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Mons. Tobji: "Aleppo è come Hiroshima"

Ascoltato in Senato, l’arcivescovo maronita accusa Usa e media occidentali. “Con la guerra ci si guadagna due volte: si vendono armi e poi si ricostruisce…”

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Acqua e fuoco si mischiano in una letale fusione di elementi nell’inferno di Aleppo. Nella città siriana, assediata dai feroci scontri, chi scampa ai bombardamenti rischia di morire di sete o per le epidemie trasmesse dall’acqua. Una nota dell’Unicef infatti avverte che ad Aleppo Est “la popolazione dovrà ricorrere ad acqua di pozzo altamente contaminata”.
Un urlo d’aiuto – l’ennesimo dall’inizio della crisi siriana, datato marzo 2011 – è giunto martedì scorso, 4 ottobre, presso la Commissione Esteri del Senato. A lanciarlo è stato mons. Joseph Tobji, Arcieparca di Aleppo dei Maroniti, il quale ha fatto un paragone che basterebbe, da solo, per impressionare la comunità internazionale: “Aleppo è la città più distrutta dopo Hiroshima”.
Ricordando anzitutto la tragedia delle migliaia di bambini morti o mutilati, l’Arcieparca ha spiegato che Aleppo, un tempo popolata da circa 4milioni di persone, ne conta oggi un terzo. “Quasi non ci sono più chiese” – ha detto laconicamente – e da “cinque anni abbiamo la corrente elettrica solo per due ore al giorno”. Il problema dell’acqua, invece, è riassunto nell’aneddoto personale che mons. Tobji ha raccontato: “Io stesso, per la doccia, uso quattro litri di acqua che vengono poi riciclati grazie a un catino sottostante”.
I riflettori della grande stampa sono spostati principalmente sulla zona est di Aleppo, dove ad ottobre contro i jihadisti è iniziata l’offensiva di terra dell’esercito siriano, sostenuto da Iran e Russia. Ma è tutt’altro che rosea anche la situazione nella parte occidentale, dove si trova l’Arcieparchia di Aleppo e dove i ribelli dell’Esercito Siriano Libero e di al Nusra proseguono le loro offensive “tirando ai civili”.
Pertanto gli organi di stampa vengono accusati dal religioso di “calpestare la verità”, perché seguono “gli ordini direttivi dei loro padroni” nel momento in cui usano due pesi e due misure nel riportare gli effetti del conflitto. Parole durissime le sue.
Più che nei confronti delle mistificazioni giornalistiche o delle verità raccontate parzialmente, l’indice di mons. Tobji è puntato però verso “l’Occidente, con gli Stati Uniti a capo”, rei di voler imporre “con arroganza” in Siria “un modello di democrazia” che non è compatibile con la realtà storica e sociale del Medio Oriente. Non esita, il religioso, a definire una sorta di “dittatura” il tentativo di destituire un presidente, nella fattispecie Bashar al Assad, malgrado sia stato legalmente eletto.
“Con quale diritto, con quale autorità” – si è dunque chiesto mons. Tobji – un Paese si assurge a “sceriffo del mondo”? Che il conflitto in Siria sia stato eterodiretto da “seminatori di discordia” ne è sicuro l’Arcieparca. Egli ricorda che all’alba delle proteste contro il Governo, a Damasco, nel 2011, spuntarono improvvisamente uomini armati tra una folla che appariva pacifica. Da chi erano guidate queste persone che hanno costretto l’esercito a rispondere al fuoco? “Certo da terzi!”, esclama sicuro il presule.
“Non so se gli Stati Uniti sbagliano per errore o per volontà”, aggiunge. E forse una parte di risposta a questa domanda è contenuta nella sua affermazione subito seguente: “Quando c’è una guerra, ci si guadagna due volte: con la vendita delle armi e con la ricostruzione…”.
Mutuando le parole pronunciate a più riprese da Papa Francesco, mons. Tobji definisce quella in Siria “una guerra per procura”, che vede il Paese mediorientale alla mercé di “un giocattolo” nelle mani delle grandi potenze mondiali. E chiosa sarcasticamente: “Pensare che le potenze mondiali insieme non possano far fuori una banda è una favola”.
L’Arcieparca, pur precisando di essere un uomo di Chiesa e non un politico, condivide il rifiuto del Governo di Damasco e della Russia nei confronti della tregua di una settimana proposta dagli Stati Uniti. Il cessate il fuoco serve infatti ai terroristi per rifornirsi “di nuove munizioni” ed organizzare un ulteriore attacco ancora più feroce. “Quando noi sentiamo parlare di tregua, ci terrorizziamo, perché sappiamo che una volta terminata, la situazione sarà peggio di prima”, spiega mons. Tobji.
Il quale ha affrontato poi il tema dell’embargo imposto dai Paesi occidentali alla Siria, definendolo “una cosa immorale, ingiusta”, persino più dannosa delle bombe.
Infine mons. Tobji indica all’Occidente una strada da perseguire per aiutare il popolo siriano a ritrovare la pace: “Smettere di vendere armi, di pagare stipendi ai terroristi”, nonché bloccarne il flusso “via Giordania e Turchia”.

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Federico Cenci

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