Cos’è che unisce Romano Guardini e Luigi Giussani? Entrambi sono stati due grandi intellettuali cattolici, nonché testimoni ed interpreti dei vertiginosi cambiamenti del XX secolo. Per tutti e due, inoltre, è in corso il processo di beatificazione.
Le analogie, tuttavia, non finiscono qui, come ha dimostrato il dibattito Romano Guardini e Luigi Giussani in dialogo con la modernità, proposto ieri al Meeting di Rimini da quattro studiosi, a vario titolo legati a queste due grandi figure sacerdotali.
A moderare l’incontro Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione e autore di una recente significativa biografia di don Giussani. Secondo Savorana, sia il teologo italo-tedesco che il fondatore di CL, rispondono positivamente all’epocale dilemma posto da Dostojevskj già verso la fine del XIX secolo: “Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?”.
Sia Guardini che Giussani, infatti, sono “due prototipi dell’uomo moderno” che “si sono interrogati sull’attualità della fede cristiana”, evitando di cadere nel tranello di “dare risposte vecchie alle domande nuove”.
È quindi intervenuto Johannes Modesto, postulatore della causa di beatificazione di Guardini, individuando un tratto comune dei due servi di Dio nel “primato del logos sull’ethos”, ovvero di un cristianesimo non “storico o sociologico” ma principalmente esperienziale, rifiutando qualunque tentativo di “riduzione etica”.
Inoltre, sia Guardini che Giussani “parlano dell’amore e della conoscenza di Dio”, una conoscenza “mai solo intellettuale” ma sempre intesa come “unione carica di intimità”, ha aggiunto Modesto.
Sulla scia di San Tommaso, i due servi di Dio pongono “le cose reali in relazione con l’intelletto” e, ben lungi dal proporre una abolizione di “comandamenti e regole”, le posizionano “in una luce pastorale”.
Se per Giussani, il cristianesimo è un “avvenimento” e non una “legge”, né una “ideologia”, un “progetto” o una “concezione”, Guardini affermava: “Non c’è religione più materialistica del cristianesimo”, ribadendone il legame con il reale.
Massimo Borghesi, docente di filosofia morale all’Università di Perugia, ha presentato Guardini come un “grandissimo educatore”, come del resto lo fu anche Giussani. Lungi dall’essere un “autore del passato”, il teologo italo-tedesco fu un intellettuale libero e scomodo negli anni del nazismo, al punto che le sue attività al Castello di Rothenfels nel 1939 furono soppresse e, a Berlino, le sue lezioni venivano spiate dalla Gestapo.
Un grande merito sul piano storico-filosofico di Guardini fu quello di aver intuito i limiti del pensiero “neoscolastico”, che pure fu un movimento di grande spessore culturale, incoraggiato peraltro da papa Leone XIII. Tale limite risiedeva nella “utopia medievalista” e nella idealizzazione del Medioevo, retaggio dell’epoca romantica.
Nella neoscolastica mancava dunque un linguaggio capace di “parlare alla sensibilità degli uomini del tempo”, pur con lodevoli eccezioni quali Cornelio Fabro o Jacques Maritain.
Secondo Guardini, il Medioevo, con tutti i suoi pregi, si fermò ad essere una “epoca precritica” che aveva confuso gli ambiti, cosicché “la libertà ne aveva sofferto”, ha spiegato Borghesi.
Il teologo italo-tedesco intuì che “la fede di oggi è più grande di quella medievale” perché attecchisce “in un mondo che non sostiene la fede”. Nella sua concezione, Guardini intravide due estremi pericolosi: da un lato la “assoluta autonomia del mondo da Dio”, che è propria del laicismo contemporaneo; dall’altra l’“integralismo” e il “clericalismo”, che, percependo il cristianesimo nella modernità come una “città assediata”, non vedono “problemi” ma solo “parole d’ordine”.
L’epoca moderna, comprese Guardini era molto più assimilabile alla tarda antichità e, in questo, colse la grande attualità di Sant’Agostino. Nella sua maturità, il teologo italo-tedesco si scoprì persino liberale, poiché “non si dà libertà, se non vi è certezza”.
Ha chiuso gli interventi Monica Scholz-Zappa, docente di scienze linguistiche e culturali all’Università Albert Ludwig di Friburgo, che ha sottolineato la dimensione educativa ed attenta alla gioventù dei due servi di Dio. “Entrambi – ha osservato – hanno favorito l’umano e la loro scommessa fu nella possibilità di scoprire una istanza oggettiva oltre la fisicità”. Sia Guardini che Giussani, inoltre, intendono il cristianesimo più come “avvenimento” che come “proiezione di religiosità”.
La prof.ssa Scholz-Zappa ha poi concluso rievocando un aneddoto riguardante un confronto tra don Giussani e un giovane anticlericale che, dinnanzi al sacerdote brianzolo, esaltava la grandezza della libertà dell’uomo moderno che, come il Capaneo dantesco, pur all’inferno non rinunciava a sfidare Dio, bestemmiandolo e maledicendolo. E don Giussani lo zittì subito, replicandogli: “Non è ancora più grande amare l’infinito?”.
Guardini e Giussani: due nostri contemporanei
Al Meeting di Rimini un dibattito sui due grandi pensatori cattolici, entrambi in fecondo dialogo con la modernità ed oggi sulla strada della beatificazione