L’epoca di Sant’Ambrogio è, per molti versi, simile a quella attuale: la crisi di una civiltà e l’albore indefinito di una civiltà nuova. In questo senso Milano è uno specchio dell’Europa contemporanea e vicende come gli “attentati in Belgio o in Francia”, la “Brexit” o il “diffondersi di populismi nazionalisti”, ci costringono a chiederci una volta in più: “quale Europa vogliamo?”. È questo l’interrogativo sollevato dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, nel tradizionale Discorso alla Città, tenuto stasera in Duomo, in occasione dei Vespri della festa patronale Sant’Ambrogio.
“Vogliamo interrogarci sull’Europa per meglio cogliere il compito e il contributo di Milano e della Lombardia nella costruzione del futuro del Vecchio Continente”, ha detto il porporato. “In un’epoca in cui – ha aggiunto – non sembra più neppure possibile coniugare il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà, visto che l’Europa sembra da troppo tempo incapace di agire – oltre che di pensare – in modo efficace”.
Milano, ha ricordato il cardinale, è situata in un “punto nevralgico” del vecchio continente, “il vertice inferiore del quadrilatero centrale dell’Europa economica, il baricentro dell’asse europeo est-ovest e il vertice settentrionale del collegamento con il Mediterraneo”.
Anche per la sua posizione strategia, il capoluogo lombardo ha assunto i tratti caratteristici della “capitale atipica” e “si è ritrovata e si ritrova, quasi suo malgrado, a guidare processi di sviluppo e di innovazione fortemente connessi con le dinamiche delle culture e delle idee europee”.
Pur non essendo sorta su “ricchi giacimenti di materie prime”, pur non essendo un “grande porto”, pur non avendo “ospitato a lungo Papi o Re”, né avendo mai visto “l’afflusso dei beni coloniali”, Milano “è cresciuta per il saper fare e l’ingegno dei suoi cittadini, per la capacità di attirare gente libera, gente che spesso aveva fame, gente che aveva voglia di lavorare. Gente solidale, che si mescola, si incontra e coopera”, ha osservato Scola.
Nel suo “dinamismo”, non privo di “forti contraddizioni” (“dal problema urbanistico e della casa, al degrado di alcune zone periferiche, da una povertà e fenomeni talora vistosi di esclusione, diffusi a macchia di leopardo, all’accoglienza e all’integrazione delle minoranze etniche”), l’area metropolitana milanese accoglie sul suo territorio 10,5 milioni di persone e “produce il 30% del Pil nazionale”, ha ricordato l’arcivescovo.
La ‘fortuna’ di Milano è quindi tutta nell’“ingegno” dei suoi abitanti, nel loro “gusto del lavoro e dell’artigianato come arte”, nel “saper fare”, nella “concretezza”, che hanno dato vita a “uno sviluppo fortemente centrato sulle persone e sulle famiglie, sul loro talento e sulla loro intraprendenza, su quel protagonismo e capacità di accoglienza che ha portato a sintesi in passato la presenza di tante comunità e diversità provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo”.
Un altro fenomeno degli ultimi anni, sottolineato dal cardinale Scola è la crescita del turismo, al punto che il “nel periodo 2010/2015 ha visto incrementare gli arrivi e le presenze di circa un terzo. L’offerta culturale diventa sempre di più un fattore di sviluppo anche economico”.
Nella seconda parte del Discorso alla città, il porporato si è soffermato sul processo di integrazione europea, i cui padri – De Gasperi, Schuman e Adenauer – concepirono innanzitutto come “progetto di pace” e, almeno inizialmente, “l’unificazione e la comunitarizzazione di mercati settoriali” non sembrò esigere dagli Stati “una corrispondente riformulazione dei campi di competenza statale”. L’unione monetaria è però corrisposta ad una “opzione politica forte” e la prospettiva economica è diventata quella “prevalente”, iniziando ad “intaccare il nucleo forte della sovranità nazionale”.
Non sono mancate battute d’arresto come la mancata ratifica del Trattato Costituzionale Europeo, “segno, forse, che i valori attuali dell’integrazione europea – diritti, doveri e democrazia – non risultano apprezzati o compresi da quei popoli cui spetta approvare il cammino comunitario”. Al punto che si parla di “declino dell’Europa a partire da quattro ‘emergenze’ sotto gli occhi di tutti: il terrorismo, l’ondata migratoria, la crisi finanziaria e la crisi politica”.
Gli attentati di Bruxelles e Parigi sono il segno della “impotenza dell’Europa, divisa e incapace persino di capire quali siano i veri problemi e la vera posta in gioco”, mentre l’onda migratoria mostra “l’incapacità di pensare anzitutto in termini di accoglienza”, come auspicato da papa Francesco: tutti “sintomi di un fallimento e di un declino complessivo dell’Europa come protagonista di fronte a questa marea umana di sofferenza”.
La crisi politica e quella finanziaria, poi, sono fenomeni che si intrecciano, in quanto “i luoghi del potere sono oggi più diffusivi, meno identificabili, più anonimi”.
A queste quattro emergenze, Scola aggiunge la “gravissima situazione demografica” che ne nostro paese si riscontra con la perdita del “15% dei nati”.
A fronte di questa crisi generale diviene necessario domandarsi se l’Europa “sia in grado di incarnare ancora un’idea politica forte, quale è stata quella che negli anni Cinquanta è riuscita ad aggregare i primi Stati membri”. Nella complessità attuale, ha puntualizzato Scola, “l’Europa non è un’opzione, ma una vera e propria necessità”, le cui radici si rintracciano “nel nucleo del cristianesimo” e nelle “implicazioni” antropologiche, sociali e culturali contenute nella rivelazione trinitaria – dalla singolare visione della dignità della persona e dell’insuperabilità della differenza sessuale, alla concezione della libertà e del suo rapporto con la verità, fino alla salutare distinzione tra società civile e dimensione religiosa e al riconoscimento del valore della sussidiarietà e della solidarietà”.
In questo scenario, si manifesta il processo del “meticciato di civiltà” e della “Europa famiglia dei popoli” auspicata da papa Francesco.
A fronte di chi preconizza “l’inesorabile cedimento delle tradizioni religiose”, la Chiesa ambrosiana può “testimoniare a tutti i milanesi e agli europei di oggi e di domani, anche ai fedeli di altre religioni e ai non credenti, come il cristianesimo sia in grado di contribuire alla vita buona delle nostre democrazie di stampo procedurale”.
Alla luce di ciò, Milano è, dunque, città dalle radici eminentemente cristiane, tuttavia è necessario chiedersi “cosa significa concretamente vivere da cristiani oggi a Milano”, ferma restando la necessità che “gli uomini e le donne del nostro tempo possano incontrare e convivere con i testimoni del Risorto”.
Il cardinale Scola ha quindi suggerito alcuni “tratti del cristianesimo del futuro”, individuabili in primo luogo nel “cristianesimo dell’amore personale”, ovvero nella “testimonianza”, nella “promozione” e nella “protezione della vita e sulla famiglia fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna”. Altro elemento è un “cristianesimo della conoscenza del mondo”, ovvero l’apertura della fede alla scienza e, oggi, in particolare, alla “questione ecologica”.
Altro caposaldo: la “libertà di coscienza”, secondo una concezione non equivoca dei “diritti individuali”, rispettosa della “obiezione di coscienza” come “baluardo di democrazia” e lontana da ogni “relativismo giuridico”. Un compito per il quale, “i cristiani dovranno essere disposti a collaborare secondo la logica della testimonianza che non esclude il martirio”.
Ultimo fattore indicato dall’arcivescovo di Milano è l’“impegno comunitario e sociale”, per il quale “i cristiani porteranno il loro contributo per ricostruire un’esperienza del bene comune che stia a fondamento dell’impegno politico e nutra un’altra idea di Europa dopo che quella burocratica e finanziaria è diventata da sola inservibile”.
“Il futuro dell’Europa sta davanti a noi milanesi come compito affidato alla nostra libertà. Esso non potrà attuarsi se non a partire dal sano connubio tra il reale e l’ideale che caratterizza essenzialmente le terre e la Chiesa ambrosiane”, ha poi concluso il cardinale Scola.
Foto: Arcidiocesi di Milano
Card. Scola: “Europa sia per il bene comune, non solo burocrazia e finanza”
Nel tradizionale “Discorso alla Città” per Sant’Ambrogio, l’arcivescovo di Milano suggerisce quattro spunti per un “cristianesimo del futuro” da irradiarsi nella sua diocesi e nell’intero continente