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Suor Anna Monia Alfieri: "La donna ha sempre avuto un ruolo centrale nella società"

Nella scuola e nella società, come cambia il ruolo della donna: una riflessione della legale rappresentante dell’Ente Istituto di Cultura e Lingue Marcelline in Milano

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Si avvicina l’8 marzo. Se c’è una donna sicuramente impegnata in prima linea nell’ambito sociale, questi è suor Anna Monia Alfieri. Legale rappresentante dell’Ente Istituto di Cultura e Lingue Marcelline in Milano, da anni è impegnata in prima linea per restituire alla famiglia italiana la libertà di scelta educativa. Libera da pregiudizi e conformismi, ma schierata, lei stessa dichiara “Io sto dalla parte dello studente, che viene costantemente discriminato”.
Sappiamo anche della sua riservatezza, che la fa apparire una persona schiva. Allora osiamo il tempo di un’intervista per ZENIT. Lei compie nella più assoluta normalità questa “battaglia di civiltà”, pur (o forse soprattutto) essendo una donna.
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Oggi la donna è al centro della società. Ha modificato il suo ruolo e i suoi compiti?
Credo che la donna abbia sempre avuto un ruolo centrale nella società. Ricordiamo che i fondatori di tantissime congregazioni hanno pensato alla donna come educatrice, capace di formare i propri figli perché potessero cambiare la società dal di dentro, criticandola in modo costruttivo. Dunque, la donna è da sempre al centro della società. Probabilmente, a volte lei stessa e gli altri non sono stati capaci di riconoscerle questo ruolo fondamentale, che non è di comando o di sopraffazione, ma di servizio. Il vero problema è che, nella moderna società della globalizzazione, non vediamo più il ruolo come un servizio, ma come un potere. Lo dimostra anche lo scenario fatto di querelles veramente deludenti cui quotidianamente siamo costretti ad assistere. Il ruolo della donna certamente oggi è cambiato. Io ho 41 anni e ricordo che il ruolo di mia nonna era quello di accudire e custodire la famiglia; il ruolo di mia madre, che già apparteneva a una generazione differente, era sì di aver cura della famiglia, ma anche di aprirla alla società, intessendo relazioni sane e mature. Penso che il ruolo della donna oggi sia quello di essere nella società un fuoco vivo, capace di educare i figli (non solo quelli naturali, ma l’essere umano in generale); una figura integra e forte, in grado di affermarsi per le proprie idee, mettendosi sempre dalla parte del più debole. Ci sono donne che meritano il nostro plauso, perché hanno segnato la storia: pensiamo a Rita Levi Montalcini, alla Montessori, a Rosa Parks.
Sono donne meravigliose, e certamente il compito della donna è questo. Spesso i talk-show ci restituiscono diatribe inutili sulla donna, ma la donna è simpatica, sa affermarsi per il suo senso dell’ironia, per un’intelligenza scaltra, per un senso di autonomia, per la capacità di segnare positivamente la nostra società. Non ho mai creduto alle “quote rosa”, perché ritengo che siano la sconfitta più grande per la donna. Non mi sono mai chiesta se l’uomo lasci o meno spazio alla donna (o viceversa): non è una guerra fra le parti. Piuttosto, chiedo alla donna la capacità di riuscire ad affermare le proprie idee al servizio della società, cambiandola dal di dentro, perché sono delle buone idee.
Vede, quando qualcuno si batte per delle idee, ma poi cede, significa sempre che o non valevano nulla le sue idee o non valeva nulla lui. Credo che la donna oggi abbia un ruolo importantissimo. Dovremmo prendere le distanze dalla visione della donna come qualcosa da riscattare, da difendere: anche questo, infatti, è ridurla ad un oggetto e porla in secondo piano. Penso che la via maestra sia sempre quella dell’equilibrio, della normalità. Ci avviciniamo alla Festa della Donna: diamole un significato bello, positivo. La donna ha un ruolo fondamentale, che mai nessuno le potrà togliere: è madre, dà la vita. Dà la vita quando partorisce, naturalmente o anche moralmente. Rosa Parks, ad esempio, ha partorito la salvaguardia del diritto delle pari opportunità, sanando l’apartheid.
Nei ruoli istituzionali, spesso la donna viene “utilizzata”, o nel bene (progresso, sviluppo) o nel male (errori, malgoverno). Quale la strada giusta?
Sì, è così: nei ruoli istituzionali, spesso la donna viene “utilizzata”, perché facciamo ancora fatica a prendere le distanze da una cultura del pregiudizio, una cultura che guarda il contenitore. Le confido, proprio per la fiducia che nutro per lei e per i suoi lettori, un accadimento degli ultimi giorni. È venuto a trovarmi un signore, proponendomi un’attività per le scuole, e mi ha detto: “Guardi, io ero curioso di conoscerla, perché mi ha affascinato il fatto che il Presidente FIDAE Lombardia fosse una donna”. Quell’affermazione non mi ha fatto del male, ma mi ha permesso di fare le mie valutazioni sull’interlocutore. In un’Italia in cui i docenti non vogliono essere valutati, la valutazione è necessaria! I problemi istituzionali e di governo dell’Italia non sono certamente riconducibili a una donna o alle donne, ma piuttosto alla brutta abitudine tutta italiana di autocandidarsi, autoeleggersi, autodimettersi, autoproclamarsi… Abbiamo perso, invece, la capacità di farci valutare, di farci scegliere.
La donna può rappresentare una chiave di volta in questa situazione, se riuscirà ad affermarsi e – proprio in quanto è madre e dà la vita, come dicevo prima – a maturare un senso di autocritica e anche di critica costruttiva verso la società. Samantha Cristoforetti è andata sulla Luna e ha segnato una tappa, ma molta dell’attenzione riversata su di lei era dovuta al fatto che è una donna: se fosse stata un uomo, ci sarebbe parso un fatto normale, non straordinario. Dunque, sta anche alla capacità di noi donne far emergere anzitutto il positivo delle buone idee ed affermarle al servizio della società.
Mi stupisco, ormai da tanti anni, che nei nostri partiti non ci sia una donna capace di emergere come premier: è terribile. La domanda è: sono gli uomini che non lasciano questo spazio oppure è la donna a non essere capaci di affermarsi? Ho sempre avuto la volontà di mettere in chiaro le posizioni e di non cedere alla trappola della strumentalizzazione, rifiutando anche inviti in trasmissioni televisive che mi avrebbero permesso di parlare della libertà di scelta della famiglia e del pluralismo educativo, ma che – lo capivo – non avrebbero dato la giusta attenzione a questi importantissimi temi, ma avrebbero spostato l’attenzione su altro.
Una donna che ha una buona idea ha una marcia in più, perché ha la capacità di dire dei “no” (anche qualora gli eventuali “sì” facciano balenare la possibilità che l’idea passi). In questa sgradevole situazione, in cui istituzioni e governi sono presi da tristi querelles (mentre ci sono cittadini che non trovano lavoro, c’è gente che muore di fame, ci sono volontari che portano da mangiare ai profughi e ai senzatetto nelle stazioni…), mi auguro che emerga una donna coraggiosa, audace, intelligente e forte; capace di essere quella donna che nell’Ottocento uomini illuminati hanno visto come colei che sarebbe stata in grado di cambiare la società (e molte donne dell’Ottocento l’hanno fatto); capace di affermarsi nella nostra società conducendola, guidandola. Ci vuole una marcia in più, perché ci ha proprio stancato dover continuamente assistere a dissertazioni sterili e puerili, che appaiono discussioni di adolescenti e richiamano tantissimo la canzone “Vengo anch’io! No, tu no!”. Chissà che non sia la volta buona. Chissà che non emerga una donna capace di riscattare la società italiana, ristabilendo una Repubblica in grado di garantire i diritti che riconosce. Ecco, questo è il mio auspicio. Sono abituata non a dire che sono gli altri a precluderci gli spazi, ma piuttosto a considerare la mia capacità o meno di affermare le buone idee.
Così guardo alla donna, e so che oggi ci sono tantissime donne potenzialmente capaci di affermare le loro buone idee. Mi auguro che questo avvenga.
Nella scuola, la figura femminile è prevalente come numero di presenze, anche nei ruoli dirigenziali. Ma non tutte le dirigenti sanno utilizzare questo ruolo e compito, a scapito dell’immagine della donna, che assume connotazioni negative.
Sì, effettivamente la scuola è popolata maggiormente dal mondo femminile, perché esso ha di per sé la capacità di educare. Il ruolo dei docenti e dei dirigenti è fondamentale, perché possono contribuire a far maturare nei nostri ragazzi una coscienza critica capace di cambiare il mondo dal di dentro. Tuttavia, non saprei dire se oggi i dirigenti scolastici, donne e uomini, riescano o meno a vivere questo ruolo come servizio.
È noto come la penso: noi abbiamo una scuola che è considerata un ammortizzatore sociale. La buona scuola la fanno i buoni docenti, però i docenti non accettano la valutazione… D’altra parte, li abbiamo ingannati per anni, facendo laureare e aprendo poi concorsoni e TFA che sono andati ad allargare le GaE, che poi abbiamo dovuto svuotare: quindi è seguita l’“infornata” di centomila docenti, con i dirigenti che hanno ricevuto docenti in sovrannumero di cattedre e docenti che sono stati messi in segreteria, etc.
Le famiglie, che vedono mancare per i loro figli l’insegnante di una certa materia, che vedono il continuo cambiamento dei docenti e però dieci persone in segreteria, si domandano come mai. C’è perfino il caso di un docente che dichiara: “Io vengo pagato senza poter insegnare, perché non ho la cattedra”.
Se non smettiamo di considerare la scuola un ammortizzatore sociale e non mettiamo davvero al centro lo studente, permettendo alla famiglia di scegliere tra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, sotto lo sguardo garante dello Stato e con le leve della meritocrazia, della valutazione e del costo standard di sostenibilità (quindi a costo zero), non potremo mai capire se i dirigenti utilizzano bene o male la loro posizione come servizio.
Colgo l’occasione di questa intervista per chiedere a tutte le donne che vorranno leggerla, al Presidente della Repubblica, che è un uomo, al Premier, che è un uomo, alla Ministra, che è una donna, e peraltro sensibile a questi temi, ai sindacati, popolati da uomini e da donne, ai giornalisti, che non mi hanno mai negato il supporto in questa denuncia: come è possibile accettare ancora oggi il fatto che l’Italia è al 47° posto al mondo? Cioè che a Mosca e nella laica Francia si può scegliere tra la buona scuola pubblica statale e paritaria e in Italia no?
E questo nonostante la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Costituzione, la Legge 62, il buon senso. Noi discriminiamo questi bambini! Diciamo che il bambino ha il diritto di apprendere e la famiglia ha la responsabilità educativa; diciamo (poiché siamo una Repubblica) che può scegliere… Però, di fatto, non può farlo, perché nella scuola statale apparentemente non paga nulla, ma poi deve portare la carta igienica e la risma di carta, cadono i tetti e mancano i docenti; nella scuola paritaria, invece, deve pagare una seconda volta dopo aver pagato le tasse. Qui davvero ci vorrebbe una donna, una Rosa Parks che “si sieda” sulle sedie della scuola statale e della scuola paritaria e pretenda la garanzia di questi diritti. È qui che deve emergere una donna! Ricordiamo che la Festa della Donna è nata perché delle donne hanno dato la vita.
Qui ci vorrebbe davvero la sensibilità delle donne, il loro battersi per le pari opportunità, per sanare qualsiasi tipo di discriminazione. Da anni io denuncio questa del mondo della scuola, proponendo peraltro una soluzione, il costo standard di sostenibilità, resa nota al Governo Renzi e ora nelle mani del Governo Gentiloni e della Ministra Fedeli. Il costo standard di sostenibilità è già facilmente applicato nella sanità… Ironia della sorte: posso scegliere dove curarmi e dove morire, ma non dove farmi educare! Si tratta di una discriminazione gravissima, che consegno alle donne: per questo bisognerebbe battersi! Perché, se noi non siamo uno Stato capace di garantire i diritti, i nostri giovani non si riconosceranno soggetti di diritti e di doveri e, dunque, non riconosceranno neppure l’altro come soggetto di diritti e di doveri, e ne faranno ciò che vogliono. Abbiamo assistito ad eventi tragici, dove abbiamo visto donne capaci di rialzarsi con dignità, con eleganza, con coraggio, senza odio, ma in modo costruttivo. Mi piace ricordare Lucia Annibali, che ha saputo trasformare la tragedia di un soggetto incapace di riconoscere in se stesso e nell’altro un soggetto di diritto in una rinascita per sé e per tanti. Non dimentichiamo simili tragedie e rifuggiamo dal trasformarle in fenomeno, perché, così facendo, rischiamo di sentirci tutti assolti, cosa che non deve avvenire: ciascuno di noi è responsabile di quanto accade e, a volte, il nostro silenzio contribuisce molto ad alimentare certe discriminazioni.
La sensibilità è una dimensione che nelle donne dovrebbe prevalere: quando ciò non avviene, crolla un ideale. Ci sono, anche a scuola, donne asciutte, prive di vitalità e di sorriso. Sono donne insoddisfatte, che non sono capaci di donare e non hanno nulla da dare…
La sensibilità della donna è fondamentale, perché la donna, in quanto educatrice, riesce a raggiungere più facilmente i nostri studenti. Ognuno di noi, nella vita, ha fatto esperienza di figure asciutte: accanto a chi ha segnato la nostra storia in positivo, c’è anche chi l’ha segnata negativamente.
Anch’io ricordo che a scuola, accanto a figure che mi hanno affascinata a Dante, Manzoni, Leopardi, ho incontrato figure che mi hanno fatto prendere le distanze dalla geografia. Sembra una banalità, ma, quando abbiamo un ruolo, dovremmo porci nella capacità di servizio (e non di servircene).
Ai giovani dico questo: nella vita possiamo fare esperienza di figure positive e negative, ma la nostra capacità di rielaborare queste due esperienze ci rende uomini e donne migliori. Ci sono ferite che probabilmente porteremo con noi per sempre, ma noi non siamo le nostre ferite, le nostre sconfitte, così come non siamo i nostri successi: noi siamo una realtà molto più complessa. Ecco perché vorrei che ciascuno guardasse alla realtà dell’altro in un modo sempre più complessivo, mai parziale.
Nell’epoca del social network, probabilmente tutto questo stona. Il cyberbullismo, ad esempio, è un reato importante: vittima è chi lo subisce, ma anche chi se ne macchia. In tutto ciò, qual è il ruolo degli adulti? Credo che Rai Parlamento sia la pagina più diseducativa che ci sia: frequento le scuole da anni e non ho mai visto aule dove si verifichino simili scene di indisciplina (un allievo riceve una nota per molto poco, e la sospensione per ancor meno)! Quindi dovremmo cominciare, forse, da noi adulti. Parlo spesso della politica, perché la ritengo un’arte nobile e non perdo la speranza che recuperi questo suo valore, che la pone al servizio della società, abbandonando lo strano populismo fatto di una critica che non porta ad alcuna soluzione, le diatribe adolescenziali, le pagine di indisciplina scolaresca, dove la campanellina deve richiamare all’ordine. Se noi adulti riuscissimo a guardare alla realtà in un modo più complessivo e alla parola nel suo giusto significato, probabilmente scriveremmo delle pagine migliori anche per i nostri studenti e saneremmo molte piaghe. Le figure tiepide, che non ci dovrebbero essere, ci sono e ci saranno sempre, ma guardiamo a queste esperienze come a un trampolino di lancio e in un modo più complessivo.

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Giuseppe Adernò

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