A oltre 50 anni dalla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, il dialogo ebraico-cristiano sembra avere imboccato un cammino più maturo, tanto che ormai si parla apertamente di dialogo “intrareligioso” nel documento varato dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, intitolato “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11, 29).
Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra aetate (n. 4)”. Dopo secoli di antisemitismo, ebrei e cristiani tornano a essere fratelli, grazie allo sforzo compiuto dalla Chiesa in questi ultimi decenni che ha capovolto duemila anni di lotte fratricide.
Ma, nonostante le dichiarazioni ufficiali, la strada è ancora lunga per un’autentica teshuvà, per un “ritorno a Dio” che sia sinonimo di pentimento, all’interno di una rinnovata e puntuale catechesi del dialogo.
Come diceva il cardinale Carlo Maria Martini in “Israele, radice santa”, riscoprire la comune radice e riconoscersi è un processo in atto che può rinvigorire il cristianesimo e salvare l’ebraismo dalla minaccia del fondamentalismo religioso e dell’antisemitismo, inclusa l’attuale mutazione di quest’ultimo in antisionismo tanto diffuso in Europa. Entrambe le fedi hanno una grande responsabilità storica, sia morale sia spirituale, di fronte alle sfide dei cambiamenti in corso.
In gioco c’è la stessa sopravvivenza dell’Europa libera e indipendente. Ma è importante avere coscienza della nostra identità religiosa. «Erroneamente si ritiene che i diritti umani universali, quelli che con tanta fatica, sofferenza e milioni di morti siamo in parte riusciti a conquistare, derivino esclusivamente dal diritto greco e romano, da queste culture e dalle loro successive evoluzioni», osserva il rabbino Giuseppe Laras. «Invece è la Bibbia ebraica a introdurre nella civiltà umana la libertà quale Dna costitutivo dell’uomo e del creato, speculare alla libertà del Creatore (libertà e non sottomissione!)», spiega Laras.
«È la Bibbia, sia ebraica sia cristiana, a ipotizzare in qualche modo una possibile divisione tra politica e religione».
Riscoprire la nostra radice santa e l’identità ebraica di Gesù e del cristianesimo significa conquistare un’identità più forte, più profonda, più autentica, più radicata per noi cristiani. Ecco perché conoscere le tappe del dialogo tra le due fedi è fondamentale e perfino vitale.
Diffondere e far conoscere le raffinate elaborazioni teologiche rendendole accessibili a un largo pubblico è il compito che si è assunto Giuseppe Altamore, direttore del mensile BenEssere (Gruppo San Paolo) con il libro fresco di stampa dal titolo evocativo: Dalla stessa radice. “Ebrei e cristiani, un dialogo intrareligioso” (editore Lindau, 254 pagine, 22 euro).
Altamore nella sua opera ripercorre la complessa vicenda storica e culturale soffermandosi innanzitutto sulla figura di Rabbi Jeshua ben Joseph (Gesù), un «ebreo marginale» secondo la celebre definizione di J.P. Meier, per poi allargare il discorso al ruolo di san Paolo (Saulo) e a quello di Marcione – l’iniziatore nel II secolo della tragica contrapposizione dei due monoteismi, il cui pensiero è «una delle grandi tentazioni dell’età moderna», come ha detto Benedetto XVI – fino ai più recenti sviluppi del dialogo ebraico-cristiano di cui il cardinale Martini è stato uno strenuo fautore e che oggi è proseguito, tra gli altri, da intellettuali quali il rabbino Giuseppe Laras, Antonia Arslan, Vittorio Robiati Bendaud, Paolo De Benedetti e Amos Luzzatto, che dialogano con Altamore in una serie di illuminanti interviste e toccanti testimonianze inedite che segnano il dialogo e l’amicizia tra ebrei e cristiani.
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Cristiani ed Ebrei insieme in dialogo e amicizia
In libreria il volume di Giuseppe Altamore “Dalla stessa radice. “Ebrei e cristiani, un dialogo intrareligioso”, edito da Lindau