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Albania. Mons. Prennushi e 37 compagni martiri saranno Beati il 5 novembre

Ad annunciarlo è una lettera del Papa ai vescovi del Paese balcanico, al termine del processo canonico che ne ha riconosciuto la “testimonianza del martirio per la fede e la patria”

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Saranno proclamati Beati, il prossimo 5 settembre, a Scutari (Albania), mons. Vinçenc Prennushi, frate francescano e arcivescovo di Durazzo insieme ad altri 37 compagni martiri del comunismo. Ad annunciarlo è una lettera di Papa Francesco ai vescovi del Paese balcanico, al termine del processo canonico che ne ha riconosciuto la “testimonianza del martirio per la fede e la patria”.
La notizia è stata resa nota dall’arcivescovo Angelo Massafra, presidente della Conferenza episcopale d’Albania, che parla di “momento storico per la Chiesa e la nazione”. Il rito di Beatificazione sarà presieduto nella piazza della Cattedrale di Santo Stefano dal prefetto per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, due mesi dopo la Canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, la piccola suora albanese che dedicò la sua vita agli ultimi in India e non solo.
Grande gioia da parte della Chiesa albanese per questa beatificazione, come conferma ai microfoni di Radio Vaticana mons. Massafra. “Noi aspettavamo con ansia la conferma della data da parte della Santa Sede”, afferma. I 38 martiri uccisi in odium fidei “sono una perla per la nostra Chiesa cattolica in Albania, ma anche per il mondo intero. Sono soltanto alcuni dei tanti uccisi durante il periodo comunista per l’odio verso la Chiesa cattolica e la fede cattolica”, spiega il presule.
Mons. Prennushi, nato a Scutari il 04 settembre 1885, all’interno dell’Ordine francescano fu direttore della tipografia e del collegio francescano, guardiano del convento e per due volte provinciale. Il 19 marzo 1936 viene consacrato vescovo di Sapa e poi nominato arcivescovo di Durazzo. Uomo pio, mite, organizzatore della diocesi, persona coltissima e buon scrittore, venne arrestato nel 1947 e condannato a 20 anni di prigione.
Morì in carcere a Durazzo, a seguito delle tante torture subite per non aver acconsentito alla richiesta del dittatore albanese Enver Hoxha di formare una Chiesa nazionale, fedele al regime comunista e non a quella di Roma. Con lui, nella stessa prigione – racconta mons. Massafra – c’erano anche un altro vescovo, mons. Fran Gjini, gesuiti, francescani, diocesani ed anche quattro laici, tre uomini e una donna, di varie nazionalità: due tedeschi, la maggior parte albanesi, un gesuita italiano e alcuni sacerdoti di origine croata. “I missionari e la Chiesa di Albania hanno sofferto ed hanno testimoniato questo amore a Cristo fino all’eroismo, fino alla tortura”.
[S.C.]

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ZENIT Staff

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