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Cantalamessa: "Lo Spirito Santo è l'Amore, non un parente povero nella Trinità"

Nella prima predica d’Avvento, il cappuccino, a partire dalla “teologia del terzo articolo”, riflette sulla terza persona della Trinità: “la meno conosciuta e amata, nonostante sia l’Amore in persona”

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Lo Spirito Santo “non è un parente povero nella Trinità”, tantomeno un semplice “modo di agire di Dio” o, come pensavano gli stoici, “una energia o un fluido che pervade l’universo”. Non è neppure la “terza persona singolare” della Trinità, quanto piuttosto “la prima persona plurale”; l’amore, come diceva Sant’Agostino, che tiene uniti “il Padre che ama” e “il Figlio l’amato”.
Nella sua prima predica d’Avvento di questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, il cappuccino padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, colma un vuoto della riflessione teologica concentrandosi su quella che, a giusta ragione, può considerarsi “la novità maggiore del dopo Concilio, nella teologia e nella vita della Chiesa”, ma che tuttavia rimane “la persona meno conosciuta e amata” della Trinità: lo Spirito Santo.
Già il Vaticano II “non aveva certo ignorato la sua azione nella Chiesa, ma ne aveva parlato quasi sempre en passant, menzionandolo spesso, ma senza metterne in luce il ruolo centrale, neppure nella costituzione sulla Liturgia”. Tanto che Yves Congar, tra gli storici padri conciliari, parlò di uno Spirito Santo “sparso qua e là nei testi, come si fa con lo zucchero sui dolci che, però, non entra a far parte della composizione della pasta”. Tuttavia fu proprio il Concilio a dar via al “disgelo”, afferma padre Cantalamessa. “Possiamo dire che l’intuizione di San Giovanni XXIII del Concilio come di ‘una novella Pentecoste per la Chiesa’ ha trovato la sua attuazione solo in seguito, a Concilio concluso, come è avvenuto spesso, del resto, nella storia dei Concili”.
Ne è un segno il Rinnovamento carismatico, che nel 2017 celebra il 50° anniversario dell’inizio: la dimostrazione più evidente – considerando la vastità del fenomeno – “del risveglio dello Spirito e dei carismi nella Chiesa”. E ne sono un segno i trattati teologici sullo Spirito moltiplicatisi dopo la fine del Concilio: dallo stesso Congar, a Rahner, Mühlen e von Balthasar, tra i cattolici; da Moltmann a Welker, tra i luterani. Poi l’enciclica di Giovanni Paolo II “Dominum et vivificantem” e i due volumi “Credo in Spiritum Sanctum” della LEV che raccoglievano gli atti del Congresso internazionale di Pneumatologia del 1982, in Vaticano.
Negli ultimi anni, poi, “stiamo assistendo a deciso un passo avanti in questa direzione”, sottolinea Cantalamessa, richiamando la “provocatoria” affermazione di Karl Barth sullo sviluppo di “una diversa teologia”, la “teologia del terzo articolo” (in riferimento all’articolo del Credo sullo Spirito Santo). “Il suggerimento non è caduto nel vuoto”, dice padre Raniero, precisando che tale orientamento “non voglia sostituirsi alla teologia tradizionale, ma piuttosto affiancarla e vivificarla”. Esso “si propone di fare dello Spirito Santo non soltanto l’oggetto del trattato che lo riguarda, la Pneumatologia, ma per così dire l’atmosfera in cui si svolge tutta la vita della Chiesa e ogni ricerca teologica, la ‘la luce dei dogmi’”.
Il predicatore della Casa Pontificia parla di un “Credo letto dal basso”, nel senso che “nel Credo attuale, si parte da Dio Padre e creatore, da lui si passa al Figlio e alla sua opera redentrice, e infine allo Spirito Santo operante nella Chiesa”. Nella realtà, invece, “la fede seguì il cammino inverso”: “Fu l’esperienza pentecostale dello Spirito che portò la Chiesa a scoprire chi era veramente Gesú e quale era stato il suo insegnamento. È il Paraclito che, secondo la promessa di Gesù, conduce i discepoli alla ‘piena verità’ su di lui e sul Padre”.
Come affermava San Basilio di Cesarea: “Il cammino della conoscenza di Dio procede dall’unico Spirito, attraverso l’unico Figlio, fino all’unico Padre; inversamente, la bontà naturale, la santificazione secondo natura, la dignità regale, si diffondono dal Padre, per mezzo dell’Unigenito, fino allo Spirito”. Dunque, “nell’ordine della creazione e dell’essere, tutto parte dal Padre, passa per il Figlio e giunge a noi nello Spirito; nell’ordine della redenzione e della conoscenza, tutto comincia con lo Spirito Santo, passa per il Figlio Gesù Cristo e ritorna al Padre”, rimarca il cappuccino.
Precisando che “questo non significa minimamente che il Credo della Chiesa non sia perfetto o che vada riformato”, ma che a volte sarebbe utile cambiare “il modo di leggerlo”. In proposito, Cantalamessa richiama Sant’Atanasio, il quale spiegava che lo Spirito “non può essere una creatura perché quando siamo toccati da lui (nei sacramenti, nella Parola, nella preghiera) facciamo l’esperienza di entrare in contatto con Dio in persona, non con un suo intermediario. Se ci divinizza, vuol dire che è lui stesso Dio”.
Da qui il cappuccino pone tre domande, a partire dall’espressione desunta da diversi passi del Nuovo Testamento, secondo cui lo Spirito Santo “dà la vita”. “Che vita dà lo Spirito Santo?”, domanda, “da la vita divina, la vita di Cristo. Una vita super-naturale, non una super-vita naturale; crea l’uomo nuovo, non il superuomo di Nietzsche ‘gonfio di vita’”. E “dove la dà questa vita?”. Nel Battesimo, presentato come un “rinascere dallo Spirito”, “nei sacramenti, nella parola di Dio, nella preghiera, nella fede, nella sofferenza accettata in unione con Cristo”.
Terzo quesito: “Come ci dà la vita, lo Spirito?”. “Facendo morire le opere della carne!”, risponde Cantalamessa.  E spiega che a distinguere lo Spirito Santo dal Padre è il fatto “che procede da lui (altri è colui che procede, altri colui dal quale egli procede!)”; mentre dal Figlio si distingue per il fatto “che procede dal Padre non per generazione, ma per spirazione; per esprimerci in termini simbolici, non come il concetto (logos) che procede dalla mente, ma come il soffio che procede dalla bocca”.
Nonostante tutto, “lo Spirito Santo resterà sempre il Dio nascosto, anche se ne conosciamo gli effetti”, afferma il predicatore. “Egli è come il vento: non si sa da dove viene e dove va, ma si vedono gli effetti del suo passaggio. È come la luce che illumina tutto ciò che sta davanti, rimanendo essa stessa nascosta. Per questo è la persona meno conosciuta e amata dei Tre, nonostante sia l’Amore in persona”.
“Ci è più facile pensare al Padre e al Figlio come ‘persone’, ma ci è più difficile per lo Spirito”, sottolinea il cappuccino, “non ci sono categorie umane che possono aiutarci a comprendere questo mistero. Per parlare dello Spirito Santo non abbiamo se non la rivelazione e l’esperienza”. Per questo la stessa Scrittura parla di lui servendosi quasi sempre di simboli naturali: “la luce, il fuoco, il vento, l’acqua, il profumo, la colomba”.
“Comprenderemo pienamente chi è lo Spirito Santo solo in paradiso”, conclude il predicatore della Casa Pontificia. “Anzi lo vivremo in una vita che non avrà fine, in un approfondimento che ci darà gioia immensa. Sarà come un fuoco dolcissimo che inonderà la nostra anima e la colmerà di beatitudine, come quando l’amore investe il cuore di una persona e questa si sente felice”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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