L’obiettivo di questo articolo è mettere in evidenza come la “Legge di stabilità”, meglio detta “Legge di Bilancio” 2017 segni l’inizio del passaggio da una visione politica, economica e sociale ispirata al Welfare State (o Stato del benessere), verso una nuova filosofia, quella del Welfare Society, caratterizzata da una maggiore autonomia della società civile, in cui la persona ha capacità e responsabilità di agire.
Forse è ancora un po’ presto per parlare di passaggio dal “Welfare State” al Welfare Society, ma certamente esistono oggi, anche in questa fase di grave e lunga crisi, tutte le premesse necessarie per avviare questa trasformazione epocale del nostro modello di Welfare.
Il paradigma dell’economia politica, fondata sullo schema della massimizzazione del profitto e della redistribuzione dei redditi prodotti, è andato irrimediabilmente crisi.
Il fenomeno della globalizzazione, poi, ha portato ad una riconfigurazione della sfera pubblica in cui lo Stato-nazione non può essere più pensato come fulcro della società a livello decisionale. Questa situazione di tracollo fa sì che possa essere proposto un nuovo modello di welfare.
Certamente il Welfare State è stata una conquista di civiltà in cui lo Stato ha preso in carico la preoccupazione del destino dei cittadini quando il mercato non era in grado di garantire tutto ciò.
Questo modello, che ha avuto il pregio di controbilanciare i costi umani provocati dal processo di sviluppo industriale, oggi, soprattutto dopo otto anni di crisi economico-finanziaria, è incapace di andare avanti.
Se pensiamo alla vulnerabilità come ad una condizione di fragilità che viene a segnare alcune persone a causa di fattori sociali esterni che li condizionano nell’organizzazione dell’esistere quotidiano e nella progettazione del proprio futuro, possiamo senza dubbio rilevare come gli ultimi anni di crisi economica abbiano reso le persone e le famiglie più vulnerabili.
Ma che cos’è il Welfare Society e come mai quasi nessuno ne parla? Il concetto è nato quando si è riscontrato il fenomeno di esclusione sociale dietro la spinta dell’emergenza dei nuovi bisogni relazionali e della caduta del legame comunitario. I bisogni relazionali, che hanno come oggetto la ricerca di un rapporto umano significativo e di un legame affettivo, esplodono soprattutto a cominciare dal settembre del 2008 e rivelano tutta la loro incomprensibilità, nella misura in cui si logorano i rapporti interpersonali all’interno della stessa famiglia, della società civile e tra società civile e gruppi marginali.
Sono il disagio giovanile, l’abbandono dei minori, la solitudine degli anziani, la fragilità della famiglia e delle giovani coppie, le aree di maggior concentrazione dei bisogni relazionali; ma soprattutto i gruppi marginali, tradizionalmente depositari dei principali interventi di welfare, acquistano in questa stagione maggiore complessità.
L’esigenza di ricostituire un significativo legame comunitario, spesso anche affettivo, si rivela, per i portatori di handicap, per i senza tetto, per gli anziani non-autosufficienti, per i tossicodipendenti, per gli immigrati e le altre fasce deboli, il bisogno sociale più impellente, anche più importante spesso degli stessi bisogni materiali.
Già a partire dagli anni Novanta del secolo scorso il vecchio concetto di “povertà” appariva statico – quasi che la povertà non rappresentasse una risorsa per lo sviluppo – fatalistico, del tutto ancorato ad un contenuto materiale dei bisogni e quindi non sufficientemente in grado di interpretare la nuova fenomenologia delle situazioni di marginalità sociale.
Il nuovo concetto di “esclusione sociale”, per contro, prevalentemente legato alla qualità relazionale dei nuovi bisogni sociali e fortemente evidenziato dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI e dai continui interventi di Papa Francesco, si rivelava molto più dinamico e quindi fortemente operativo, con dei contenuti immateriali oltre che materiali, niente affatto fatalistici, tali, cioè, da chiamare in causa pesantemente istituzioni e società civile.
Non che i due concetti di povertà ed esclusione sociale siano necessariamente alternativi tra loro, anzi possiamo dire che l’una rappresenta una condizione e l’altra il processo che porta a quella condizione; ma è certo però che, ai fini della definizione di una strategia di intervento, il concetto di esclusione sociale appare molto più proficuo ed addirittura rivoluzionario.
Se c’è, infatti esclusione sociale vuol dire che esiste un “soggetto” che esclude, e questa semplice evidenza cambia drasticamente il volto del welfare, che non può più essere unicamente concentrato nelle istituzioni, con un carattere di tamponamento; ma che deve, invece, coinvolgere in prima persona la responsabilità delle categorie sociali, non perche siano esse, insieme alla politica, le sole responsabili, ma perché sono le uniche, con una politica economico-sociale ad hoc in grado di favorire e rendere possibile l’inclusione e la reintegrazione sociale delle persone disoccupate o gravemente afflitte dai bisogni primari
Ecco: per la prima volta la Legge di Bilancio del governo per il 2017 ha cambiato rotta. Ha capito che il motivo della crisi di Welfare State stava nella marcata impronta paternalistica che suscitava diverse conseguenze negative, tra cui le due principali: la deresponsabilizzazione della persona, che tendeva a concepire individui assistiti; l’incertezza lavorativa, che non riguardava solo la precarietà, la quale poteva essere superata anche dagli ammortizzatori sociali, ma di vulnerabilità, che non lasciava intravedere prospettive future.
La manovra, infatti, sembra tornare all’idea di bene comune così com’è concepito dalla dottrina sociale della Chiesa: non bene totale o somma di beni individuali o settoriali (pensiero filosofico utilitaristico), ma bene di tutti. Già Tommaso d’Aquino, S. Bonaventura e la Scolastica in genere definivano la politica la scienza del bene comune. E il “piano” del governo Renzi prevede interventi per crescita, competitività e misure stabili di equità sociale, cioè “merito” e “bisogno”. Questa è la filosofia della manovra.
Per quanto riguarda il capitolo previdenziale e sociale, esso prevede 7 miliardi di Euro in tre anni per la quattordicesima alle pensioni più basse e per l’anticipo pensionistico; 500 milioni di euro confermati al Fondo povertà; 600 milioni di euro in più sul versante famiglia, che sarà il primo segnale verso un grande investimento nella manovra del 2008, che prevederà altri 700 milioni e la modifica dell’IRPEF; un assegno di 800 Euro per i nati dal primo gennaio 2017, che tutte le future mamme potranno richiedere durante la gravidanza per le prime spese, e mille Euro per l’asilo nido; due miliardi di Euro al Fondo sanitario, raggiungendo quota 113 miliardi; 1,9 miliardi di Euro per il rinnovo dei contratti pubblici e per le assunzioni nella Sanità e nelle Forze Armate; tre miliardi di Euro per sostenere le spese legate all’emergenza immigrazione.
Sul fronte delle imprese, è previsto un abbassamento dell’ILRES dal 27,5% al 24%, in parallelo all’introduzione dell’imposta sul reddito dell’imprenditore (IRI), con una aliquota semplificata al 24% per i profitti di artigiani e titolari di piccole e medie imprese. Il decreto legge fiscale, collegato alla Legge di Bilancio 2017, prevede invece uno stanziamento da un miliardo di Euro. Per il pacchetto competitività e investimenti la manovra del governo prova a spingere sulla crescita mettendo a disposizione 2,5 miliardi di Euro.
Infine, sul “piano casa Italia” la manovra stanzia 4,5 miliardi di Euro per la ricostruzione post-sisma, mentre il bonus ristrutturazioni edilizie verrà esteso a condomini e alberghi, con una dotazione complessiva di 3 miliardi di Euro. Per il dissesto idrogeologico il governo ha previsto uno stanziamento di 7 miliardi di Euro.
Una manovra socio-economica, sostanzialmente di solidarietà e sviluppo, che dà ai giovani, agli immigrati, alle fasce deboli della popolazione, agli anziani, alle famiglie, ai lavoratori, agli imprenditori e agli uomini politici la speranza di partecipare al bene comune, dando il meglio di se stessi nella vita sociale attraverso una valorizzazione delle proprie capacità, responsabilità e risorse in quanto cittadini appartenenti ad una communitas..
La consapevolezza dell’esistenza di diritti e doveri, che si accompagna ad una crescita culturale, sociale, civile e complessiva della persona umana, fa sì che i presupposti della Welfare Society siano diversi da quelli del Welfare State e in qualche misura, se si vuole accogliere un concetto di progresso, più progrediti e adeguati al tempo presente.
Press office Meeting of Rimini
Matteo Renzi vuole passare dal Welfare State al Welfare Society?
Di fronte alla crisi del sistema basato su massimizzazione del profitto e redistribuzione dei redditi si propone un nuovo modello di welfare centrato su solidarietà e sviluppo