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Papa: "Stranieri e persone di altre fedi ci insegnano i valori che dimentichiamo"

Nella Messa del Giubileo Mariano, Francesco ricorda l’esempio di Maria, anche lei “straniera”, e la sua umiltà nel ringraziare Dio per i suoi doni. Quindi domanda: “Siamo capaci di dire grazie?”

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Anche gli stranieri, disprezzati ed emarginati perché ‘diversi’, o i credenti di altre religioni possono essere testimoni e modelli di quei valori che talvolta dimentichiamo o tralasciamo, insegnandoci a camminare sulla via del Signore. L’appello sempre predicato da Francesco all’apertura verso l’altro, anche chi è distante da noi per razza, provenienza e religione, assume nuovi connotati.

Nell’omelia per la Messa del Giubileo Mariano, il Papa ricorda che anche Maria, la Madre di Dio, è stata per lungo tempo “straniera in Egitto”, lontano da parenti e amici. Insieme col suo sposo Giuseppe, Lei “ha sperimentato la lontananza dalla sua terra”, ma grazie alla sua fede “ha saputo vincere le difficoltà”. Quello della Madonna è “un cuore umile e capace di accogliere i doni di Dio”. Per questo Dio “per farsi uomo, ha scelto proprio lei, una semplice ragazza di Nazaret, che non viveva nei palazzi del potere e della ricchezza, che non ha compiuto imprese straordinarie”.

Davanti a questo esempio  “chiediamoci se siamo disposti a ricevere i doni di Dio, o se preferiamo piuttosto chiuderci nelle sicurezze materiali, nelle sicurezze intellettuali, nelle sicurezze dei nostri progetti”, sollecita il Pontefice. Ed esorta a “tenersi stretta” la fede piccola, semplice, umile, della Vergine che è un modello – anzi “il modello” – al quale ogni cristiano dovrebbe guardare.

Maria insegna infatti una valore fondamentale che è la gratitudine, che tuttavia finisce spesso in second’ordine nella scala delle priorità. La Vergine “dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo, lasciò sgorgare dal suo cuore un cantico di lode e di ringraziamento a Dio: L’anima mia magnifica il Signore…“; noi invece “siamo capaci di dire grazie?”, domanda il Papa. “Quante volte ci diciamo grazie in famiglia, in comunità, nella Chiesa? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, a chi ci è vicino, a chi ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio”.

“È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma tornare a ringraziarlo…”, osserva il Pontefice. Proprio come quei dieci lebbrosi guariti da Cristo di cui parla il Vangelo di oggi: solo in nove tornano a ringraziare Gesù. Questi prima erano andati incontro a Lui intuendo che fosse un salvatore, e a distanza gli hanno gridato la loro sventura: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». “Sono malati, e cercano qualcuno che li guarisca”, annota il Papa. “Gesù, rispondendo, dice loro di andare a presentarsi ai sacerdoti, che, secondo la Legge, avevano l’incarico di constatare una eventuale guarigione. In questo modo egli non si limita a fare una promessa, ma mette alla prova la loro fede”. 

In quel momento, infatti, i dieci non sono ancora guariti, ma riacquistano la salute solo una volta messi cammino, dopo, cioè, aver obbedito alla parola di Gesù. “Allora – riporta il Vangelo – tutti pieni di gioia, si presentano ai sacerdoti, e poi se ne andranno per la loro strada, dimenticando però il Donatore, cioè il Padre che li ha guariti mediante Gesù, il suo Figlio fatto uomo”. 

Soltanto uno fa eccezione: un samaritano, “uno straniero che vive ai margini del popolo eletto, quasi un pagano!”. “Quest’uomo – rileva Bergoglio – non si accontenta di aver ottenuto la guarigione attraverso la propria fede, ma fa sì che tale guarigione raggiunga la sua pienezza tornando indietro ad esprimere la propria gratitudine per il dono ricevuto, riconoscendo in Gesù il vero Sacerdote che, dopo averlo rialzato e salvato, può metterlo in cammino e accoglierlo tra i suoi discepoli”.

“Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi, quanto è importante!”, afferma il Papa. Perciò Gesù sottolinea con forza la mancanza dei nove lebbrosi ingrati: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”.

Questi, oltre alla gratitudine, insegna l’umiltà, necessaria “per saper ringraziare”. In proposito il Santo Padre rammenta la vicenda biblica di Naaman – anch’egli uno straniero – comandante dell’esercito del re di Aram, ammalato di lebbra, che “per guarire accetta il suggerimento di una povera schiava e si affida alle cure del profeta Eliseo, che per lui è un nemico”. Naaman, sottolinea il Pontefice, “è disposto ad umiliarsi ed Eliseo non pretende niente da lui, gli ordina solo di immergersi nell’acqua del fiume Giordano”. Una richiesta che “lascia Naaman perplesso, addirittura contrariato: può essere veramente un Dio quello che chiede cose così banali? Vorrebbe tornarsene indietro, ma poi accetta di immergersi nel Giordano e subito guarisce”.

“È significativo che Naaman e il samaritano siano due stranieri”, osserva il Vescovo di Roma. “Quanti stranieri, anche persone di altre religioni, ci danno esempio di valori che noi talvolta dimentichiamo o tralasciamo. Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole”, afferma.

Conclude quindi con una nuova invocazione a Maria perché ci conceda la grazia “di saper ritornare sempre a Gesù e dirgli il nostro grazie per i tanti benefici della sua misericordia”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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