Entrambi accompagnavano il cardinale Vincent Nichols venuto a commentare con i giornalisti l’udienza con il Papa di stamane, durante la quale ha presentato i lavori del Santa Marta Group, organismo impegnato nella lotta alle nuove schiavitù, a due anni dalla fondazione. “Abbiamo presentato al Papa il report della nostra attività e il Santo Padre ha voluto ascoltare la voce delle vittime”, ha detto il porporato.
La storia di Princess Inyang inizia in Nigeria. Nel 1999 viene condotta in Europa, in Francia per l’esattezza, con la promessa rivelatasi poi falsa di un posto da cuoca in un ristorante. L’incubo inizia in Italia dove la ragazza è costretta a prostituirsi e sborsare 45mila euro, più altri soldi per l’affitto della casa. Oltre all’umiliazione di dover vendere il suo corpo, la giovane – ha raccontato – ha dovuto subire continue vessazioni, finché, grazie ad alcune persone che l’hanno avvicinata alla Caritas di Asti, è riuscita a fuggire dai trafficanti.
Princess di quell’orrore subìto ha fatto tesoro per aiutare gli altri che vivono la stessa situazione. Attualmente è infatti impegnata con la Piam, onlus da lei fondata che aiuta le vittime della prostituzione in Italia. “Sono una testimonianza vivente dei pericoli e delle atrocità a cui molte donne nigeriane sono sottoposte”, ha dichiarato la donna, “il mio cuore è colmo di gioia ogni volta che posso aiutare qualcuno”.
Un aiuto che non avviene a tavolino: Princess scende per strada, cerca le donne che battono di notte sui marciapiedi, le avvicina, gli parla, le ascolta e infine cerca di farle uscire dal tunnel. Poi ci pensa Piam a favorire l’ottenimento del permesso di soggiorno, in conformità alla legge, e garantire una casa, un’istruzione e una formazione professionale. Grazie a tutto questo, diverse donne hanno potuto integrarsi in società e molte di loro hanno trovato un lavoro, onesto e stabile.
L’impegno di Princess – ha spiegato lei stessa ai giornalisti – si è attuato anche in Nigeria, nello stato di Edo, dove dal 2004 al 2009, insieme ad alcune Ong, si è attivata nella lotta alla tratta arrivando ad aprire anche una clinica per il controllo e il trattamento dell’Hiv o altre malattie sessualmente trasmissibili. Ciò ha permesso di offrire un’opportunità alle ragazze del posto e di scoraggiare il lavoro dei trafficanti che, tuttavia – ha denunciato la giovane – continuano a svolgere indisturbatamente il loro lavoro specialmente in Nigeria, Niger e Libia.
In virtù della sua esperienza, la donna ha voluto indicare infine alcune linee di azione concreta per contrastare le nuove schiavitù. Anzitutto la realizzazione di progetti internazionali nei paesi d’origine con investimenti in borse di studio per disincentivare i giovani ad abbandonare la Nigeria e lasciarsi abbindolare dal primo trafficante che propone un lavoro in Europa. Anche le Forze dell’Ordine, ha detto Princess, dovrebbero avviare una collaborazione internazionale per individuare i trafficanti e aumentare in Europa il numero dei luoghi sicuri per le vittime di tratta, attraverso programmi di protezione rivolti a chi cerca aiuto.
Con la stessa forza d’animo, Al Bangura ha raccontato la sua vicenda. Originario della Sierra Leone, orfano di padre da bambino, il ragazzo mostrava da sempre una particolare attitudine per il calcio. Viene mandato in Guinea perché, nel mezzo della sanguinosa guerra civile che imperversava nel Paese, temeva per la vita sua e della sua famiglia.
È lì che Al viene intercettato da un uomo francese che approfitta della sua passione per lo sport e gli propone un viaggio in Europa dove, gli aveva assicurato, sarebbe diventato un calciatore professionista. Il ragazzo si fida perché non rientra minimamente nei suoi pensieri il rischio di finire in un racket di prostituzione tra Parigi e Londra, come invece poi è avvenuto. Spaventato, senza conoscere una persona tantomeno una parola di inglese, il giovane non sapeva in che modo fuggire da quel dramma. “Mi sentivo in trappola”, ha confidato oggi. Un giorno incontra un suo connazionale che parla la sua lingua e gli paga un biglietto del bus fino all’Home Office del Regno Unito. Dopo alcuni problemi per la sua identificazione, Al viene spedito in una casa a Chertsey.
Inizialmente prevale la paura, ma presto si accorge che è in quella casa nel sud-est dell’Inghilterra che inizia la sua rinascita. La famiglia che lo ospita lo incoraggia a giocare a pallone e, durante una partita, viene notato da un allenatore del Watford Football Club della UK Premier League che gli propone di entrare nella sua squadra. Un contratto, finalmente, questa volta vero.
Oggi Al Bangura è un calciatore professionista e vive a Londra con la moglie e il figlio piccolo. In Sala Stampa raccontava con orgoglio la sua nuova vita, pur nella consapevolezza che migliaia di ragazzi della sua età in Africa occidentale aspirano a diventare calciatori ma non hanno la stessa fortuna. Anzi il loro sogno spesso si infrange in una tragedia.
Per loro e per tutte le vittime di traffici umani il Gruppo Santa Marta – nome deciso dal Papa nel primo incontro dell’aprile 2014 nella Domus vaticana – si batte strenuamente. Grazie a questo impegno, oggi “è aumentata la sensibilità nei confronti delle vittime della tratta umana”, ha affermato il card. Nichols, “in questi due ultimi anni il Gruppo Santa Marta ha potuto mostrare al mondo la miseria sconosciuta di tante persone vulnerabili. Le grida silenziose di disperazione sono state ascoltate”.