Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa così recita al punto 362: “La globalizzazione alimenta nuove speranze, ma origina anche inquietanti interrogativi”. È innegabile il beneficio che deriva dall’intreccio tra telecomunicazioni e relazioni economiche e finanziare: risparmi, facili scambi, transizioni monetarie su scala planetaria. Progresso tecnologico e globalizzazione economica si sono rafforzati a vicenda, consentendo un dinamismo che qualche tempo addietro era del tutto impensabile. In tempo reale si spostano ormai capitali di grossa quantità, permettendo la nascita di un inedito sistema di relazioni.
Ma è tutto così lineare e tranquillo? La risposta emerge sempre nello stesso punto della DSC: “Analizzando il contesto attuale, oltre ad individuare le opportunità che si dischiudono nell’era dell’economia globale, si colgono anche i rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie”. Mentre si accelera sui percorsi nei quali le strategie di mercato attuali affondano le proprie radici, si rallenta nei confronti del benessere globale, con l’aumento delle disuguaglianze. Un fenomeno che riguarda sia i paesi in via di sviluppo, sia i paesi avanzati, sia l’interno delle realtà che già hanno una economia abbastanza progredita.
Ricchezza da una parte, crescita della povertà dall’altra. L’Istat proprio in questi giorni ha attestato che, in Italia, oltre una persona su quattro è a rischio di povertà e di esclusione. La Dottrina Sociale della Chiesa al punto 363, in pieno spirito evangelico, prende posizione netta su questo tema che colpisce tutti gli Stati del mondo, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri: “La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico”.
Tutto questo succede mentre a parole ogni governo dice di mettere nella sua agenda al primo posto le difficoltà economiche dei cittadini indigenti. Se i risultati sono quelli avanzati dall’Istituto nazionale di statistica, c’è di sicuro da preoccuparsi ma allo stesso tempo urge mettere in campo ogni revisione possibile, per dare vita ad una stagione che apra a nuove prospettive per tutti. La solitudine dell’uomo avanza a dismisura, tra l’illusione di avere il mondo in casa “navigando” e perdendo di pari passo la forza delle relazioni sociali e le giuste occasioni culturali ed economiche, per dare prestigio e solidità alla personalità di ognuno.
Si globalizza il denaro, si divide l’uomo nella sua vera struttura vivente. Specie la globalizzazione selvaggia, che si nutre di solo denaro, brucia il lavoro e con esso la dignità di milioni di individui. Così, se da una parte questo fenomeno straordinario doveva accorciare i tempi delle tante crisi sulla terra, dall’altra ha allargato di fatto la forbice della precarietà generale, acuendo la sofferenza fisica e interiore. Dice Papa Francesco: “…se la globalizzazione è una sfera nella quale ogni punto è uguale, equidistante dal centro, annulla, non è buona; se, invece, la globalizzazione unisce, come un poliedro nel quale tutti sono uniti e ognuno conserva la propria identità, allora è buona e fa crescere un popolo, e dà alle persone dignità e le conferisce dei diritti” (Incontro per la Libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati nell’Independence Mall di Philadelphia, 26 settembre 2015).
C’è ancora molto da fare, perché su questo terreno si gioca la stabilità del mondo e quel senso di giustizia che pervade le attese di una infinità di persone lasciate sole. Nella prima lettera di Timoteo emerge la fugacità della ricchezza materiale, ribaltando l’ingordigia di chi, pur di arricchirsi, è disposto ad emarginare più gente possibile. “A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell’instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera” (1Tm 6,17).
Chi opera per il profitto fine a se stesso, non accorgendosi della sofferenza altrui, partecipa ad un progetto di vita che nulla a che vedere con il cielo. Si organizza per una temporaneità dorata, escludendo la ricchezza interiore che porta a Dio. Leggiamo in proposito nel libro di Tobia: “Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo. In proporzione a quanto possiedi fa’ elemosina, secondo le tue disponibilità; se hai poco, non esitare a fare elemosina secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e impedisce di entrare nelle tenebre. Infatti per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo” (Tb 4).
Chiudiamo con il Siracide da dove arriva un messaggio di grande attualità: “Rinserra l’elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni disgrazia” (Sir 29,12). Si può, come è giusto, partecipare a qualsiasi azione finanziaria tesa a far progredire la vita delle comunità in ogni angolo della terra, ma non si può, pur nel tempo della globalizzazione, far proliferare lo stato di povertà e la solitudine di milioni di persone, per rispondere alla logica del solo profitto drogato e malato.
Pixabay CC0
La globalizzazione, il profitto e la solitudine crescente
Si può, come è giusto, partecipare a qualsiasi azione finanziaria che faccia progredire la vita delle comunità ma non si può far proliferare la povertà di milioni di persone