Ho troppo da fare, io

A volte anche le malattie sono provvidenziali: ci fanno capire che tutti sono utili e nessuno è necessario

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Carlo non era mai stato in ospedale. Un giorno ricevetti una telefonata da sua moglie: “Carlo è stato portato all’ospedale, colpito da un malore improvviso mentre lavorava nel suo ufficio”.
Andai immediatamente e lo trovai in astanteria, con un pigiama non suo che gli infermieri gli avevano fatto indossare al momento del ricovero.
Era ovviamente preoccupato per la sua salute; ma l’antifona che mi ripeteva era: “Speriamo che i medici mi lascino andare a casa. Con tutto il lavoro che ho, non ho proprio tempo da perdere io, qui all’ospedale. Ho l’azienda da mandare avanti…”.
Lo ascoltavo e mi sembrava inutile spendere tante parole per fargli capire che per il momento l’ospedale risultava una necessità superiore a tutte le altre. Ero sicuro che, passata la notte, se ne sarebbe fatta una ragione e si sarebbe calmato.
Dopo cinque giorni lo rivedo in atteggiamento più sereno, più tranquillo. Mi confida addirittura che “la sberla” dell’infarto è stata provvidenziale perché – sentenzia con rara saggezza – “tutti siamo utili, ma nessuno necessario…”. E aggiunge: “provvidenziale anche perché ero eccessivamente preso dal lavoro, trascuravo tanto la famiglia che… stavo quasi pensando alla separazione”.
Alla mia terza visita, la vigilia dell’intervento chirurgico, mi confida con gli occhi umidi di commozione: “Domani mi opereranno e sono preoccupato perché mi hanno dato poche probabilità di riuscita… Già che sei sacerdote… aiutami a superare con il perdono di Dio qualsiasi eventualità”.
Dopo una serena e fiduciosa confessione, con un sorriso mi saluta dicendomi: “Strano! Ma ci vuole proprio la malattia per mettere la testa a posto”.
Ciao da p. Andrea
***
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Andrea Panont

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