Fra Tommaso da Olera

Wikimedia - Ago76

Fra Tommaso Olera: "Sola misericordia"

A cavallo tra il XVI e il XVII secolo, il beato cappuccino bergamasco seppe proporre una “via cattolica” in risposta alla dottrina luterana della “sola gratia”

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L’anno giubilare della misericordia ci invita anche a leggere con attenzione più sensibili gli immensi archivi dell’esperienza spirituale cristiana. Mi sono imbattuto negli scritti del frate cappuccino Tommaso da Olera (1563-1631) per via di un articolo richiestomi dal postulatore dell’Ordine, trovandovi una piccola apologia della misericordia che merita di essere ripresa nel contesto odierno del vissuto della fede e della Chiesa. Vissuto nella stagione immediatamente seguente a quella della Riforma, fra Tommaso propone una via cattolica, come controcanto al sola gratia di Lutero, che potrebbe essere inscritta nella cifra della sola misericordia. In tutta semplicità, pur rimanendo ancora ingarbugliato in essa, cerca in primo luogo di aggiustare la contrapposizione fra giustizia e misericordia di Dio. Dove la prima rappresenta come una tendenza quasi contro natura di Dio, mentre la seconda dispiega pienamente la corrispondenza di Dio al suo essere e desiderio: «E se usate la iustizia contro di peccatori, sete sforzato, anzi tirato per gli capelli; ma la misericordia, oh quanto è a voi familiare» (Scritti, I, Selva di contemplazione, Morcelliana, Brescia 2013, p. 268).
La misericordia, dunque, quale principio originario dell’amicizia tra Dio e l’uomo; modo di riscrivere in termini affettivi il patto dell’Alleanza fra Creatore e creato: «Questa, o Signore, è quella che è esercitata più di ogni altra contro di noi poveri mortali. Questa misericordia vostra, o santo nostro Dio, è quella con la quale di inimici ci facciamo amici vostro […]. Ed è tanto questa misericordia amica dell’uomo che, amando Dio l’uomo, tace il signore per beneficio dell’uomo, perché per mezzo di essa Dio gli fa grazie inenarabili e niuno può gloriarsi di non aver bisogno di questa santa misericordia di Dio» (p. 268-269). La libertà evangelica dell’esperienza spirituale azzarda qualcosa che la teologia di allora, ma anche quella odierna, non avrebbe mai osato mettere in campo. La misericordia come il limite all’infinitamente possibile che è Dio stesso; e, quindi, ciò che fa diventare Dio concreto, quello che è effettivamente nel suo essere in relazione con noi. Nel vissuto di Gesù sappiamo che Dio non varcherà mai la soglia di questo limite che è la misericordia, principio amicale del suo essere con noi per sempre.
Ma il gioco della libertà spirituale non si limita a questo. Facendo della misericordia il legame che attanaglia Dio stesso, la forma del suo vincolo morale davanti alla destinazione ultima dell’umano: «Ma perché la misericordia è tanta e talle che gli uomini possono con ragione confidare e sperare di ottenere ogni perdono, mercé alla misericordia vostra: perché la misericordia vi ha cinto, vi ha legato, vi tirrò dal cielo, vi imprigionò nel ventre di Maria […]» (pp. 268-269). Incarnazione, dunque, come evento della misericordia e misura del dovere di Dio per noi. Quello che lui onorerà con l’infinito della sua libertà. Eccesso incomprensibile, che rivolge il concreto di Dio contro la sua possibilità e contro ogni logica stringente del pensiero del suo essere.
La nostra riuscita destinazione non è frutto delle nostre opere, ma esito di questo dono esuberante di un Dio legato dalla misericordia, dalla sua amicizia originaria e incrollabile con noi: «E guai a quello che presumesse di poter andare al cielo senza questa veste della misericordia» (p. 269). Quella che Dio tesse su misura per l’umano caduto e nudo nei giorni del principio. E che, ogni volta di nuovo, ritaglia sul profilo singolarissimo del vissuto di ogni uomo e donna che sono al mondo. La misericordia è sempre particolare, la sua trama si intreccia con le vicende quotidiane del nostro irripetibile esistere. Norma vincolante per Dio che non può essere ritrascritta in alcuna legge per l’uomo, perché ne mancherebbe la realtà del suo vivere concreto. Ed è proprio così che essa può essere per tutti, senza distinzione alcuna: «Questa 1/2 misericordia si inclina a richi e poveri, a grandi e a picioli, a regi e a vasali perché è iusta, non è parziale […]» (p. 270). Per ognuno a modo suo, per essere davvero per ogni essere umano. Presenza amica di Dio in ogni luogo dell’umano, anche laddove non si dà esperienza di lui – fino a questo osa l’iperbole esperienziale di Tommaso: «Perché la misericordia vostra è tale che è nei cieli e in terra e ne l’Inferno e in ogni parte del cielo godono della misericordia vostra, gustando quella felice patria tutte quelle beate anime mercé a la misericordia vostra, e in terra gli uomini godono di questo santo privilegio della vostra misericordia, ne l’Inferno a quelle infelizze anime dannate godono della misericordia vostra, non dando quei tormenti atrozzi che meriterieno delle lor colpe» (p. 270). Limite per Dio e principio illimitato del godimento di Dio per l’uomo, ogni uomo ovunque esso sia.
Se c’è una ragione plausibile per la gioia cristiana nel mezzo delle distrette umane è proprio l’esperienza di questa misericordia ritagliata sul nostro personalissimo vissuto, quella che ci genera alla confidenza a Dio proprio laddove siamo nella prova: «E se gli uomini sapessero la gran misericordia di Dio verso il genere umano, giubileriano: gli uomini si consoleriano in veder un Dio al cui Dio possano ricorrere con tanta confidenza sicuri del perdono […]» (p. 271). Questa generazione alla confidenza è il desiderio originario di Dio stesso, la nostra forza davanti a lui qualsiasi cosa accada: «Se per la tua mala sorte offendi Dio, al meno non l’offender con diffidarti del perdono, perché questo Dio misericordioso più si chiama offeso da la diffidenza che da quanti peccati puoi commettere; anzi dirò di più, che se l’uomo commettesse tute le iniquità del mondo, purché l’uomo ricora con fiducia a Dio e con proponimento di emendarsi, dico che la misericordia ancor è maggiore» […] (p. 271).
Misericordia come generazione alla fiducia, quella che lega Dio e ci vincola gli uni agli altri – probabilmente ciò di cui questo nostro mondo di oggi ha bisogno oltre ogni misura e calcolo, avendone oramai persa però ogni arte. Francesco sembra averlo intuito genialmente, forse per questo ci ha messi a lavorare per un anno intero su questo gesto concreto che è Dio per e fra di noi.
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Fonte: Settimana News

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Marcello Neri

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