Human cell-line in laboratory

Human cell-line in laboratory - Wikimedia Commons

Gb. Soldi pubblici per far rimanere incinta i transessuali

Inchiesta del Daily Mail – “La marcia dei “maschi-mamme” – sul denaro pubblico usato per congelare ovuli e sperma, consentendo ai trans di procreare dopo l’operazione chirurgica

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Era il marzo del 2015. In uno dei suoi diversi interventi per denunciare il gender, il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, definì questa ideologia una “scure alla radice stessa dell’umano”, volta ad edificare un “transumano” in cui l’uomo “appare come un nomade privo di meta e a corto di identità”.
Non mancò il porporato di sottolineare come “manipolazioni da laboratorio” siano oggi lo strumento privilegiato per conseguire questo scopo: “costruire delle persone fluide, che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno e quindi diventi diritto: individui fluidi per una società fluida e debole”.
Il quadro sociale sinteticamente descritto dal presidente dei vescovi italiani, sembra assumere sempre più i contorni della realtà in Gran Bretagna. ZENIT nel marzo 2016 ha raccontato come il Servizio sanitario britannico stia spendendo un’enorme somma di denaro pubblico (2,6milioni di sterline in soli nove mesi) per sottoporre bambini – ai quali è diagnostica una “disforia di genere” – a trattamenti farmacologici volti a bloccarne la pubertà per rendere più agevole un’operazione chirurgica di cambio sesso una volta raggiunta una certa età.
Da Oltremanica giunge ora notizia di un ulteriore passo verso il transumano (compiuto sempre per mezzo dei soldi dei contribuenti). Il Servizio sanitario nazionale, infatti, sta stanziando dei soldi per consentire a persone sul punto di cambiare sesso di “preservare la loro fertilità”.
Ne dà conto il Daily Mail. Il tabloid racconta di tre donne inglesi che, dopo esser state operate per diventare uomini, partoriranno presto attraverso tecniche di fecondazione in vitro. I loro ovuli sono stati congelati prima dell’intervento chirurgico e poi “riassegnati”. Il tutto, con un elevato costo per le casse dello Stato.
Si stima che Londra dovrà pagare oltre 34mila sterline per garantire il servizio a tutti i transessuali che ne stanno facendo richiesta. La Gender Identity Clinic di Londra annuncia che sono 50 le donne che, prima di migrare verso la mascolinità, intendono congelare gli ovuli; e sono 100 gli uomini che, intenti a compiere il cammino inverso, desiderano congelare il proprio sperma.
Dinanzi a tanto, si alza qualche flebile voce di protesta, come quella di Michael Nazir-Ali, vescovo della Chiesa anglicana, il quale ha parlato di un processo che va contro “l’ordine naturale”. Nazir-Ali ha osservato che sarebbe imprudente condannare dei figli a “non sapere se il proprio genitore è un padre o una madre”.
Più venale, ma comunque ragionevole, la critica da Peter Bone, deputato conservatore, che ha affermato: “Non capisco perché il contribuente dovrebbe finanziare questo trattamento. Mi chiedo se il Servizio sanitario nazionale stia davvero occupandosi dei diritti prioritari” dei cittadini.
A Bone ha indirettamente risposto il dott. James Barrett, della Gender Identity Clinic. Egli ha parlato di una “questione di principio”, per cui le persone che cambiano sesso devono mantenere la capacità di diventare genitori.
Barret fa quindi un’emblematica riflessione: “Perché le persone con un cancro possono ottenere questo trattamento e gli altri no? I pazienti transessuali vogliono vivere come persone normali. Desiderano ciò che altri ottengono come naturale”.
A far da corollario all’appello lacrimevole del dott. Barrett, il Daily Mail propone ai lettori la storia di Riley, 17enne inglese nata con il nome di Rebecca, ma che ha già cambiato sesso anagrafico malgrado, non essendo maggiorenne, non si sia ancora sottoposta all’operazione chirurgica. La giovane vorrebbe congelare i propri ovuli prima di passare all’altro sesso, di modo che in futuro potrebbe farli impiantare nell’utero della sua attuale fidanzata, così da poter entrambe diventare “mamme” attraverso la donazione di sperma da parte di una terza persona.
Processi cervellotici, che sempre più a fatica riesce a sbrogliare la giustizia britannica. Un anno fa l’Alta corte di Londra ha stabilito che un transessuale passato da maschio a femmina doveva essere definito sui certificati come “padre” dei suoi “figli”, giacché questi ultimi sono stati concepiti prima di iniziare la terapia ormonale. Il tale chiedeva invece di essere definito semplicemente come “genitore”, per tutelare un presunto “diritto umano” a mantenere privata la sua identità sessuale.
Attenzione poi a un altro elemento. I dati ufficiali del Governo britannico citati dal Daily Mail, indicano che la possibilità di successo per questo tipo di fecondazioni artificiali è di 1 a 29. Ciò significa che per ogni embrione creato da ovulo congelato, altri 28 vengono soppressi.
Su Life Site Anthony Ozimic, della britannica Society for the Protection of Unborn Children, ha commentato: “Questa notizia scioccante mostra ancora una volta che la fecondazione in vitro ha aperto un vaso di Pandora di problemi etici”.
La riproduzione relegata ai laboratori – osserva ancora Ozimic – è un freddo processo in balìa del consumismo: “Non sorprende perciò che qualsiasi tipo di consumatori – single, coppie omosessuali e coloro che soffrono di disforia di genere – possano ordinare i bambini non ancora nati, privatamente o in convenzione statale, come se la vita umana fosse una merce”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Federico Cenci

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione