Emiliano Manfredonia (foto: Facebook)

Acli: "sì" al Referendum costituzionale per aprire una stagione di riforme

Il vicepresidente vicario Emiliano Manfredonia vede nella riforma Renzi-Boschi un’opportunità per “dare all’Italia una svolta che aspetta da oltre vent’anni”

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

“Sì” al referendum costituzionale per “avviare una nuova stagione di riforme e per dare all’Italia una svolta che aspetta da oltre vent’anni”. Questa la posizione ufficiale delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli) nelle parole del vicepresidente vicario Emiliano Manfredonia, intervistato da ZENIT per approfondire i motivi di questa scelta.
***
Come si è svolto il dibattito interno alle Acli in merito a un argomento così delicato?
Per prima cosa abbiamo promosso, nelle nostre sedi e nei nostri circoli, numerose iniziative per far conoscere il referendum e la riforma, dando spazio a tutte le opinioni. Siamo arrivati a oltre quattrocento eventi su tutto il territorio nazionale. Tutti molto apprezzati. A volte, quando parli di politica, fai fatica anche solo a radunare poche persone. Invece abbiamo avuto sale piene, teatri pieni, circoli pieni perché la gente si vuole informare. Il nostro primo compito è stato quindi quello di fare un po’ di pedagogia sociale sulla Costituzione, far conoscere il merito della riforma prima di andare a valutare le ragioni del sì e quelle del no.
Come siete arrivati a pronunciarvi a favore della riforma?
Abbiamo fatto una valutazione nei nostri organi, fondati su principi di democrazia associativa, ed è emersa una posizione favorevole al sì nell’ottica di un’opera di manutenzione di questa Costituzione per aprire una nuova stagione di riforme. Queste modifiche sono opinabili da alcuni punti di vista, ma sono il frutto di diverse mediazioni parlamentari e possono comunque essere, per l’Italia, un momento di svolta che noi, come Acli, auspichiamo da oltre venti anni.
Come giudicate l’abolizione del bicameralismo perfetto?
Fondamentale per velocizzare il processo di approvazione delle leggi. Due nostri storici cavalli di battaglia come il reddito di inclusione sociale e il diritto di cittadinanza, fondato sullo ius soli, sono passati alla Camera e sarebbero già leggi se la riforma fosse in vigore. Invece sono bloccati al Senato. Andare avanti con disegni di legge che si arenano in una camera o fanno avanti indietro fra l’una e l’altra, rischia di allontanare le istituzioni dalle esigenze dei cittadini. Tutto questo inoltre alimenta l’utilizzo incontrollato dei decreti legge. Con la riforma invece ci sono tempi più certi di discussione delle leggi. Una camera sola che legifera in maniera importante e l’altra di tipo più consultivo, tranne alcuni casi particolari, possono migliorare l’efficienza legislativa del Parlamento.
E la ripartizione di poteri fra Stato e Regioni?
È un segnale molto positivo anche la riaffermazione della sovranità dello Stato in materie in cui c’è concorrenza con le Regioni. Lo abbiamo visto ora con la riforma della pubblica amministrazione, bloccata, almeno in parte, dalla Corte Costituzionale proprio a causa di un conflitto di competenze fra Stato e Regioni. Noi crediamo che questo sia da superare. Senza dimenticare l’importanza di garantire quei livelli minimi, uguali in tutta Italia, su materie importanti come per esempio la sanità.
Come inciderebbe la riforma sulle forme di democrazia diretta?
Apprezziamo l’introduzione del referendum propositivo e di quelli di indirizzo che ampliano le forme di democrazia partecipativa. Vale anche per le leggi di iniziativa popolare: è vero che aumenta il numero di firme necessarie alla presentazione del disegno di legge, ma sono garantiti tempi certi per la sua discussione e quindi c’è garanzia che il testo sia preso in considerazione. Attualmente la maggior parte delle leggi di iniziativa popolare è accantonata senza alcuna discussione.
In cosa invece, come lei ha detto prima, non siete del tutto convinti?
Se dobbiamo individuare un aspetto in cui la riforma è carente, è il mancato incentivo alla partecipazione, nella vita politica, dei corpi intermedi e della società civile. Spero che, in caso di approvazione della riforma, si possa fare qualcosa attraverso i regolamenti e i decreti attuativi che dovranno essere eventualmente messi a punto. Sarebbe stato opportuno anche intervenire per sollecitare una vera riforma dei partiti perché diventino davvero uno strumento di democrazia e selezione della classe dirigente. Si poteva fare di più per una piena applicazione dell’articolo 49 della Costituzione e avere finalmente partiti più democratici e trasparenti.
Fra i sostenitori del no, molti chiamano in causa la legge elettorale anche se non è materia soggetta a questo referendum. Qual è il vostro punto di vista?
L’attuale legge elettorale non ci convince. Non spetta a noi dire come cambiarla, ma siamo lieti che si stia discutendo di alcune modifiche. Apprezziamo il ritorno alla logica delle preferenze, che per noi è sacrosanta, ma non possiamo ignorare i capi lista bloccati, un residuo della legge precedente che non si è riusciti a cancellare. In più il ballottaggio è un correttivo maggioritario eccessivo perché dà troppo potere a chi vince e meno garanzie alle minoranze. Un premio di maggioranza così forte può funzionare a livello comunale per l’elezione dei sindaci, ma a livello nazionale il discorso è più complesso. Si governa non solo per chi ti ha votato, ma per tutti. Non bisogna certo tornare indietro al proporzionale puro ma ci sono sistemi intermedi che possono offrire più garanzie.
Secondo lei, perché diverse realtà del mondo cattolico si sono schierate per il no ed anche in modo assai deciso?
Nel mondo cattolico c’è stato anzitutto molto fermento nel far conoscere la riforma prima ancora di dibattere sul sì e sul no. Vedo che Comunione e Liberazione e i Focolari non si sono schierati ufficialmente e questo, secondo me, già è un segnale importante viste le sensibilità politiche di questi due movimenti. Nel comportamento di Mario Adinolfi e di alcuni esponenti del Comitato Difendiamo i nostri figli vedo invece posizioni personali per portare avanti rivendicazioni politiche di nicchia. In quel comitato all’inizio eravamo in tanti e volevamo riportare al centro della politica la questione delle famiglie, ma non certo fondare un movimento politico.
Cosa crede che accadrà dopo il referendum?
Il 5 dicembre non ci sarà l’Apocalisse indipendentemente dal risultato. Bisognerà continuare a lavorare in qualunque caso, ma nessun esito deve spaventare. Chi sostiene il no, spesso anche con argomenti rispettabili, non deve certo temere la fine della Costituzione democratica. Noi invitiamo i cittadini a informarsi e andare a votare perché comunque, al di là delle opinioni personali, questo referendum è un momento storico importante per l’Italia.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Alessandro de Vecchi

0

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione