Non si prospettava certo come il più semplice dei viaggi per papa Francesco. Vuoi per le differenze di sensibilità tra il mondo cattolico slavo e quello latinoamericano. Vuoi perché c’era di mezzo una Giornata Mondiale della Gioventù, con tutti i complessi risvolti legati all’evangelizzazione dei giovani, nonché agli stili e ai contenuti di questi eventi ecclesiali. Vuoi per l’inevitabile confronto con un illustrissimo predecessore di Bergoglio, che molti polacchi continuano a considerare il “loro” papa: San Giovanni Paolo II.
Quello celebratosi nei giorni scorsi è stato l’incontro tra due tradizioni ecclesiali, rivelatesi tutt’altro che inconciliabili. Da un lato Bergoglio, il pastore figlio di immigrati, diventato gesuita, sacerdote e vescovo in una babilonica e tumultuosa metropoli latinoamericana, dove l’annuncio del Vangelo difficilmente può essere disgiunto dall’attenzione alle emergenze sociali. Un papa legato ad un contesto multiculturale e multireligioso in costante evoluzione. Uomo del dialogo e del confronto con religioni e civiltà diverse da quella cristiana.
Dall’altro lato, troviamo la realtà della Polonia, paese che, da secoli, trova nell’omogeneità etnica, linguistica e religiosa, il suo elemento di maggior coesione nazionale, pur avendo ospitato per tantissimo tempo una consistente minoranza ebraica. Un paese che ha fatto della fede cattolica, e in particolare mariana, un elemento fondante della propria libertà e del proprio amor patrio.
I più critici immaginavano un possibile punto di incomprensione nell’approccio al fenomeno migratorio, fattore oggettivamente piuttosto nuovo per il popolo polacco. Ed effettivamente, se si legge la seconda parte del discorso di Francesco alle autorità politiche e civili, al Wawel di Cracovia, è impossibile non leggervi un invito ad una maggiore generosità nell’accoglienza.
Invito che il Pontefice è riuscito ad avanzare in modo molto “soft” ma tutt’altro che sfumato. E lo ha fatto, com’è nel suo stile, mettendo in evidenza innanzitutto “ciò che ci unisce”, rispetto a “ciò che ci divide”. Ha quindi rievocato le parole di San Giovanni Paolo II, i suoi richiami alla “Europa dai due polmoni”, alle “radici cristiane”, affermando che il valore evangelico dell’accoglienza ai forestieri, ben si può conciliare con la tutela della propria identità o con la protezione del diritto alla vita o della famiglia naturale – da sempre cavalli di battaglia della chiesa polacca ed attualmente anche del suo governo – che, anzi, ne uscirebbero rinforzati.
Peraltro l’apertura agli immigrati non è mai stata messa in discussione dall’episcopato polacco. Al contrario, già prima dell’appello di Bergoglio ad aprire le porte di conventi e parrocchie d’Europa ai rifugiati, un invito analogo era arrivato dal presidente della Conferenza Episcopale Polacca, l’arcivescovo di Poznan, monsignor Stanislaw Gadecki.
Altro terreno comune su cui il Santo Padre ha lavorato sodo nella preparazione della sua visita, è stata la Misericordia. Non è da escludersi che, nella scelta di convocare un Anno Santo Straordinario, abbia avuto il suo peso la già prevista visita in Polonia, nella diocesi dove ottant’anni fa, Santa Faustina Kowalska, avviò il culto della Divina Misericordia.
“Misericordia voglio, e non sacrifici”: è stata questa la frase vergata dal Papa sul libro degli ospiti del Santuario, prima di andare a confessare otto giovani pellegrini. Un gesto che ribadisce il carattere universale della Misericordia, come “architrave della Chiesa”, per usare ancora parole di Bergoglio.
Altro passaggio cruciale: la celebrazione al santuario mariano di Jasna Gora, a Czestochowa, del 1050° anniversario del “battesimo della Polonia”. In questa occasione, il Pontefice ha messo al centro una virtù contigua alla Misericordia, ovvero quell’umiltà che nella Vergine Maria, elemento incrollabile della fede del popolo polacco, trova il suo esempio più splendente.
Il viaggio che si era aperto con la discussa affermazione secondo la quale le attuali guerre in corso sono di natura “economica” e non “religiosa”, ha trovato il suo momento topico e, verosimilmente, più toccante, nella visita ai lager di Auschwitz e Birkenau, memorie vive del più feroce odio antireligioso mai scatenato nel continente europeo.
C’è un filo rosso che lega i tragici eventi consumatisi in Francia e Germania nelle ultime settimane e il ‘pellegrinaggio silenzioso’ di Bergoglio nei luoghi dell’odio nazista ed antisemita. Senza parole, con il solo sguardo assorto nella preghiera, il papa argentino ha pronunciato il suo “mai più” a tutti i fanatismi, al sangue umano versato in nome di un falso Dio, esistente solo nelle menti esaltate di taluni. E ha ricordato – anche qui suscitando accese discussioni – che non esistono religioni buone o cattive ma che un germe di potenziale fondamentalismo è presente in ognuna, persino nel cattolicesimo.
Uno sguardo, infine, ai veri protagonisti della settimana: i giovani. Dalla predicazione di Bergoglio di questi giorni, emerge un elemento: sembra ormai finito il tempo della catechesi e della ri-evangelizzazione delle nuove generazioni da parte del Papa. Ciò sta a significare una autentica e definitiva investitura del Vicario di Cristo in terra nei confronti degli apostoli della “nuova evangelizzazione”, per un fede che non può più limitarsi alle parole ma deve finalmente incarnarsi in esempio di vita e in iniziative degne di ‘apostoli del terzo Millennio’
Se in occasione della precedente GMG di Rio 2013, il Santo Padre aveva esortato i giovani a “non guardare la vita dal balcone”, tre anni dopo il suo invito è ancor più radicale: non guardare la vita “dal divano”, non adagiarsi in pigrizie e comfort, che a tutto portano, tranne che alla felicità, e che nulla hanno a che vedere con una vita cristiana attiva, relazionale ed entusiastica.
In queste circostanze, il Papa conferma la sua carica pedagogica, prima ancora che apostolica, e la sua capacità di parlare un linguaggio adatto ai giovani, arricchito di metafore mutuate dalle nuove tecnologie, aprendosi alla loro utilità ma, al tempo stesso, restituendo ad esse la loro giusta dimensione.
Un milione e mezzo circa di pellegrini, nella sola messa conclusiva: un numero assolutamente ragguardevole, anche in considerazione delle dimensioni relativamente ridotte di Cracovia, che di abitanti ne ha la metà. Un dato che, inevitabilmente, ha riacceso il dibattito sui risvolti “quantitativi” e “qualitativi” della nuova evangelizzazione.
Non è noto se la maggior parte dei frequentatori delle passate Giornate della Gioventù siano diventati o rimasti tutti dei ‘buoni cristiani’. È certo, però, in compenso, che moltissime delle vocazioni sacerdotali germogliate negli ultimi vent’anni hanno trovato terreno fertile proprio nel contesto delle GMG. È sempre alle GMG che sono nate migliaia di coppie, la maggior parte delle quali, destinate a matrimoni felicemente cristiani. Al termine di un evento celebratosi nel pieno dell’Anno Giubilare Straordinario, illuminato in modo particolarmente nitido dalla luce della Misericordia, c’è da scommettere che Cracovia 2016 non farà eccezione.
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Cracovia 2016: una scommessa (vinta) per Francesco
Il papa argentino è riuscito a conquistare il popolo polacco condividendone la devozione mariana e alla Divina Misericordia. E ai giovani non ha fatto sconti: è tempo di ‘alzarsi dal divano’ ed essere Apostoli del terzo millennio