«Mi dicono: se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà. Ed io rispondo: se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo e parlagli della libertà ».
Se i versi del poeta Khalil Gibran fossero scolpiti nei cuori, la libertà non sarebbe merce rara e tutti saremmo un po’ meno schiavi: del consumismo che ci assedia, della ‘ndrangheta che soffoca le nostre città, magari anche degli schiavisti di oggi, che fanno mercato di esseri umani da una costa all’altra del Mediterraneo e di quelli che nelle nostre campagne – con minor pericolo, ma uguale profitto – lucrano da caporali sulla fatica dei braccianti, pagati 2/3 euro l’ora.
Il caporalato è un fenomeno tutt’altro che relegato tra le pagine nere del passato: appena qualche giorno fa, a Bari, la Polizia ha arrestato sei persone ritenute responsabili della morte d’una donna letteralmente stroncata dalla fatica, dopo una giornata passata a raccogliere pomodori sotto il sole. Il fatto risale al 2015, ma le condizioni permangono, a cominciare dalla paga di fame corrisposta a dei poveri sfruttati, migranti e no, in molte aree del Paese ed in particolare al Sud e pure in Calabria.
Si tratta di 80.000 lavoratori stagionali in nero, gran parte dei quali in mano della criminalità organizzata. Oggi il caporalato è reato, grazie ad una buona legge che tuttavia non è bastata a sradicare il fenomeno. Pensare che potesse riuscirvi da sola era ed è probabilmente utopico, nel Paese in cui tra tante leggi sembra sempre che manchi quella basilare: l’etica. Solo coscienze rette riconoscono il bene dal male ed osservano le leggi. Ed è una coscienza ben formata ed educata a guidare secondo giustizia le scelte quotidiane e in ogni impresa e ad impedire di cercare esclusivamente il tornaconto personale, in barba alle leggi ed alla dignità delle persone. Come ha ricordato Papa Francesco, le regole sono davvero forti e benefiche quando sono, interiorizzate, avvertite e sentite cioè, come conferma di un dovere e del rispetto di un diritto riconosciute giuste e pertanto degne di essere osservate.
Questa consapevolezza spesso latita. Ecco perché è essenziale mettere fine ad ogni forma di sfruttamento e di schiavizzazione del lavoro e prosciugare il mare di illegalità e irregolarità delittuose e mafiose dentro cui sguazzano aguzzini, caporali ed imprese che utilizzano intermediazione illegale di manodopera mandando tra l’altro in rovina un settore vitale per le sorti di un Paese, quale quello agricolo, divenuto invece la base portante dello sviluppo in nazioni come l’Irlanda, anche attraverso una seria e rigorosa politica di incentivi in favore dei giovani.
È necessario insomma un maggiore impegno se si vuole vivere in un’Italia più equa, più solidale nel far affermare prima e presidiare poi – attraverso i tutori della legge – il bene comune: ciò che manca, e che serve, per avere finalmente una visione lungimirante. È questo il passo decisivo da compiere per consegnare alle generazioni future, vincendo l’istinto primordiale di divorare tutto e subito, un Paese più degno e veramente giusto.
Farmer in Kenya - flickr
Mons. Bertolone: "Difendere la dignità del lavoro per essere liberi"
Il caporalato è un fenomeno ancora attuale, come ricordano le recenti cronache