È “piccolo” il “gregge” del Signore, ma è inviato a salvare il mondo. È “piccolo”, ma non importa: non sono le statistiche che ne decidono qualità e importanza. A Gedeone pronto a combattere contro i Madianiti, il Signore disse che la gente che era con lui era troppo numerosa”; non voleva che Israele si vantasse dicendo “La mia mano mi ha salvato”. Ne bastarono trecento e i Madianiti furono sconfitti.
Così è anche oggi, forse più che in altri momenti: “Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano… Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza creativa che rimetterà la fede al centro dell’esperienza… Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti” (J. Ratzinger).
Povera, proprio come desidera la Chiesa Papa Francesco; povera, eppure nulla le manca, perché gode degli unici beni ai quali “i ladri” non possono “arrivare” e che “il tarlo” non può “consumare”. I suoi pascoli, infatti, hanno il sapore dell’erba sempre fresca del Regno che il “Padre” ha voluto regalare a ciascuno dei suoi figli, la Parola e i sacramenti da gustare nella comunione con i fratelli. Anche se, durante il cammino, deve passare per le valli oscure dell’angoscia e del dolore, “non teme” alcun male, perché il Buon Pastore è sempre con lei preparandole una mensa davanti ai nemici, le tentazioni del demonio e il male incipiente.
Per questo i cristiani non hanno bisogno di “possedere” nulla: in Cristo hanno trovato tutto quello che il cuore desidera; possono “vendere” i propri beni e “darli in elemosina” perché hanno il loro “tesoro sicuro nei cieli”; è lì che Gesù ha preparato la loro dimora, con Lui hanno vinto la morte che impedisce l’amore e ormai il loro “cuore” abita dove è l’Amato. È vero che, sedotti da una menzogna, abbiamo spesso vissuto obbligati a “servire” un “padrone” crudele.
Ma il Signore è “giunto nel mezzo” della nostra “notte” di schiavitù, e ne ha fatto una Pasqua. Nel seno materno della Chiesa il “Padrone” autentico della nostra vita ci ha fatto parte del suo “gregge” donando anche a noi il suo Regno, dove il Primo si fa ultimo, e il Maestro fa “mettere a tavola” i suoi servi per “servirli”. Questo mistero si rinnova ogni giorno nella Chiesa dove il Signore parla “a noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi se abbiamo “capito” che cosa Egli ha fatto nella nostra vita. Se sì, sapremo “attenderlo” con gioia, vivendo ogni istante come in una notte di Pasqua, e “beati” noi se il nostro cuore “veglia” nell’ascolto della sua Parola; “beati” noi se sapremo attendere il Signore che “torna dalle nozze” dove ha riscattato ogni uomo per “aprirgli subito”, quando “arriva e bussa” per entrare nei momenti difficili del matrimonio, nel rapporto con i figli, con i colleghi, gli amici, il fidanzato.
“Beati noi” se saremo “pronti” ad annunciare loro il Vangelo rinunciando ai criteri mondani; con “le vesti strette ai fianchi”, nella castità della carne e dello spirito che lascia liberi e non si appropria di nessuno nell’“attesa” che sia Dio, con i suoi tempi, a parlare ai cuori; con “le lampade accese” di Carità illuminata dalla Verità, senza compromessi. “Beati” noi se il Signore “ci troverà così”, celebrerà con con tutti la sua Pasqua di vita e libertà.
Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi. Forse tra un momento, forse nella persona che “non immaginiamo”, la più cara; forse proprio la moglie che, stanca per una giornata di lavatrici e ferro da stiro, non comprende il nostro nervosismo innescato da un capufficio in vena di soprusi, e ci accoglie a casa con una lista di doglianze che, al confronto, i 60.000 Cahiers de doléances degli Stati Generali francesi sono bazzecole. Siamo, infatti, “amministratori” dei beni di Dio, non conduciamo noi la storia e il tempo non ci appartiene.
Siamo chiamati alla “fedeltà” e alla “prudenza”, gli antidoti alle tentazioni del demonio che ci fa temere la croce mostrandocela come debolezza e impotenza di Dio che ne “ritarderà” di certo l’avvento. Ma non è così, la sofferenza ci purifica e “sala” i beni per impedirci di vivere “infedelmente”, “percuotendo” con parole e ricatti il prossimo al quale siamo inviati, per “mangiare, bere e ubriacarsi” saziando gli appetiti della carne. Ci “è stato dato molto”, in amore e misericordia: per questo “ci è stato affidato molto”, la salvezza di questa generazione.
Ci è stato data la vita e il Vangelo che l’ha salvata, la “razione di cibo” che siamo chiamati a da dare “a suo tempo” a moglie, marito, figli, colleghi, a tutti: “Gli uomini scopriranno di abitare un mondo di indescrivibile solitudine e avvertiranno l’orrore della loro povertà. Allora, e solo allora, vedranno quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto” (J. Ratzinger). Per noi è preparata “nel mezzo della notte o prima dell’alba” la beatitudine riservata a chi “agirà” come agnello del “piccolo gregge” di Cristo, donando se stesso senza riserve.
Gesù risorto / Pixabay - Alexandria, Public Domain
I cristiani non hanno bisogno di “possedere” nulla: in Cristo trovano tutto quello che il cuore desidera
Commento al Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) – 7 agosto 2016