Sebbene una parte della speculazione contemporanea abbia confinato l’arte nella dimensione del sentimento, dell’opinione, del gusto personale e dell’istinto, una adeguata spiegazione dell’opera d’arte sacra necessita di una riflessione ontologica e antropologica articolata, per la quale un punto di riferimento ancora e sempre costruttivo è costituito dalla definizione di arte, di matrice aristotelica: ars est recta ratio factibilium[1]. In questa ricchissima definizione, è utile sottolineare la presenza della ratio, che nel contesto dell’arte sacra, si unisce alla fides, tanto che potremmo definire l’arte sacra: fides et recta ratio factibilium[2].
L’arte è proprium dell’essere umano e, come ogni proprietà, si radica nella differenza specifica, la razionalità. Non si tratta di razionalità puramente speculativa, infatti l’arte ha un peculiare esito produttivo, poietico. Si tratta proprio di una ratio produttiva, capace cioè di terminare in una produzione singolare, esterna alla speculazione universale che l’ha preceduta come sua condizione necessaria.
Le belle arti sono espressione della conoscenza della bellezza, nel suo significato più profondo, che si radica nell’essere stesso delle cose e che si dà come fondamentalmente fruibile mediante i sensi: la vista e l’udito innanzitutto.
L’arte è un’attività eminentemente razionale, perché implica la conoscenza della realtà, a partire dalla sua visibilità, fino ai suoi aspetti che non si vedono o che non si possono vedere. L’arte è eminentemente razionale, anche perché il facere, cioè la produzione sua specifica, implica la capacità di dirigere degli atti fino al conferimento di una nuova forma a materie che non la possedevano.
La corrispondenza tra l’opera prodotta e il progetto dell’artista implica un grande lavoro che coinvolge tutte le capacità dell’artista, coordinate dalla ragione che dirige, giudica e controlla.
Potremmo dire che questa è la dimensione “naturale” dell’arte, in quanto è condotta con le risorse che naturalmente possiede ogni uomo in quanto uomo. L’arte “naturale” può condurre a una comprensione profondissima della bellezza del creato, tanto che una riflessione per l’arte e sull’arte può raggiungere la comprensione che “deve” esistere un Creatore che è tutto bello e fa belle le cose. L’arte che chiamiamo “naturale” vive una dimensione analoga alla teologia naturale, ovvero al discorso filosofico su Dio.
Anche all’arte, come alla filosofia e a tutte le dimensioni naturali dell’uomo, accade di trovarsi illuminata, elevata, perfezionata, dalla luce della Fede. La Fede sana tutto l’uomo, cosicché anche la produzione artistica dell’artista credente è più “luminosa”; inoltre, essendo l’arte rivolta alla ricerca della bellezza, la Rivelazione di una Bellezza senza limiti illumina in modo speciale l’attività artistica.
È utile ricorrere ancora all’analogia con la filosofia. L’arte di un artista credente è, infatti, simile al lavoro filosofico di un credente: la filosofia di un credente, pur non cessando di essere filosofia, risulta dotata di maggiori potenzialità.
La Fides et Ratio precisa che la Fede e la filosofia hanno intrecciato e intrecciano tre tipi di rapporti: «Il primo è quello della filosofia totalmente indipendente dalla Rivelazione evangelica»[3]; «Un secondo stato della filosofia è quello che molti designano con l’espressione filosofia cristiana […] Due sono gli aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede […] Vi è poi l’aspetto oggettivo, riguardante i contenuti»[4]; «Un altro stato significativo della filosofia si ha quando è la stessa teologia a chiamare in causa la filosofia. In realtà la teologia ha sempre avuto bisogno dell’apporto filosofico»[5].
Ebbene, analogamente, anche nella storia dei rapporti tra arte e Fede, potremmo individuare tre stati: un’arte autonoma rispetto alla Fede, un’arte cristiana illuminata dalla Fede e un’arte interpellata dalla Fede.
Questi tre stati dell’arte in relazione alla Fede sono in qualche modo allusi dal Concilio Vaticano II nei termini già prima analizzati: «Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra»[6]. Possiamo cioè individuare nelle “belle arti” la dimensione autonoma dell’arte, nell’“arte religiosa” la dimensione dell’arte illuminata dalla Fede e infine nell’ “arte sacra” la dimensione dell’arte che risponde alle esigenze della Fede.
L’arte autonoma rispetto alla Fede è l’arte nella sua dimensione che prima ho chiamato “naturale”, e si dà in modo evidente nei tempi e nei luoghi non raggiunti dal Cristianesimo. È evidente che l’arte che volontariamente si oppone al Cristianesimo non può ritenersi “autonoma” o “naturale”, in quanto appunto costituisce una sorta di dimensione deviata dell’arte raggiunta dalla Fede, una sorta di eresia, di scisma o addirittura di apostasia; può essere fatta rientrare nel panorama diffuso della “secolarizzazione”. Invece, l’arte “autonoma” rispetto alla Fede consiste in un’arte che può esprimere profondamente l’essenza dell’uomo, e dunque anche la sua religiosità, ma ignorando la Buona Novella. Infatti, anche l’arte nella sua ricerca della bellezza, come la filosofia nella sua ricerca del vero, è come se arrivasse sul limite di una domanda a cui solo la Rivelazione può dare una risposta.
L’arte illuminata dalla Fede consiste nella produzione artistica operata da persone che hanno lasciato che la Fede purificasse tutto il loro essere, dunque la propria attività artistica, ed anche i contenuti: questa è l’arte propriamente religiosa, di cui abbiamo innumerevoli esempi in pittura, in musica, in poesia. L’arte riesce in questo modo “a rendere avvertibile un mondo invisibile”[7], che con gli occhi della Fede è riuscita a vedere o intravedere.
Infine, esiste anche uno stadio in cui l’arte è chiamata dalla Fede a un ruolo più specifico: si tratta dell’arte sacra. Come la teologia ha “bisogno” della filosofia, così la Chiesa ha espresso il proprio bisogno dell’arte: «Ora a voi tutti, artisti, […] Oggi, come ieri, la Chiesa ha bisogno di voi e si volge verso di voi»[8]. Qui ancora l’analogia può esserci utile. Il rapporto tra arte in quanto tale e arte sacra è simile al rapporto tra filosofia e teologia (nel senso di Sacra Doctrina). Non si può fare teologia senza Fede; allo stesso modo non si può fare arte sacra, in senso proprio, senza Fede.
Se il facere dell’arte necessita della ratio come sua condizione necessaria, l’arte sacra necessita in più anche della Fede, come sua ineliminabile condizione strutturante. Il Mistero può essere rappresentato senza profanarlo solo se lo si guarda con gli occhi della Fede; la narrazione evangelica può essere rappresentata dalle arti belle, senza cadere in traviamenti, solo se è intesa nella prospettiva della Fede.
L’arte sacra ha anche un suo specifico ruolo di risposta alle necessità della Fede, facendosi ancella della Chiesa.
La liturgia è il luogo in cui in modo eccellente l’arte presta il suo servizio ancillare; al proposito, il Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium usa proprio il termine “servizio”, anzi “nobile servizio”: «la santa madre Chiesa ha sempre favorito le belle arti, ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente per far sì che le cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, per significare e simbolizzare le realtà soprannaturali»[9].
Utilizzando ancora l’analogia con la filosofia, potremmo affermare che come la filosofia è signora in casa propria e ancella in casa della teologia[10], analogamente l’arte è signora in casa propria e ancella in Chiesa. Dunque, l’arte ha le proprie indiscutibili regole, ma quando diventa arte sacra e arte liturgica, deve porsi al servizio della Chiesa, diventare ancella, farsi serva[11].
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L’Accademia Urbana delle Arti , terrà domani sera, mercoledì 14 dicembre 2016, alle 18, il suo prossimo appuntamento del ciclo di conferenze I Mercoledì dell’Accademia. Maurizio Schoepflin discuterà del tema L’arte tra ragione e fede.
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[1] Così Tommaso d’Aquino, facendo riferimento ad Aristotele: «Ratio autem rei fiendae in mente facientis ars est; unde Philosophus dicit (Ethic., VI, c. 5) quod ars est recta ratio factibilium». Tommaso d’Aquino, Contra Gentiles, lib. 1 cap. 93, n. 4.
[2] Uso i termini “ratio” e “Fides” secondo il significato della tradizione di pensiero a cui fa riferimento la lettera enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II.
[3] Fides et Ratio, n. 75
[4] Ibid., n. 76.
[5] Ibid., n. 77.
[6] Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 122.
[7] Concilio Vaticano II, I messaggi della Chiesa al mondo. Agli artisti, 8 dicembre 1965.
[8] Concilio Vaticano II, I messaggi della Chiesa al mondo. Agli artisti, – corsivo aggiunto. Questo “bisogno” dell’arte da parte della Chiesa, è espresso più volte nella Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II, 4 aprile 1999, soprattutto nei nn. 12-13.
[9] Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 122.
[10] Cfr.A. Vendemiati, In prima persona. Lineamenti di etica generale, Urbaniana University Press, Roma 20083, pp. 18-22.
[11] Forse oggi è necessario sottolineare in modo speciale la dimensione autonoma della filosofia, affinché possa prestare il migliore servizio alla teologia (così possiamo comprendere dalla Fides et Ratio, e anche per esempio dall’allocuzione scritta -ma non pronunciata- da Benedetto XVI per la visita all’Università la Sapienza di Roma, 17 gennaio 2008); mentre nel caso dell’arte è forse necessario sottolineare maggiormente la dimensione del servizio, essendo frequente la pretesa che qualunque forma artistica diventi liturgica.
Ingresso a Gerusalemme, di Giotto di Bondone / Wilimedia Commons - Source/Photographer Web Gallery of Art, Public Domain
L’arte sacra tra fede e ragione
La Rivelazione di una Bellezza senza limiti illumina in modo speciale l’attività dell’artista