Sono “donne adulte” le suore di clausura e come tale vanno trattate, accompagnandole sempre “con affetto fraterno” e “rispettando le competenze loro proprie, senza indebite interferenze”. È una raccomandazione ben precisa quella che il Papa affida ai vicari episcopali e delegati per la Vita Consacrata, riuniti a Roma per un Convegno internazionale al via oggi al Pontificia Università Antonianum, fino al 30 ottobre.
Sulla scia della recente Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere, il Pontefice chiede “una speciale attenzione alle sorelle contemplative” che si traduca nel prestare loro aiuto “in tutto quello che si riferisce agli elementi essenziali della loro vita”. “Focalizzare tutta l’attenzione su un solo elemento, per importante che possa essere, come è il caso della clausura o quello dell’autonomia potrebbe condurre a uno squilibrio vitale che avrebbe tristi conseguenze per la vita di queste sorelle”, avverte il Papa.
Queste sorelle sono infatti un pilastro per la Chiesa, quella universale come quella particolare, che “ha bisogno di questi fari che indicano la rotta per giungere al porto”. In generale, tutta la vita consacrata – sottolinea il Santo Padre – è un dono alla Chiesa che nasce e cresce nella Chiesa, dunque una realtà “nel cuore stesso della Chiesa” nonché “elemento decisivo della sua missione”.
Un principio, questo, che né i Pastori né i consacrati devono dimenticare, evidenzia Francesco, raccomandando di mantenere una necessaria “prudenza” quando vengono eretti nuovi istituti di vita consacrata – come avvenuto e continua ad avvenire dopo il Vaticano II – sia per ciò che riguarda il discernimento degli ingressi, sia per la formazione dei candidati.
“Nel momento di erigere un nuovo istituto non possiamo pensare solo all’utilità per la Chiesa particolare”, spiega il Pontefice, tantomeno si può essere “semplicisti” nell’assumersi tali “gravi responsabilità”. “I Pastori considerino che nell’erigere un nuovo istituto stanno certamente esercitando un diritto loro proprio, ma che al tempo stesso si assumono una responsabilità a nome della Chiesa universale, dal momento che tale istituto sarà destinato a crescere e ad uscire dai confini della Diocesi che lo ha visto nascere”.
Ai vescovi diocesani spetta dunque “discernere e riconoscere l’autenticità dei doni carismatici ed erigere nella Diocesi istituti di vita consacrata”. Ciò, dice il Papa, “non può farsi senza un sereno e adeguato discernimento” che “tenga conto dell’originalità del carisma, della sua dimensione profetica, della sua inserzione nella vita della Chiesa particolare, della comunione affettiva ed effettiva con questa e con la Chiesa universale, dell’impegno per l’evangelizzazione, della sua dimensione sociale”.
Al contempo, il vescovo è chiamato a verificare “che il fondatore o la fondatrice abbia mostrato provata maturità ecclesiale, con una vita che non contraddica l’azione dello Spirito Santo suscitatore dei carismi” e che “tali carismi possano armonizzarsi adeguatamente nella comunione ecclesiale”. Primo requisito è perciò la “prudenza”, specie nel fornire “l’adeguata formazione ai candidati” poiché si tratta di una “decisione delicata”. Inoltre, “è bene che i vescovi si lascino aiutare da quanti hanno esperienza della vita consacrata”.
In tal senso, il ruolo di vicari e delegati è fondamentale per ciò che riguarda “le mutue relazioni” tra Pastori e consacrati (tema centrale nel Convegno all’Antonianum), sottolinea Bergoglio. Incita dunque ad “approfondire il valore della reciprocità”, oltre “all’attualizzazione delle norme che devono reggere le mutue relazioni tra i vescovi e tutte le forme di vita consacrata, maschile e femminile”. “Nel Sinodo del ’94 è stato chiesto di rivedere l’Istruzione Mutuae relationes: siamo un pochettino in ritardo!”, osserva a braccio.
“Non esistono relazioni mutue lì dove alcuni comandano e altri si sottomettono, per paura o convenienza”, aggiunge poi il Santo Padre. “Vi sono invece relazioni mutue dove si coltiva il dialogo, il rispettoso ascolto, la reciproca ospitalità, l’incontro e la conoscenza, la ricerca condivisa della verità, il desiderio di fraterna collaborazione per il bene della Chiesa, che è casa di comunione”.
In questo senso,“tutti siamo chiamati ad essere ‘pontefici’, costruttori di ponti”. “Il nostro tempo richiede comunione nel rispetto delle diversità. Non abbiamo paura della diversità che proviene dallo Spirito”, incoraggia Papa Francesco. In particolare i Pastori “sono chiamati a rispettare, senza manipolare, la pluridimensionalità che costituisce la Chiesa e attraverso la quale la Chiesa si manifesta”. Sono chiamati, cioè, a ricevere questi frutti della Chiesa “con gioia e gratitudine, mostrando verso di essa benevolenza, paternità e amore sollecito”.
Tutti – aggiunge il Papa – sono chiamati “a manifestare una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre Chiese i differenti carismi, sia antichi che nuovi; ad essere vicini ai consacrati, con tenerezza e amore, e insegnare al Popolo di Dio il valore della vita consacrata”.
Da parte loro i consacrati non dimentichino di non essere “un patrimonio chiuso”, ma “una sfaccettatura integrata nel corpo della Chiesa, attratta verso il centro, che è Cristo”, ammonisce il Pontefice. Allo stesso tempo, ricordino che “la giusta autonomia e l’esenzione non si possono confondere con l’isolamento e l’indipendenza”. “Oggi più che mai è necessario vivere la giusta autonomia e l’esenzione, negli Istituti che ne siano forniti, in stretta relazione con l’inserimento – spiega il Papa – in modo tale che la libertà carismatica e la cattolicità della vita consacrata si esprimano anche nel contesto della Chiesa particolare”.
Nello specifico, il Vescovo di Roma parla di “coessenzialità dei doni gerarchici e dei doni carismatici”: una indicazione del Concilio per alimentare la vita della Chiesa e la sua azione missionaria. Sono questi doni – conclude – “destinati a contribuire, in diversi modi, all’edificazione della Chiesa, in relazione armoniosa e complementare tra loro”.