Una “notte di gloria”, di “luce” e di “gioia”. Così Papa Francesco ha salutato la notte santa della Natività del Signore durante la messa nella basilica di San Pietro.
“È una notte di gloria, quella gloria proclamata dagli angeli a Betlemme e anche da noi oggi in tutto il mondo – ha detto il Santo Padre nell’omelia -. È una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio, l’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce – ha proseguito -: quella luce, profetizzata da Isaia (cfr 9,1), che avrebbe illuminato chi cammina in terra tenebrosa, è apparsa e ha avvolto i pastori di Betlemme (cfr Lc 2,9).
Giungendo a Betlemme, i pastori trovano il “segno di sempre” che l’angelo aveva indicato loro: “la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio”.
Paradossalmente i Vangeli della Natività parlano dei “grandi di quel tempo” ma Dio non si manifesta “nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla”: quindi, per incontrarlo “bisogna andare lì” e “chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli”.
Gesù Bambino “ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà”.
Il pensiero del Pontefice è andato poi ai tanti bambini che oggi “non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide ‘mangiatoie di dignità’: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti”.
Francesco ha quindi lanciato un appello a lasciarsi “interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi”.
Il Natale, ha proseguito il Papa, porta con sé un “mistero di speranza e di tristezza”, laddove la tristezza nasce “in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata”, come avviene per Giuseppe e Maria, quando viene rifiutato loro l’alloggio.
“Gesù nacque rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più – ha commentato il Santo Padre -. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato”.
Il risvolto della speranza nel Natale è invece nella “luce di Dio” che “risplende” e “non fa paura”, con Dio che nasce “povero e fragile in mezzo a noi”, in una località, Betlemme, che significa “casa del pane”, la casa di chi nasce “pane per noi”, di chi “viene nel nostro mondo per portarci il suo amore”.
Gesù non viene al mondo per “divorare” e “comandare” ma per “nutrire e servire”. C’è un “filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori”.
“Nessuno è emarginato agli occhi di Dio” e lo dimostra il fatto che proprio gli “emarginati di allora”, i pastori, sono gli invitati privilegiati in quel primo Natale.
“Anche noi lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, a partire dai nostri limiti”, ha detto il Santo Padre, esortando a portare “a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite”, a contemplare “la bellezza di essere amati da Dio” e a dirgli: “grazie, perché hai fatto tutto questo per me”.
Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore - Foto © Servizio fotografico - L'Osservatore Romano
“Lasciamoci interpellare da Gesù che nasce ‘pane per noi’”
Durante la messa nella notte di Natale, papa Francesco esorta a riflettere sul dramma di tanti bambini che giacciono in “mangiatoie di dignità” e vivono il dramma della guerra o dell’abuso