizzazione” e che “non può essere rigida l’integrità della verità, perché la verità si è fatta carne, si è fatta tenerezza, si è fatta bambino, si è fatta uomo, si è fatta peccato in croce”.
Bergoglio definisce questo atteggiamento una “mite integrità” che “dà gioia ai poveri, rianima i peccatori, fa respirare coloro che sono oppressi dal demonio”.
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Qui il testo integrale dell’omelia.

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Federico Cenci

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