Disegno di Carmelo Raco

L'attualità della lotta di San Bruno alla simonia

L’eremita combatté il commercio delle cariche ecclesiastiche: ancora oggi il denaro è troppo spesso la misura delle azioni degli uomini

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La storia di alcuni santi rischia di apparire anacronistica ai nostri tempi se consideriamo la scelta del loro stile di vita. Se analizziamo con attenzione il contesto storico nel quale sono vissuti, allora riusciamo ad apprezzarne il loro coraggio e le loro virtù che li hanno resi modelli di vita cristiana. La scelta della vita eremitica e cenobitica di San Bruno è un esempio di come combattere le pratiche mondane, insinuate nel cuore della Chiesa, attraverso una testimonianza di autentica e genuina vita evangelica.
Bruno, chiamato anche Brunone, nacque a Colonia, intorno al 1030, trascorse la sua vita, oltre che in Germania, anche in Francia ed in Italia. A Reims si recò prima da studente e successivamente diventò professore di teologia e di filosofia. Egli si contraddistinse per la sua limpidezza e per la fedeltà agli autentici insegnamenti evangelici, i quali erano in contrasto con il fenomeno della simonia, il mercato delle cariche ecclesiastiche.
Questa situazione all’interno della Chiesa lo faceva soffrire molto. La sua reazione fu quella di ritirarsi, insieme ad altri sei compagni, per dare vita ad una comunità, dove ognuno viveva nella sua baracca dedicandosi al lavoro, e dedicare uno spazio alla preghiera all’interno di un ambiente comune. La sua intenzione era quella di vivere la vita evangelica per trovare comunione con Dio e una vera armonia con i fratelli. Questa iniziativa avvenne con l’autorizzazione del Vescovo Ugo di Grenoble.
Nel frattempo uno dei suoi allievi, il benedettino Oddone di Châtillon, fu eletto Pontefice con il nome di Urbano II, il quale apprezzando la fedeltà alla dottrina cristiana e la sua saggezza evangelica, lo invitò a trasferirsi a Roma come suo consigliere. Bruno rimase pochi mesi a Roma. Dopo avere ottenuto dal Papa il riconoscimento e l’autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, si recò in Calabria nella Foresta della Torre (nell’attuale provincia di Vibo Valentia), dove fondò una comunità monastica con la stessa regola di vita della precedente. Poco tempo dopo costruì un altro monastero dove si viveva la vita comunitaria senza le asprezze della vita eremitica.
Accanto a questo luogo nasceranno le prime case dell’attuale Serra San Bruno. Tutti si dovevano attenere alla regola, che fu approvata dalla Santa Sede nel 1176, dopo la sua morte. La regola prevedeva la sequela della primitiva comunità cristiana nella povertà e nella gioia, cantare le lodi comunitarie, fare bene il proprio lavoro ed insegnare ad altri a svolgere il proprio mestiere con professionalità, dedizione ed efficienza. Bruno morì a Serra San Bruno il 6 Ottobre del 1101.
La vita di questo santo richiede un approfondimento, perché la sua santità può essere facilmente equivocata. La scelta della vita eremitica non è stata suscitata dal desiderio di abbandonare la madre Chiesa, perché afflitta dalla piaga della simonia. Il desiderio di carrierismo è stato sempre una tentazione che gli uomini di Chiesa hanno dovuto combattere. Il Vangelo insegna chiaramente che un ruolo di responsabilità e di governo nella Chiesa è una chiamata particolare a compiere il proprio servizio in umiltà e povertà, fuggendo dalla tentazione di cercare il proprio prestigio e acquisire una fama mondana.
Bruno aveva compreso che la simonia non poteva costituire il criterio per attribuire cariche ecclesiastiche. Quando i soldi diventano la radice del criterio di scelta per esercitare un ufficio, viene esclusa l’elezione dello Spirito Santo sulla vocazione di un battezzato.
Bruno aveva compreso che la simonia era davvero un pericolo gravissimo che minacciava seriamente le radici del cristianesimo. La sua reazione a questo malcostume fu dapprima quella dell’insegnamento, ma rendendosi conto della diffusione del fenomeno, fu ispirato da Dio a compiere il gesto forte della testimonianza. Lasciare tutto per vivere una vita solitaria dedicata al lavoro, con momenti di preghiera personali e comunitari, significa tornare all’essenziale della vita cristiana.
Quanto è attuale questo messaggio anche ai nostri giorni. Guardando la tv, leggendo i giornali, osservando i profili dei vari social network, risulta evidente di come sia presente nella nostra società una nuova forma di simonia mondana. L’uomo cerca di comprare una “carica” nella società, perché sembra aver smarrito il suo posto. L’essere padre e madre che educano i figli nella propria famiglia, avere un lavoro senza ambire a comandare, essere volontario dentro una associazione senza puntare a diventare presidente, sono considerate situazioni tipiche di un perdente nella vita. Se una persona non riesce ad acquistare un incarico di prestigio viene considerato un fallito. Quanta povertà vi è dietro questo modo di pensare, quanta ipocrisia serpeggia in questo mondo che cerca il successo e perde il contatto con la realtà.
Il rimedio a queste alterazioni di pensiero è proprio la vita comunitaria, la quale ha il grande vantaggio di offrire a ciascuno un ruolo, toglie dalla solitudine, dona la bellezza delle relazioni, offre la possibilità di essere ascoltato e soprattutto concede l’occasione di essere ammonito quando perdiamo il senso della vita.
Bruno ci ricorda l’importanza di fare bene il nostro lavoro, non come un modo per accrescere il profitto economico, ma per offrire un servizio amorevole all’altro. Oggi il lavoro viene considerato come una merce di scambio. La professionalità sembra non avere più importanza, quello che conta è pagare poco il lavoratore, farlo stare tanto tempo al lavoro e mandarlo via quando non serve più. Queste situazioni tolgono dignità al lavoratore, il quale viene trattato alla stessa stregua di una macchina. Ripartire dalla dignità della persona, la quale esprime il suo amore al prossimo attraverso la fatica delle sue mani, diventa quella base di partenza da dove ripartire, per ricostruire una società che si sta disgregando proprio a causa della mancanza di un lavoro duraturo.
Dare un lavoro ai giovani, incoraggiare la formazione professionale, mantenere il lavoro ad una persona adulta fino ad arrivare alla soglia della pensione, sono quell’ordinamento naturale che costituisce la base di una società, che rischia di ammalarsi seriamente se non favorisce la diffusione del bene comune a partire dai più deboli.

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Osvaldo Rinaldi

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