Famiglie per l’Accoglienza è un’associazione di promozione sociale nata nel 1982 da famiglie che accolgono temporaneamente o definitivamente una o più persone che hanno bisogno di una famiglia.
Alla fine dello scorso anno, anche per rispondere all’appello di papa Francesco per i rifugiati, Famiglie per l’Accoglienza ha avviato una nuova attività in sinergia con altri soggetti come AVSI, Caritas, Banco Alimentare e Banco Farmaceutico.
Si è iniziato, dunque, un percorso di ricerca, conoscenza e praticabilità di soluzioni da proporre a soci e amici, sfociato nel coinvolgimento nel progetto Rifugiato a casa promosso dalla Caritas nazionale.
In occasione del Meeting di Rimini, dove Famiglie per l’Accoglienza ha il suo stand, ZENIT ha incontrato Massimo Orselli, presidente della sezione marchigiana dell’associazione e membro del direttivo nazionale.
Signor Orselli, com’è nato il vostro progetto per i migranti?
È un tema su cui lavoriamo dallo scorso ottobre, in collaborazione con realtà come AVSI, Banco Alimentare e Banco Farmaceutico, con le quali abbiamo realizzato un vero e proprio network. Il soggetto più importante è tuttavia la Caritas Ambrosiana, avendo il progetto avuto origine nella Diocesi di Milano. Di norma, quindi, aiutiamo in particolare giovani immigrati che sono già stati all’interno di strutture della Caritas e che devono affrontare problemi legati alla burocrazia, alla lingua o alla sanità. Si pone per loro un problema serio di inserimento in una nuova realtà, quindi alcune famiglie si mettono a disposizione per accompagnarli in questo cammino.
A livello nazionale quante sono le famiglie coinvolte nell’iniziativa?
Al momento abbiamo dalle otto alle dieci famiglie a Milano e un’altra decina nel resto d’Italia. L’accoglienza è importante anche sul piano culturale. Si comprende che vuol dire accogliere i migranti: non basta dare loro da mangiare o da bere. Questo aspetto del valore culturale dell’accoglienza è stato molto ben trattato nella mostra sui profughi qui al Meeting. Non dobbiamo avere la pretesa di dover rispondere ai bisogni di tutti, la cosa importante, al momento, è avviare questo tipo di esperienza. L’obiettivo è anche offrire anche un paio di incontri di formazione alle famiglie, spiegando chi sono i ragazzi che accolgono, quali sono le loro difficoltà, la loro cultura, ecc. Al tempo stesso, viene spiegato di cosa hanno bisogno e cosa si deve fare per loro.
In che modo vi relazionate con la Caritas e le altre strutture?
L’operazione che adesso stiamo avviando è un censimento a livello nazionale riguardo a quali strutture siano già relazionate con le prefetture e abbiano già iniziato un percorso con questi ragazzi, per capire se le nostre famiglie possono iniziare questo cammino di accompagnamento. Vi sono poi circostanze che impongono di svolgere servizi non preventivati. A Taranto, ad esempio, vi sono due famiglie che assistono dei profughi nigeriani. Una ha accolto una donna e sua figlia, tenendo in casa la bambina, nelle ore in cui la madre lavora. Un’altra famiglia mette a disposizione un letto per dormire a un giovane che fa il lavapiatti e rientra alle 2 del mattino, non potendo raggiungere il centro per profughi, che è troppo lontano. Ci sono dunque diverse forme di accoglienza e nelle realtà locali emergono necessità che, in precedenza, non erano state previste.
Siete dunque in una fase sperimentale del progetto?
Siamo in una fase sperimentale perché sembra occorra procedere con prudenza. La domanda è grande ma non possiamo avere la presunzione di risolvere le questioni di tutti. Una cosa importante che chiediamo alle famiglie è che vivano questa esperienza in compagnia con altre. Questo è lo specifico della nostra associazione: famiglie che fanno compagnia ad altre famiglie che vivono l’accoglienza. Ci sono anche famiglie che non fanno parte dell’associazione ma che ci aiutano a localizzare gli immigrati. Poi noi, con la nostra realtà capillare presente in tutta Italia vogliamo incontrarle per fare loro compagnia.
Un’esperienza, dunque, dal profondo significato umano, oltre che sociale…
Sì, c’è un aspetto educativo ed un legame che si crea, anche perché questa è una ricchezza. Nell’esperienza di accoglienza che viviamo, l’altro che accogliamo è veramente “un bene per noi”. Questi ragazzi, che si fermino con noi un mese o tutta la vita, rimangono con noi per sempre.
Quest’esperienza, quindi, potrebbe anche diventare un modello di integrazione?
Certo, c’è questa possibilità. Noi stiamo partendo dall’esperienza della Lombardia, perché le condizioni ce lo consentono. La Caritas Ambrosiana gestisce già alcune realtà e da lì si vuole sviluppare in altre parti d’Italia, perché si facciano dei passi adeguati.
***
Per approfondimenti: www.famiglieperaccoglienza.it
© Save The Children
Migranti: l’accoglienza nasce in famiglia
Con il sostegno della Caritas e di varie associazioni, molti profughi e rifugiati stanno diventando beneficiari di un percorso di integrazione che parte dal contatto persona e dalle esperienze del quotidiano