Cane sbrana bambino. L’umano e lo scarto nella comunicazione

C’è da preoccuparsi quando i media non esprimono compassione per gli esseri umani

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La triste vicenda di Catania in cui un bimbo di un anno e mezzo è stato sbranato ed ucciso da uno dei due cani di famiglia, induce ad alcune riflessioni sull’interpretazione che i media hanno dato rispetto a quanto accaduto.
Dopo una prima sommaria ricostruzione dei fatti, è stato chiarito che il bimbo si trovava tra le braccia della madre, rimasta gravemente ferita nel tentativo di salvare suo figlio, quando uno dei due cani di proprietà della famiglia, per ragioni ancora da chiarire (se mai si riuscirà), si è avventato, strappando il piccolo dalle sue braccia.
A quanto se ne sa oggi, quindi, rispetto alle prime notizie, il bimbo non era stato lasciato incustodito nel giardino della villa in cui abitava, ma, tutt’altro, era in braccio alla madre.
Lascia stupiti il tipo di attenzione che i media hanno rivolto alla vicenda.
Dopo aver narrato quanto avvenuto, tutta l’attenzione è stata rivolta ai due cani, ora custoditi nel canile comunale.
Ho assistito ad alcune interviste a veterinari, esperti di addestramento dei cani, rappresentanti di associazioni per la tutela degli animali, nonché del veterinario responsabile dell’area geografica in cui si è svolto l’episodio, intervistato in veste professionale, in camice bianco e divisa verde da sala operatoria.
La domanda: cosa ne sarà ora dei cani? Molte le risposte ben articolate e fondate sia sul piano giuridico, che di tutela degli animali. Tre le ipotesi: soppressione; rieducazione degli animali; conservazione degli stessi nel canile comunale. Alcune associazioni per la protezione degli animali, si sono già proposte per la rieducazione dei due cani (Tg 1 Rai h 13.30 di oggi).
Altra domanda che nessuno dei media si è posto ed ha posto: che ne sarà della madre?
Non mi riferisco agli aspetti giuridici: la giustizia farà il suo corso.
Ma a cosa ne sarà della madre dal punto di vista umano, morale, psicologico.
Come la donna sta vivendo e vivrà questo tremendo lutto? Chi la aiuterà a “rimettersi in piedi”, soprattutto se fosse confermato che il bimbo le è stato strappato dalle braccia?
Come stanno vivendo il dramma la donna e suo marito?
Nulla di tutto ciò: l’attenzione (morbosa) è rivolta alla pericolosità dei cani; al loro eventuale recupero, alle precauzioni da assumere nei loro confronti.
Dell’umanità “strappata” (in senso letterale), ferita (in senso letterale), uccisa (in senso letterale riguardo al bambino e metaforico rispetto ai genitori), non una parola.
L’umano soggiace all’animale, in quanto quest’ultimo sta assumendo un valore più alto e più profondo rispetto alla persona e al mistero di cui essa è portatrice.
Quando Papa Francesco, nel cap. IV della “Laudato sì” introduce il concetto di “ecologia integrale”, fa riferimento ad un paradigma culturale che sembra essersi smarrito.
Uno dei problemi che l’enciclica evidenzia è la «schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano» (n. 118); in entrambi i casi, svanisce la responsabilità umana, che appare invece evidente quando si considera il posto che l’essere umano occupa nella trama delle relazioni ecosistemiche”.
Si riafferma così il primato dell’uomo sulle cose e sugli animali: esse sono finalizzate a lui e affidate alla sua responsabilità, mentre per nessuna ragione egli può essere asservito ai suoi simili e quasi ridotto al rango di cosa. Ma il sensazionalismo “della notizia” fa perdere di vista tale primato.
Oppure si potrebbe formulare una seconda ipotesi: la cultura della persona non fa più notizia. Quella che sarà la dinamica di una vita, comunque spezzata, comunque “scartata” dai Tg e quindi dai percorsi culturali dei telespettatori, non interessa, non ci provoca di più di quello che sarà il destino di un incolpevole animale.
 

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Tommaso Cozzi

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