Un monastero benedettino, padre Sorge ed il cuore misericordioso di Dio

A Citerna, nella Chiesa della comunità monastica Spirito Santo che da anni lo ospita, padre Bartolomeo spiega la Misericordia alla luce della “Amoris Laetitia”

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La prima volta che vi entrai ero incinta del mio primo figlio e non capivo come mai, quella mia giovane cognata, sveglia e dal carattere indipendente, avesse lasciato un bel lavoro ed un promettente futuro, per rinchiudersi lì dentro come monaca di clausura.
Poi, con il passare degli anni, mi si è aperto un mondo e proprio lì, in quel monastero benedettino di Citerna, ho incontrato tante bellissime persone che hanno lasciato semi dentro di me.
Ce n’è una, in particolare, che mi ha regalato preziosi granellini di senapa: padre Bartolomeo Sorge. Qualche pranzo fatto insieme in questo monastero dove lui frequentemente si ferma per lasciarsi abbracciare dal silenzio di Dio; qualche consiglio spirituale regalatomi nelle rare chiacchierate pomeridiane; un’email preziosa in cui mi porgeva una candela accesa per annullare il buio totale che avevo dentro… e pian piano, senza farci caso, oltre ai granelli mi ha dato pure l’acqua per poter far crescere la mia fiducia in Dio.
Venerdì 19 agosto quindi, l’incontro che padre Bartolomeo Sorge ha tenuto a Citerna, nella Chiesa della comunità monastica Spirito Santo che da anni lo ospita è stato più un bell’appuntamento tra amici che non un convegno “dogmatico”.
L’argomento? L’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco. Voglio condividere con voi alcune frasi che mi sono rimaste impresse. Alcuni minuti preziosi che mi sono entrati dentro. Non farò una sintesi dell’incontro, perché non ci riuscirei. Un’ora e mezza di splendida chiacchierata, con la banalità rimasta costantemente fuori la porta, non può essere riassunta in poche battute. Farò come si fa con gli amici, quando ci si racconta un pezzettino di vita personale e si dice: “Ma lo sai che sono andata a sentire padre Sorge? Ad un certo punto ha detto…”
Ecco…farò così: una condivisione informale di alcune sue frasi. Buona lettura!
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Quello di Papa Francesco è un documento scritto, come fa lui, con il cuore; cioè le cose che scrive, le vive. Non è andato a prendere libri, enciclopedie, autori o documenti famosi. No. Lui intinge la penna nel cuore e poi scrive quello che il cuore gli detta. Ma è un cuore pieno di fede oltre che di vicinanza ai problemi della gente.”
“Il Papa usa il metodo che noi chiamiamo “induttivo”; un metodo pensato da Papa Giovanni XXIII nella “Mater et Magistra” e che ha tre passaggi: VEDERE, GIUDICARE, AGIRE. Papa Francesco dice che per affrontare, come cristiani, un problema, dobbiamo fare sempre questi tre passi”.
“Siamo nel bel mezzo di una crisi di cambiamento culturale ed antropologico e che influenza tutti gli aspetti della vita. Non solo la famiglia, ma è certo che è proprio la famiglia ad avvertirne le conseguenze. Prendiamo l’individualismo esasperato attuale. Si sta imponendo a tutti i livelli, un modo di pensare individualistico che si potrebbe sintetizzare con “Io mi faccio i fatti miei, tu ti fai i fatti tuoi; quello che conta è che tutti siamo felici”. In questa mentalità, la famiglia – dice il Papa – è come un’isola, un soggetto che si può costruire secondo i propri desideri.
Io ho bisogno di una famiglia, la faccio… io non he più bisogno, la lascio. Tutto si vive individualmente”.
“Questa rivalutazione dell’individuo, di per sé, ha portato a molti miglioramenti di tipo sociale. Pensate ad esempio alla riscoperta dei diritti personali.
Ogni persona ha diritto alla vita, al rispetto, al lavoro, a parlare, a muoversi…
Il discorso individualistico ha avvantaggiato il cammino verso i diritti umani. Così come ha favorito i rapporti interpersonali, portando, ad esempio, ad una nuova concezione del rapporto fra i sessi ed all’affermazione della priorità del rapporto affettivo rispetto a quello giuridico, nella coppia.
Quindi questa scoperta dell’individuo come persona a sé stante è anche un fattore di crescita. Però, nello stesso tempo (soprattutto nella vita familiare) ha portato a conseguenze negative”. 
“La cultura contemporanea è una cultura del privato: mi faccio i fatti miei. L’io prima di tutto. Per questo Papa Francesco avverte che c’è il rischio di trasformare la famiglia in un luogo di passaggio, dove si va per reclamare diritti e bisogni ma si abbandonano poi i doveri alla precarietà volubile dei desideri e delle circostanze”.
“Bisogna ammettere che la Chiesa non ha saputo prevedere questo cambiamento di fondo che la rivoluzione culturale stava producendo nel modo di vedere i valori. A me ha fatto sempre impressione come il cardinal Martini queste cose le avesse viste. Martini è stato un profeta. Lui sognava una chiesa povera, giovane, in cui la donna avesse avuto il suo posto riconosciuto pienamente… ma il suo sogno è caduto nel vuoto. Un po’ amareggiato, scriverà “Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo… Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa”.
Se fosse vissuto qualche anno in più ed avesse conosciuto Papa Francesco, si sarebbe accorto che il suo non era un sogno ma una profezia!”
“Dice il Papa «per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme» (37). E qui fratelli miei apro una parentesi importante. Vedete: la famiglia è importante, ma non è facile. Non è facile vivere insieme tutta una vita, giorno e notte. Senza la grazia del Signore, non basta una volontà d’acciaio, un’intelligenza profonda, un amore vivace… non basta! Perché quando meno ve l’aspettate, nella vita di convivenza, si presenta una montagna più grande di voi. Non avrete la forza di superarla! Ed ecco qui la preoccupazione della chiesa: avendo un vangelo con una bella notizia per gli sposi, perché non predicarlo? Perché non aiutare le coppie a costruire una casa sulla roccia, in modo che quando piove o tira vento, non crolli la casa? Gesù è venuto a portarci la roccia! Quando vi scambiate le promesse, lo fate nel nome di Cristo “presente”! Lui è lì. Non dimenticatevi poi di Lui, durante la vita! Non è una cerimonia; è un sacramento che vi assicura la forza!”
Il Papa ci ha ricordato che noi siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirci ad esse. C’è un richiamo forte alla coscienza, voce di Dio nel nostro cuore”.
“Le vicende familiari, lungo tutto il racconto della salvezza, vengono considerate da Dio come il luogo privilegiato attraverso cui realizza la storia della salvezza dell’umanità. Nella Bibbia si raccontano storie di famiglie. È un lungo viaggio molto concreto. Abbiamo nomi, cognomi, prove, dolori… la famiglia è il luogo della trasmissione della fede, è una scuola di vita”.
 “È meravigliosa questa immagine di Dio che è la coppia: siamo due ma dobbiamo diventare uno. Quando mi capita di avere all’altare degli sposi, faccio mia una bella intuizione di don Tonino Bello ed utilizzo la matematica proprio come suggeriva lui. Uno “più” uno, fa due; ma uno “per” uno, fa uno! Come Dio. Dio è tre Persone ma è un unico Essere in relazione. Anche noi siamo nati per entrare in relazione con gli altri. Non esiste un uomo che possa vivere da solo, chiuso a chiave in una stanza. Non è possibile. Questa relazione è l’amore! Allora ecco la conclusione: se io mi chiudo in me stesso e la mia sposa si chiude in sé stessa, non faremo mai una famiglia. Siamo in due. Ma se io vivo “per” la mia sposa e la mia sposa vive “per” me, ecco che uno per uno fa uno!
Come Dio, dove ogni Persona vive d’amore per l’altro. Il Figlio ama il Padre; il Padre ama il figlio; lo Spirito Santo è l’amore che circola tra il Padre ed il figlio… cari sposi, non siate uno “più” uno, ma uno “per” uno!
E questo vale per ogni comunità, per la società intera, per tutto! La pluralità è una ricchezza, ma deve entrare in relazione”.
“La gente oggi è stanca di parole, ne sente tante. C’è bisogno di testimoni. C’è bisogno di incontrare famiglie pronte a rendere ragione della loro esperienza di fede.”
“Non ha senso fermarsi ad una denuncia retorica dei mali attuali, dice il Papa. Neppure serve pretendere di imporre norme d’autorità.”
 “Il Papa chiede a tutti, ma soprattutto ai vescovi, delle responsabilità un po’ inedite, perché si affrontino insieme i problemi della salvezza della famiglia”
“Il guaio del Papa è che vede il mondo, la Chiesa, i problemi…con gli occhi di Dio. Lui lo definisce il realismo di Dio. Lui non guarda con gli occhi del professore di diritto canonico, con l’occhio del professore di morale o con l’occhio del professore di teologia”
“Papa Francesco non dice (per esempio sulla questione della comunione ai risposati) che si può, ma apre prospettive. Perché? Perché vede il problema non con gli occhi dello studioso di Diritto Canonico, ma con gli occhi di Dio” 
“Il Papa dice: per risolvere questa tensione tra la coscienza soggettiva e l’obiettività della norma, bisogna compiere un discernimento (necessario non solo nei casi più difficili ma anche nella pastorale ordinaria). Va tenuta in considerazione non solo l’obiettività della legge ma anche la complessità delle situazioni. E qui entra in gioco il discorso sulla misericordia e la giustizia.
Il richiamo al realismo di Dio è la risposta che Papa Francesco dà.
Sentite come l’ha spiegato un mese fa parlando al Convegno Diocesano di Roma: “Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, no, non si tratta di questo. Al contrario, il realismo di Dio ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta. Questo non significa non essere chiari nella dottrina, ma evitare di cadere in giudizi ed atteggiamenti che non assumano la complessità della vita” Non possiamo avere norme uniche per tutti i casi di una società complessa.
«Comprendo – continua il Papa – coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Li comprendo. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”». 
La madre che è la Chiesa, non rinuncia al bene possibile. Guarda anche i lumicini di speranza. Gesù si è sporcato di più, dice il Papa. Non era uno pulito, ma andava tra la gente e prendeva la gente come era e non come doveva essere. Quindi la misericordia non è contraria alla verità, non è buonismo, non è sentimentalismo, ma si incarna nella vita concreta. Questo fa Dio verso i peccatori, quando ogni volta offre un’ulteriore possibilità di ravvedersi, di convertirsi, di credere. «Se Dio –  dice il Papa – si fermasse alla giustizia, cesserebbe di essere Dio. Sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta. L’esperienza insegna che appellarsi solo alla giustizia rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia, con la misericordia ed il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia, renderla superflua; al contrario! Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Ma scontare la pena non è il fine, bensì l’inizio della conversione, la quale fa sperimentare la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia! Egli la ingloba, la supera per un bene superiore dove si sperimenta l’amore che è il fondamento della vera giustizia.” Dalla Bolla Misericordiae Vultus di Papa Francesco (n. 21)
La chiesa giudichi come la chiesa possa aiutare questo popolo cristiano a venir fuori dalla sua situazione.
Ai sacerdoti dice: ricordatevi che il confessionale non è un luogo di tormenti ma è il luogo della misericordia e dell’amore. Afferma una cosa che anche a me fa molto pensare: l’eucarestia non è un premio per i santi e per i puri, ma è la forza di chi è debole. Gesù si è fatto pane per dare forza a chi è debole. Se io mi trovo in una situazione irregolare, lasciatemi andare all’eucarestia. Io ci soffro della mia situazione. Vorrei avere la forza di capire…
Chi di noi sacerdoti è degno di celebrare la messa?
Se uno aspettasse di essere degno per poter fare la comunione o per poter celebrare la messa…
Siamo tutti poveri peccatori. Siamo deboli e la chiesa lascia intravedere (perché più di questo non ha fatto il Papa) un possibile cammino pastorale…
Quello che è importante è questo sguardo di Dio, questo ritorno al vangelo… il Papa ci esorta a tornare al vangelo, perché nella chiesa ci sono sovrastrutture che non corrispondono allo sguardo di Dio…
Rinnoviamo l’approccio pastorale… la dottrina è sempre quella… ma l’approccio pastorale per affrontare questa crisi della famiglia in un mondo così complesso deve tener conto di tantissimi e diversissimi casi”
Mentre Padre Sorge parlava, mi è ritornata in mente una frase di don Pino Puglisi: “Si deve dare la speranza a chiunque chieda segni di amore”   
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[Fonte: www.intemirifugio.it]
 

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Maria Cristina Corvo

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