“Un titolo inquietante: C’è un dopo? E un sottotitolo rasserenante: La morte e la speranza”. Si è aperto con queste parole di mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, l’incontro di presentazione del libro del card. Camillo Ruini, pubblicato recentemente da Mondadori. L’incontro presso la Lateranense si è svolto il 20 ottobre, con la partecipazione di un folto pubblico e la presenza, in veste di relatori, del card. Carlo Caffarra e del prof. Vittorino Andreoli. La dott.ssa Nicoletta Tiliacos ha svolto il ruolo di moderatore e la dott.ssa Letizia Moratti ha contribuito con un intervento scritto.
Scrive Camillo Ruini nell’introduzione al volume: “Nel giugno 2012, quando ho terminato, con Andrea Galli, il libro-intervista su Dio, pensavo proprio che quella sarebbe stata la mia ultima fatica di scrittore”. Ma poi – continua Ruini – il Papa emerito Benedetto XVI mi rivolse l’invito a scrivere un altro libro “per presentare qualche altro aspetto centrale del cristianesimo. Mi resi conto che esisteva un argomento di largo interesse, da me molto studiato: quello della morte e del dopo la morte”.
Ecco dunque la genesi di un libro che affronta una materia coraggiosa – ha commentato Nicoletta Tiliacos nel dare la parola al card. Caffarra –. “In un mondo come il nostro che ha rimosso il tema della morte, questo libro comunica un elemento di speranza che è, al tempo stesso, ragionevole e fondativo dell’esperienza cristiana”.
L’arcivescovo emerito di Bologna ha aperto il suo intervento proponendo tre domande che individuano la linea espositiva del volume: “Cosa ho il diritto di sperare? Nulla. Cosa posso ragionevolmente sperare? Molto poco. Cosa mi è dato di sperare? Tutto”. Il libro di Ruini – ha sottolineato – è “intessuto di questi interrogativi ed è improntato al rigoroso rispetto del metodo teologico, alla sinergica cooperazione tra fede e ragione che struttura il pensiero teologico”.
“La presentazione di un libro – ha continuato Caffarra – ha il fine di individuare le provocazioni, le domande essenziali che il libro è in grado di suscitare. In questo caso, illuminare alla luce del cuore l’immenso buio, la vertigine del dopo-morte. Per rispondere a una domanda di fondo: la speranza cristiana è capace di far fronte alle sfide che la morte pone all’uomo?”
A tale proposito, Caffarra ha citato le parole di Ruini nell’ultimo capitolo del libro: “Scrivere mi ha aiutato a dare spazio al pensiero della morte e a riflettere sulle motivazioni della speranza…”. Parole che preludono al pensiero che sintetizza il nucleo concettuale dell’opera: “Ritengo che sia importante non contrapporre ma tenere insieme quella certezza della speranza che nasce dalla fede e dalla preghiera e un esame attento e onesto delle ragioni di tale speranza: solo così non si crea una frattura tra la nostra cultura di uomini d’oggi e la parola di salvezza che è giunta a noi da Gesù di Nazareth”.
Un obiettivo che l’autore persegue e centra con efficacia anche illustrando l’iter conoscitivo sul fenomeno della morte che l’umanità ha sviluppato nelle varie epoche: dai dialoghi platonici sull’immortalità dell’anima alle conferme empiriche sulla vita oltre la morte, scaturite dalle ricerche di scienziati come Raymond Moody e Pim van Lommel, grazie alle risorse della moderna tecnologia medica.
Nicoletta Tiliacos ha quindi dato la parola al prof. Andreoli, “un non credente appassionato alla figura di Cristo”, ponendo una domanda: l’aldilà è una consolazione inventata dai cristiani o una ragionevole speranza da considerare con rispetto?
Vittorino Andreoli, psichiatra assai noto e vicino al mondo della Chiesa, ha spiegato con vivo trasporto la problematica psicologica ed esistenziale dei non credenti: categoria alla quale appartiene (suo malgrado) lui stesso. “Il non credente – ha detto – è colui che non ha avuto, o crede di non aver avuto, l’esperienza dell’incontro con Dio. Il non credente non condivide nulla dell’ateismo. Non deve quindi stupire che io consideri Gesù di Nazaret il più grande uomo della storia…”.
“Per un non credente la lettura di questo libro è consigliabile ma al tempo stesso dolorosa – ha proseguito Andreoli –. La speranza è essenziale per vivere, la morte non fa paura a chi possiede la speranza, perché “è chiaro che, se credi, quell’interrogativo scompare”. Quindi il grande problema del non credente è il dono dell’incontro con Dio che possa liberarlo dalla paura della morte. Un’attesa che, finché non si realizza, è vissuta appunto con dolore.
Nicoletta Tiliacos ha quindi dato lettura del testo inviato da Letizia Moratti, impossibilitata a partecipare per motivi di salute. La speranza cristiana – scrive la Moratti – comporta la responsabilità di ognuno per la costruzione del bene comune. Il nostro impegno e la nostra azione hanno un significato nella misura in cui sono diretti a costruire un mondo più equo e solidale. Il libro del cardinale Ruini comunica una serie di stimoli in tale direzione…
“C’è un dopo? La morte e la speranza – continua Moratti – è un libro che, affrontando il mistero della morte, esalta il senso della vita. I giovani tossicodipendenti assistiti dalla comunità di San Patrignano (di cui Letizia Moratti si occupa da molti anni) hanno la necessità di riappropriarsi della loro vita superando la paura di vivere. Il valore della speranza, nell’aprire l’orizzonte sui bisogni dell’altro, ci consente di riaffermare il significato del vivere”.
Il cardinale Ruini, nel ringraziare il pubblico, i relatori e l’editore, e nel rivolgere un pensiero di gratitudine a Benedetto XVI, ha confidato che la sua principale ambizione durante la scrittura del libro è stata quella di essere “intellettualmente onesto”.
Un approccio esplicitato nell’introduzione al volume, dove l’autore scrive: “Vorrei soprattutto aiutare a prendere sul serio la speranza cristiana. Si tratta senza dubbio di un dono, ma ciò non dispensa dal prendere in esame la solidità del suo fondamento. La verifica che proporrò non pretende di essere neutrale, ma cerca di essere intellettualmente onesta, nel rispetto della libertà di ciascuno”.
La chiave interpretativa adottata da Ruini per perseguire questo intento è la “parola confidenziale”, basata sulla condivisione sincera: “Devo riconoscere che la morte è rimasta assai a lungo fuori dal mio orizzonte, almeno nel senso che non è riuscita a penetrare nel mio vissuto più intimo. Certo, ero ben consapevole e convinto che essa riguardava anche me, anzi, la morte e l’incontro finale con Dio sono stati, fin dagli anni in cui ero seminarista, oggetto della mia preghiera. Non riuscivo però a pensare concretamente di dover morire, e di poter morire in qualsiasi momento”.
Un approccio che spoglia il libro d’ogni “retorica teologica” – come ha sottolineato Caffarra – per farne materia di vita vissuta, e dunque condivisibile da una larga moltitudine di lettori, anche a prescindere da una conoscenza specifica dell’argomento.
Un concetto ribadito dal cardinale vicario Agostino Vallini il quale, in conclusione, ha preso brevemente la parola per sottolineare i rapporti di amicizia che lo legano a Ruini e per dire che questo libro costituisce “un grande servizio al pensiero”. Nonché per rivolgere un affettuoso interrogativo al prof. Andreoli: “Ma lei è proprio certo di essere un non credente”? Una domanda sottolineata dagli applausi del pubblico che, da questo incontro, ha tratto certamente numerosi stimoli per riflettere su un tema fondamentale della testimonianza cristiana che riguarda il destino ultimo di tutti noi.
Foto: Mondadori
Fede e ragione oltre la vertigine del buio. Il nuovo libro del cardinale Ruini
Nell’opera “C’è un dopo? La morte e la speranza” (Mondadori), presentata ieri alla Lateranense, il cardinale affronta un tema fondamentale della testimonianza cristiana