«Ciò che si deve fare è dare l’opportunità alle persone di uscire dalla condizione di grande povertà nella quale versano con le loro forze. In tal modo esse conservano la loro dignità e acquistano fiducia in sé stesse».
Muhammad Yunus è l’economista che ha teorizzato il microcredito in chiave moderna: piccoli prestiti agli imprenditori troppo poveri per essere finanziati dalle banche. Le sue intuizioni, valsegli il premio Nobel per la pace nel 2006, potrebbero forse tornare di una qualche utilità anche nella nostra Italia, sempre più povera come attesta il rapporto Caritas, pubblicato nei giorni scorsi: nel Belpaese si è passati da 1,8 milioni di poveri nel 2007 (il 3,1% del totale) a 4,6 milioni del 2015 (il 7,6%), mentre la povertà assoluta ha confermato il suo radicamento in quei segmenti della popolazione in cui già in passato era più presente, ovvero al Sud e nelle famiglie con anziani, nei nuclei con almeno 3 figli minori ed in quelli senza componenti occupati.
A completare il quadro, i risultati delle ricerche della fondazione Migrantes: i giovani che erano appena nati o adolescenti allo scoccare del Duemila oggi che hanno tra i 18 e i 32 anni si trovano protagonisti dei nuovi flussi migratori. Una fuga di laureati e figure professionali iperqualificate, che impoverisce ulteriormente il tessuto produttivo e sociale: negli ultimi 12 mesi 107.529 italiani hanno lasciato il Paese, diecimila in più rispetto all’anno prima. Aumenta poi la percentuale di chi parte per non tornare: il saldo migratorio, già negativo, tra chi rimpatria e chi parte, rimasto quasi costante nel primo decennio del millennio, ha subìto nel 2015 un ulteriore incremento.
In questo quadro, c’è posto per la speranza? L’Italia, dice persino il Fondo monetario internazionale con le sue statistiche, conoscerà uno sviluppo inferiore alle aspettative. Con un Mezzogiorno che cresce della metà rispetto al Nord e Calabria e Sardegna fanalini di coda: il Pil si irrobustirà solo dello 0,3%.
Cambiar rotta, individuare soluzioni, trovare rimedi, non vale forse quanto la più importante delle riforme costituzionali? Come non avvertire vergogna di fronte a dati inequivocabili e sempre più impietosi? Come non considerare quella della lotta alle povertà la più importante delle battaglie? Garantire almeno un sostegno mirato ai nuclei con figli, alle famiglie monogenitoriali e alle donne in gravidanza, tenendo conto del numero dei congiunti e della necessità del reinserimento lavorativo e sociale dei disoccupati è prospettiva essenziale ed imprescindibile.
Ma si può fare altro. Magari già col prossimo D.E.F., dando spazio ad adeguati e corposi stanziamenti per tutelare in qualche misura la platea dei poveri assoluti. E poi ad una riforma strutturale del fisco, per cancellare ingiustizie dando il giusto peso ai carichi familiari. È quello che manca e che serve. Le famiglie povere non possono più attendere. Si faccia di più. Soprattutto, lo si faccia presto. Prima che sia troppo tardi.
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La lotta alla povertà, la riforma che serve
Cambiar rotta, individuare soluzioni, trovare rimedi, non vale forse quanto la più importante delle riforme costituzionali?