Sant’Agostino: un padre dell’Occidente

A Pavia, il cardinale Caffarra presiede le celebrazioni a San Pietro in Ciel d’Oro e sottolinea la speranza che il Vescovo di Ippona seppe infondere in una delicata epoca di transizione

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“Pavia ha l’onore e la responsabilità di custodire le spoglie di Agostino, Padre dell’Occidente”.  Il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna, che ha celebrato il solenne pontificale in San Pietro in Ciel d’Oro, ha così sintetizzato il valore e il senso del contributo che ancora oggi il santo Dottore della Chiesa può dare al nostro tormentato mondo.
Il legame fra Pavia e il Santo e la paternità spirituale dell’Occidente è sottolineata anche dal presidente del Comitato Pavia Città di Sant’Agostino, il biblista don Gianluigi Corti: “Indubbiamente l’Occidente vive una crisi di identità. Agostino ha saputo diventare anello di congiunzione fra civiltà romana e novità cristiana. È tempo di tornare a studiare il pensiero del vescovo di Ippona e Dottore della Chiesa per una rinascita culturale, ecclesiale, sociale”.
Nell’omelia in san Pietro in Ciel d’Oro il cardinale ha evidenziato il duplice messaggio che Agostino propone ai pastori e ai fedeli del Popolo di Dio. Ai pastori: “Le nostre città, la nostra nazione, la nostra Europa stanno attraversando una crisi mortale. La cifra della loro agonia è il freddo inverno demografico che stiamo attraversando. La parola che Dio rivolge a noi pastori ci costringe ad alcune domande: stiamo compiendo l’opera di annunciare il Vangelo o ci accontentiamo di esortare le persone a buoni sentimenti morali, quali per esempio tolleranza, apertura, accoglienza?”. I veri bisogni sono altri e albergano nei cuori delle donne e degli uomini che vivono con ansia i giorni cupi e tristi che stiamo attraversando. Si tratta di riannodare i fili della storia, di riprendere il senso ultimo di una storia che non è una cieca sequenza di fatti ma un corso di eventi in cui abita la Provvidenza. “Non dobbiamo, noi pastori, essere sordi all’angoscia che abita nel cuore di padri e madri, che pensano con paura al futuro dei loro bambini”, spiega l’arcivescovo emerito di Bologna, che continua: “Fino a quando sulle nostre spirituali rovine sarà celebrata l’Eucarestia, esse potranno risorgere. Le pie esortazioni morali lasciamole ad altri…”. Agostino visse sulla frontiera di due epoche, una visibile e l’altra invisibile. La prima declinava, ed era sotto gli occhi di tutti, la seconda stentava ad emergere. Agostino contribuì al sorgere di una nuova era, ridando agli uomini gli strumenti per cogliere la vera Speranza. Spiega il cardinale: “Ciò che desiderava, ciò che Agostino voleva, era trasmettere vera speranza… Trasmettere la speranza fondata sulla fede la quale, rinunciando al progetto di una vita ritirata fatta di preghiera e studio, lo fece capace di partecipare veramente all’edificazione della Chiesa e della città. La speranza che Agostino seppe trasmettere era incrollabile, perché era certo che Dio era venuto a vivere la nostra tribolata vicenda umana, e dal di dentro l’aveva salvata. È questo Dio che ci dà il diritto di sperare, non un qualsiasi Dio, ma solo il Dio che ha un volto umano perché si è fatto uomo. Il Signore dunque faccia tacere sulle nostre labbra di pastori parole vuote, e metta sulla nostra bocca parole vere”.
I fedeli, tutti noi, alla scuola di Sant’Agostino, siamo invitati a pensare alla luce della fede e a tradurre la fede in atti: “In questi momenti di grave incertezza mantenetevi fermi nella Chiesa. Abbiamo ragioni vere e belle per farlo. È in essa che incontriamo il nostro Salvatore”, ha concluso il cardinale.

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ZENIT Staff

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