“Siamo molto riconoscenti al Signore che quest’anno ci ha colmato di grande gioia quando, attraverso Papa Francesco, ha elevato il nome della Beata Teresa di Calcutta tra i nomi dei Santi della Chiesa. E come se ciò non bastasse, fra alcuni giorni la Chiesa scriverà nell’albo dei Beati i nomi dei 38 cattolici che hanno subito il martirio nel periodo tenebroso del comunismo ateista”.
È quanto scrivono i vescovi della Conferenza Episcopale dell’Albania, in una lettera “indirizzata ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli”. Nel testo, diffuso dal Sir, i presuli spiegano che “La parola martire vuol dire testimone. Quindi il martire è colui che dà testimonianza del suo credo. Gesù disse: ‘Amore più grande non c’è, se non quello di un uomo che dà la vita per i suoi amici’. Così il martirio è la manifestazione suprema dell’amore di Cristo”.
“Il comunismo che per quasi mezzo secolo ha oppresso l’Albania manifestò un odio particolare verso i cattolici”, si legge nella missiva. “Enver Hoxha (dittatore dell’Albania dalla Seconda Guerra mondiale al 1985, ndr), in un discorso che tenne nella Conferenza di Peza, nell’anno 1984, disse che la gerarchia cattolica era composta da ‘uomini senza patria che dipendevano totalmente dal Vaticano… Tutti i capi della Chiesa cattolica erano colti, istruiti con gli studi teologici, addestrati con disciplina di ferro, con metodi e stratagemmi di oppressione della volontà degli uomini attraverso la paura del Signore’”.
“Sono parole che mostrano il pregiudizio contro la Chiesa cattolica”, sottolineano i vescovi. E concludono: “La terra albanese è stata bagnata dal sangue dei martiri, ma oggi ci rallegriamo! Il 5 novembre la Chiesa eleverà agli altari i nostri 38 martiri uccisi in quel terribile periodo. Tutti i 38 martiri erano sacerdoti (o chierici), tranne 4 laici: una ragazza, Maria Tuci, barbaramente uccisa perché era candidata delle suore Stimmatine e catechista; e tre uomini: Qerim Sadiku, Gjelosh Lulash e Fran Mirakaj”.
È quanto scrivono i vescovi della Conferenza Episcopale dell’Albania, in una lettera “indirizzata ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli”. Nel testo, diffuso dal Sir, i presuli spiegano che “La parola martire vuol dire testimone. Quindi il martire è colui che dà testimonianza del suo credo. Gesù disse: ‘Amore più grande non c’è, se non quello di un uomo che dà la vita per i suoi amici’. Così il martirio è la manifestazione suprema dell’amore di Cristo”.
“Il comunismo che per quasi mezzo secolo ha oppresso l’Albania manifestò un odio particolare verso i cattolici”, si legge nella missiva. “Enver Hoxha (dittatore dell’Albania dalla Seconda Guerra mondiale al 1985, ndr), in un discorso che tenne nella Conferenza di Peza, nell’anno 1984, disse che la gerarchia cattolica era composta da ‘uomini senza patria che dipendevano totalmente dal Vaticano… Tutti i capi della Chiesa cattolica erano colti, istruiti con gli studi teologici, addestrati con disciplina di ferro, con metodi e stratagemmi di oppressione della volontà degli uomini attraverso la paura del Signore’”.
“Sono parole che mostrano il pregiudizio contro la Chiesa cattolica”, sottolineano i vescovi. E concludono: “La terra albanese è stata bagnata dal sangue dei martiri, ma oggi ci rallegriamo! Il 5 novembre la Chiesa eleverà agli altari i nostri 38 martiri uccisi in quel terribile periodo. Tutti i 38 martiri erano sacerdoti (o chierici), tranne 4 laici: una ragazza, Maria Tuci, barbaramente uccisa perché era candidata delle suore Stimmatine e catechista; e tre uomini: Qerim Sadiku, Gjelosh Lulash e Fran Mirakaj”.