Lettura
Ci troviamo di fronte ad una delle pagine fondamentali del Vangelo. Una parabola che tutti conosciamo, che accompagna l’impegno di autenticità che ogni cristiano deve perseguire con tutte le sue forze. Gesù ci parla della vera giustizia e del rischio di falsarla, quando assolviamo noi stessi e, con orgoglio e disprezzo, ci atteggiamo a giudici degli altri.
Meditazione
Nella sua storia millenaria la Chiesa si sforza di attingere i suoi comportamenti alle sorgenti del Vangelo. Guidata dallo Spirito Santo, non a caso, mette all’inizio della celebrazione eucaristica l’atto penitenziale, con il riconoscimento e la confessione che facciamo di essere peccatori. Convinti? Non ci si può avvicinare a Dio con la presunzione, segreta o manifesta, di essere giusti e l’aggravante di incolpare e disprezzare gli altri. Per questo, con orecchie ben aperte, e soprattutto con cuori disponibili, siamo invitati a scegliere chi vogliamo essere tra il fariseo e il pubblicano. E la scelta non sarà dettata dalle buone intenzioni o da come ci pensiamo, ma da come ci comportiamo con agli altri e soprattutto con Dio. Come sto davanti a Dio e davanti agli altri? All’impiedi, con alterigia, con presunzione, per sbandierare la mia giustizia, che non sono come gli altri, che sono migliore o il migliore? Spesso nella nostra preghiera, o nei nostri ragionamenti e convinzioni, Dio è solo un pretesto per ribadire quanto siamo bravi. Il fariseo e noi, quando facciamo come lui, non ci confrontiamo con la santità di Dio, ma con il peccato dei fratelli e, mettendoci al posto di Dio, lo affossiamo. Invece, dobbiamo stare davanti a Dio come questo pubblicano, curvi sotto il peso delle nostre colpe; a battere il nostro petto e non quello degli altri. A chiedere perdono e misericordia per me, perché mi riconosco, davanti a me stesso, a Dio e, cosa più difficile, davanti agli altri, un peccatore. Ecco la sincerità e la verità! Dovremmo stare con il capo chino e il cuore contrito e gridare: “Signore, abbi pietà di me! Di me che sono un peccatore”. E chiedere pure agli altri di pregare per me, perché anche loro abbiano pazienza e misericordia. Questo è l’atteggiamento che ci consente di essere giustificati da Dio. Giustificare noi stessi e condannare gli altri è facile, ma non serve.
Preghiera
Signore, tu che ascolti il grido del povero e vieni in soccorso di chi è solo, ti chiediamo di conservare, nel cammino di questa vita, la nostra fede. Donaci, come il pubblicano al Tempio, la coscienza viva di essere peccatori, per ricevere da te la misericordia e la pace, la giustificazione e la gloria; la protezione e la liberazione.
Agire
Farò attenzione a battere il mio petto, a considerare il mio peccato e a chiederne sinceramente perdono al Signore, senza giudicare e condannare chi, come me, fa fatica a liberarsene.
***
Meditazione a cura di mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, tratta dal mensileMessaMeditazione, per gentile concessione di EdizioniART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it.
Ci troviamo di fronte ad una delle pagine fondamentali del Vangelo. Una parabola che tutti conosciamo, che accompagna l’impegno di autenticità che ogni cristiano deve perseguire con tutte le sue forze. Gesù ci parla della vera giustizia e del rischio di falsarla, quando assolviamo noi stessi e, con orgoglio e disprezzo, ci atteggiamo a giudici degli altri.
Meditazione
Nella sua storia millenaria la Chiesa si sforza di attingere i suoi comportamenti alle sorgenti del Vangelo. Guidata dallo Spirito Santo, non a caso, mette all’inizio della celebrazione eucaristica l’atto penitenziale, con il riconoscimento e la confessione che facciamo di essere peccatori. Convinti? Non ci si può avvicinare a Dio con la presunzione, segreta o manifesta, di essere giusti e l’aggravante di incolpare e disprezzare gli altri. Per questo, con orecchie ben aperte, e soprattutto con cuori disponibili, siamo invitati a scegliere chi vogliamo essere tra il fariseo e il pubblicano. E la scelta non sarà dettata dalle buone intenzioni o da come ci pensiamo, ma da come ci comportiamo con agli altri e soprattutto con Dio. Come sto davanti a Dio e davanti agli altri? All’impiedi, con alterigia, con presunzione, per sbandierare la mia giustizia, che non sono come gli altri, che sono migliore o il migliore? Spesso nella nostra preghiera, o nei nostri ragionamenti e convinzioni, Dio è solo un pretesto per ribadire quanto siamo bravi. Il fariseo e noi, quando facciamo come lui, non ci confrontiamo con la santità di Dio, ma con il peccato dei fratelli e, mettendoci al posto di Dio, lo affossiamo. Invece, dobbiamo stare davanti a Dio come questo pubblicano, curvi sotto il peso delle nostre colpe; a battere il nostro petto e non quello degli altri. A chiedere perdono e misericordia per me, perché mi riconosco, davanti a me stesso, a Dio e, cosa più difficile, davanti agli altri, un peccatore. Ecco la sincerità e la verità! Dovremmo stare con il capo chino e il cuore contrito e gridare: “Signore, abbi pietà di me! Di me che sono un peccatore”. E chiedere pure agli altri di pregare per me, perché anche loro abbiano pazienza e misericordia. Questo è l’atteggiamento che ci consente di essere giustificati da Dio. Giustificare noi stessi e condannare gli altri è facile, ma non serve.
Preghiera
Signore, tu che ascolti il grido del povero e vieni in soccorso di chi è solo, ti chiediamo di conservare, nel cammino di questa vita, la nostra fede. Donaci, come il pubblicano al Tempio, la coscienza viva di essere peccatori, per ricevere da te la misericordia e la pace, la giustificazione e la gloria; la protezione e la liberazione.
Agire
Farò attenzione a battere il mio petto, a considerare il mio peccato e a chiederne sinceramente perdono al Signore, senza giudicare e condannare chi, come me, fa fatica a liberarsene.
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Meditazione a cura di mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, tratta dal mensileMessaMeditazione, per gentile concessione di EdizioniART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it.