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Il Papa argentino e la riconciliazione Stati Uniti-Cuba

Al Meeting si è discusso del contributo del Santo Padre ad un “disgelo” lungo oltre mezzo secolo

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Nel 2014 il Segretario di Stato americano John Kerry ha sorpreso il mondo con un annuncio: “Il Santo Padre Francesco e il Vaticano hanno avviato un nuovo capitolo nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba”. La complessa storia del rapporto tra i due paesi, il ruolo del Pontefice nella svolta e le speranze per il futuro sono state al centro di un dialogo tra tre professionisti cubani di successo, due residenti negli Usa e uno in patria, attivamente coinvolti nel lavoro per la riconciliazione dei due stati.
Se ne è discusso ieri al Meeting di Rimini. Il moderatore Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, ha evidenziato che tale riavvicinamento rappresenta “un chiaro esempio di misericordia come strumento della politica. Esso dimostra che la misericordia non esiste solo tra persone, ma può condizionare anche le più spinose vicende internazionali. Parafrasando una riflessione di David Grossmann, si può dire che il segreto sta nel mettere da parte il passato, che è sempre pieno di torti reciproci, e guardarsi in volto per un istante”.
“Il nuovo rapporto tra Usa e Cuba testimonia che ‘tu sei un bene per me’”, ha fatto eco Pedro Freyre, azionista e co-presidente dell’International Practice Group nello studio legale Akerman Senterfitt.
“I due paesi sono vicini, ma negli ultimi cento anni opposti, nonostante condividano tanti valori e desideri. Sono come due sorelle, una molto grande, ricca e potente, e una molto bella, più povera e più dolce, divise da problemi, come in ogni famiglia”.
“Del resto Cuba è un’isola”, ha aggiunto Rolando Guillermo Suárez Cobián, Consigliere giuridico della Conferenza Episcopale di Cuba, “la sua frontiera è il mare, che può unire ma anche separare. In realtà il conflitto non ha mai coinvolto i popoli americano e cubano, ma i due stati: però ha danneggiato le famiglie cubane, poiché in quasi ognuna di essi un componente è emigrato negli Stati Uniti e ha perso i contatti con i suoi familiari. Dobbiamo, invece, riavvicinare queste persone, ne trarrà beneficio anche l’economia”.
“Oggi vi do una buona notizia”, ha affermato Freyre. “Dopo oltre cinquant’anni di tensioni e di drammi e povertà legati all’embargo e all’emigrazione, abbiamo messo fine al conflitto. Gli Stati Uniti non sono più nemici di Cuba: non ne condividono la forma di governo, ma non saranno più una minaccia. E per questo è stato determinante il contributo di tre papi”.
“Giovanni Paolo II”, ha ricordato Suárez Cobián, “al suo arrivo nell’isola ha baciato la terra dicendo ‘Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba’. Altri suoi importanti inviti sono stati quello a occuparsi della famiglia – rivolto a tutti i cubani, anche residenti all’estero – e quello a sfruttare al massimo le potenzialità dei giovani.
L’unità tra i cubani è stata ribadita da Benedetto XVI, che nel suo pellegrinaggio l’ha affidata alla Vergine di El Cobre. Infine Francesco – ha concluso – si è presentato, nel suo viaggio, come messaggero di misericordia, riuscendo a riallacciare un rapporto di comprensione con gli Usa. Questo dialogo continuerà se riconosceremo le nostre differenze e difenderemo ciò che ci accomuna”.
Miguel Benito “Mike” Fernandez, Fondatore dell’Mbf Healthcare Partners, ha ricordato il viaggio a Cuba con cui il presidente degli Stati Uniti ha varcato la porta aperta dal papa. “Il 23 marzo 2016 Barack Obama ha pronunciato uno storico discorso, rivolto a tutti i cubani e scritto ascoltando, peraltro, i suggerimenti di cubano-americani come me. Ha affermato di essere venuto a seppellire le ultime tracce della guerra fredda e che la riconciliazione è necessaria ora. Ha promesso di valorizzare ciò che unisce i due popoli, di dare fiducia ai cubani e di non aver intenzione di imporre cambiamenti a Cuba.
Ha ribadito i valori di democrazia e libertà in cui si riconoscono gli Stati Uniti, ma ha garantito che essi cammineranno insieme ai cubani, come una famiglia, per costruire, pure tra sacrifici, un futuro di speranza”.
Fernandez ha riconosciuto un’analogia tra la storia italiana e cubana: “La vostra bandiera contiene anche il rosso del sangue versato durante le rivoluzioni per l’indipendenza. Anche noi cubani – sia chi è rimasto sia chi è emigrato, come me – abbiamo dovuto imparare a confrontarci con la morte e la povertà sin da piccoli. Eppure non abbiamo rabbia o odio nel cuore. Però dobbiamo capire che il futuro di Cuba è nelle nostre mani, non dei politici.
Per troppi anni – ha continuato – Cuba, intimorita dal nemico vicino e fiaccata dall’embargo, ha affidato la sua sopravvivenza economica ad altri Stati, prima l’Urss, poi il Venezuela. Ora l’isola sta riacquistando la sua indipendenza: ma per proseguire su questa strada i governi americano e cubano devono collaborare per deporre le loro ostilità e sfruttare le potenzialità del popolo, garantendone i diritti umani”.
“Il papa”, ha concluso Fontolan, “ha sottolineato che in questo processo ci vuole grande realismo, che è il più potente vaccino contro le ideologie”. “In questo senso”, ha spiegato Freyre, “stiamo cercando di cambiare il modo di pensare sia negli Usa che a Cuba, dove è molto più difficile, perché richiede pazienza, democrazia e una cosa che ai cubani difetta, l’umiltà”.
Fernandez si è detto comunque certo che tra pochissimi anni il futuro di Cuba sarà molto più roseo, e ha così risposto all’invito di Fontolan di tornare al prossimo Meeting per raccontare gli sviluppi del percorso di riconciliazione: “Ci saremo, ma troverete una sala ancora più grande e bella di questa, perché vi parleremo di soluzioni che nessuno si aspettava”.
 

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ZENIT Staff

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