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torta nuziale - Pixabay

Povera e sfiduciata Italia, dove sposarsi non conviene

I dati Istat fotografano un Paese senza lavoro stabile, che non fa figli e che si sposa poco. Del resto permane un paradosso: chi decide di mettere su famiglia è penalizzato dal fisco

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C’era una volta l’Italia che convolava a nozze e che procreava, fondata su relazioni stabili e con una visione ottimistica del futuro. C’era una volta ed oggi non c’è più. È proprio il caso di dirlo dopo aver letto il 50esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.
Lo scenario che emerge è quello di un’industria che investe sempre meno e di una gioventù intrappolata nella frustrante tela dei “lavoretti” sommersi, a basso costo e a bassa produttività. Il 61% degli italiani è rassegnato all’idea che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni. Del resto è lo stesso istituto di ricerca a rilevare che per la prima volta i figli saranno più poveri dei genitori.
L’effetto domino verso l’abisso appare inarrestabile, giacché di figli ne nascono sempre meno. La natalità è a picco – nell’ultimo anno sono nati 485mila bimbi, record negativo dall’Unità d’Italia – ecco allora che aumenta la popolazione anziana (il 22% del totale) e diminuisce quella giovane (i minori sono il 16,5% del totale). Risultato? La mancanza di giovani provoca stagnazione e incupisce la società.
E un Paese così sfiduciato è anche un Paese dove le relazioni diventano sempre più liquide. I single non vedovi sono 4,8milioni (+52,2% nel periodo 2003-2015), 1,5milioni di genitori soli (con un incremento nello stesso periodo del 107% dei padri soli e del 59,7% delle madri sole), 1,2 milioni di libere unioni (+108%), con un decollo verticale di quelle tra celibi e nubili (+155,3%) e delle famiglie ricostituite non coniugate (+66,1%), mentre nello stesso arco di tempo diminuiscono le coppie coniugate (-3,2%) e più ancora quelle coniugate con figli (-7,9%).
Provocatoriamente Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, ha commentato questi dati sottolineando che, d’altronde, “oggi in Italia conviene separarsi” per ottenere più vantaggi sulla casa, l’asilo nido, la scuola, le tasse, gli assegni di mantenimento.
Una provocazione sì, che nasce tuttavia dall’osservazione di fattori oggettivi. Basta fare una breve indagine nell’intricato mondo della burocrazia e del fisco per comprendere come la famiglia, anziché essere considerata nucleo fondante della società, è oggi soggetto discriminato.
Il primo a discriminarla è l’Isee, l’indicatore economico che stabilisce chi ha i requisiti per accedere a determinati bonus statali. Secondo l’Isee, due coniugi fanno parte dello stesso nucleo anche se non vivono insieme. Nel caso invece di due genitori non sposati e non conviventi, uno dei due genitori non rientra nel nucleo familiare e di conseguenza il suo reddito non rientra nel calcolo Isee, che sarà più basso.
Discorso simile per gli assegni familiari. Una coppia convivente può permettersi di non far rientrare il reddito di uno dei due componenti della coppia, magari quello più alto, nel reddito familiare, così da poter beneficiare di un assegno di importo superiore.
Non da meno le esenzioni ticket sanitari riguardo ai figli. Per esse si tiene conto del reddito di entrambi i genitori, se sposati. Altrimenti, se conviventi, viene considerato soltanto il reddito di uno dei due.
Figli di coppie non sposate che hanno anche più facilità ad accedere agli asili nido. Gli enti locali, infatti, assegnano un punteggio maggiore nelle graduatorie ai figli di genitori soli. E lo stesso favoritismo è applicato dai bandi per accedere alle case popolari. Infine l’assegno sociale, prestazione di sostegno a coniugi sopra i 65 anni, valuta lo stato di bisogno economico sul reddito coniugale se il richiedente è sposato. Se non lo è (o è separato), vale solo il reddito personale.
Non è affatto un caso che in un contesto socio-economico così poco rassicurante, la famiglia sia stata relegata a recitare il ruolo di cenerentola. Eppure c’è un dato, tra quelli pubblicati dal Censis, che dovrebbe far riflettere: spesso interi nuclei familiari sopravvivono sulle spalle dei nonni. Un dato che testimonia il ruolo di ammortizzatore sociale che ricopre la famiglia.
Sarebbe forse opportuno che l’importanza di questo corpo sociale intermedio venisse riconosciuta con più incisive azioni concrete di sostegno. Chissà, per la classe politica potrebbe essere anche l’occasione per ricucire un rapporto con un popolo che – rileva sempre l’Istat – si sente “rancorosamente” vittima di una casta.

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Federico Cenci

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