“La Chiesa non deve mai cessare di essere l’avvocata della vita”. Questa l’esortazione di Papa Francesco ai partecipanti alla Marche pour la Vie di Parigi.
Eppure, quella del 22 gennaio scorso potrebbe essere stata l’ultima Marcia di questo tipo sul suolo francese. Se domani, mercoledì 25 gennaio, fosse approvato il progetto di legge sul delit d’entrave, che punisce gli “ostacoli all’interruzione di gravidanza”, dunque vieta la propaganda a favore del diritto alla vita del nascituro.
Erano in 50mila a manifestare secondo gli organizzatori, più numerosi dei 45mila del 2015. Mentre secondo la polizia erano tra i 10.500 e gli 11.500, come il 2015. Dopo un anno di stop, il 2016, per via della sicurezza causata dall’emergenza terrorismo, i marcianti sono sempre più vivaci, giovani e decisi. Ci sono anche gli “ex” giovani, quelli che alla prima Marcia, nel 2005, avevano vent’anni e oggi sono sposati e genitori, ma sempre sulle ideali barricate.
In un pullulare di volontari immersi nella musica di Alvaro Soler, la Marcia è partita da Place Denfert-Eochereau, dove la statua di un leone sembrava Aslan di Narnia alla guida della resistenza per la vita, ed è arrivata a Place Vauban, dietro Les Invalides.
Presente il comitato esecutivo della Federazione europea One of us quasi al completo: Jaime Mayor Oreja, il presidente, Carlo Casini, il presidente onorario nonché presidente onorario del Movimento per la Vita Italiano, Thierry de la Villejegu, vice presidente e tesoriere della Fondazione Jerome Lejeune, Ana del Pino, coordinatrice della federazione One of us, Jakub Baltroszewicz, segretario, Elisabetta Pittino, Gregor Puppînk, Pablo Siegrist, Alex van Vuuren, membri e Gianluigi Gigli, nuovo membro nonché presidente del MpVI. Oltre a loro, sempre per Uno di Noi, erano presenti Enrico Masini dell’Associazione “Papa Giovanni XXIII”, con parte della sua famiglia, Anne Marie Yin insieme ad un altro rappresentante del Lussemburgo, Marina Casini, vice presidente del MpVI e ricercatrice del centro di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma, Anna Kovacova della Slovacchia.
Per il MpVI erano presenti, come da vari anni, i giovani di Bergamo guidati da Giampiero Mocchi. I militanti di Uno di Noi hanno sfilato con una maglietta con scritto in francese “Una forza per Uno di noi”, portando la rappresentazione del logo della Federazione, cioè una persona embrione, feto nelle sue varie fasi, bambino e adulto. “Ivg tous concernés”, cioè l’ “Interruzione di gravidanza riguarda tutti”, era il titolo della Marcia 2017.
L’11esima edizione della Marcia ha visto, oltre agli organizzatori storici come l’associazione “Choisir la vie”, che nel 2005 ha ideato la marcia, e alla Fondazione Jerome Lejeune, la partecipazione dell’associazione “Survivants” e i “Eveilleures”, cioè le Sentinelle.
I Survivants, sono i sopravvissuti all’aborto, cioè quelli nati dopo il 1975, dopo l’introduzione della legge Veil che ha permesso l’aborto in Francia. Loro, quelli che non l’hanno votata, si sono riuniti, da vari anni ormai, in questa associazione per fare sentire la loro voce dissidente. “La legge Veil l’hanno votata i nostri genitori, non noi” afferma Emile Duport, portavoce dei Survivants, un giovane di 36 anni che è uno degli autori della campagna di comunicazione della Marcia. “Si ritiene spesso che la donna sia l’unica interessata, ma la maternità è un’avventura collettiva, non isolata” spiega Duport.
E mentre alla Marcia si cantava e si leggeva lo slogan “Garder son bebé,c’est la vraie liberté”, cioè “tenere il proprio figlio è la vera libertà”, in Francia sono 229.000 i bambini abortiti. Jean-Marie Le Mené, presidente della Fondazione Jerome Lejeune lancia un appello ai candidati per la presidenza perché adottino una politica della salute che faccia abbassare il numero degli aborti, che in Francia sono due volte più numerosi rispetto a Spagna, Italia e Germania.
Se verrà approvato il progetto di legge che amplia il reato di ostacolo all’aborto (approvato già in commissione e in Senato) una Marcia per la vita non si potrà più fare.
Il reato di opposizione all’aborto è stato introdotto nel 1993 con la legge Neiertz, che puniva penalmente “l’incitazione a non abortire”. Successivamente il delit d’entrave è stato ampliato. Da allora varie persone che si sono opposte all’aborto sono state condannate, scrive Puppînck, direttore di ECLJ, cioè del Centro europeo per il diritto e la giustizia.
Tra i condannati, Puppînck ricorda il dott. Xavier Dor, che è stato anche incarcerato nel 1998, e un professore di storia del Liceo di Monosque al quale è stata revocata l’idoneità all’insegnamento per avere presentato agli alunni di una classe di seconda il film “No need TO argue” , ritenuto ostile all’aborto. A Cuba, ricorda Puppînck, “il medico dissidente Oscar Elias Biscet ha passato 11 anni in prigione per avere denunciato l’aborto e l’infanticidio neonatale”.
In seguito a due ampliamenti (la legge 508-2001 e la legge 873-2014) hanno allargato il reato di ostacolo all’accesso alle informazioni sull’Ivg. L’attuale proposta di legge, che si è scagliata contro i siti pro vita, inasprirà le pene e amplierà ancora di più il reato.
Marcia per la Vita Parigi 2017 - ZENIT EP
Parigi in marcia per la vita. Forse per l'ultima volta…
Migliaia di persone all’annuale appuntamento pro-vita francese. Domani si vota la legge che punisce gli “ostacoli all’aborto”: manifestazioni come questa rischiano di essere vietate