Children at Gay pride 2011 of Toulouse

Children at Gay pride 2011 of Toulouse - Wikipedia Commons

Se al medico basta una chiacchierata su Skype per riconoscere un "bambino transgender"

Nell’ultimo anno Oltremanica oltre mille casi di bambini sottoposti a terapie per “disforia di genere”, anche la scuola si adegua eliminando uniformi e distinzioni in base al sesso dai bagni

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C’è un dato che in Gran Bretagna cresce in modo esponenziale. È quello dei bambini che soffrono della cosiddetta “disforia di genere”, ossia che percepiscono di appartenere al sesso opposto al loro.
Nel 2010 in tutto il Regno erano stati registrati 97 casi di questo tipo. Numero che appare una inezia di fronte a quelli sciorinati in questi giorni dalla Tavistock Clinic, la più importante Oltremanica ad occuparsi del trattamento ormonale di questi bambini per arrestarne la pubertà, come primo passo verso un intervento chirurgico.
Nel 2015 sono stati registrati 1.398 casi, più del doppio dei 697 del 2014, quando il Servizio sanitario britannico ha iniziato a comprendere questo tipo di servizio. Come rivelato da un’inchiesta del Sun ripresa da ZENIT, in soli nove mesi del 2015 una enorme somma di denaro pubblico – 2,7 milioni di sterline – è stata stanziata per somministrare a bambini farmaci che ne bloccassero la pubertà.
Il Daily Mail avverte però stamattina che il Servizio sanitario britannico “sta scoppiando”, non riuscendo più a gestire un così alto numero di bambini che manifestano di sentirsi a disagio con il loro sesso biologico. I tempi di attesa per ricevere un trattamento possono arrivare fino a quattro anni.
Un medico di base gallese ha provato allora a porre rimedio. In che modo? Creando una clinica, la prima in Galles, che assorbe un po’ di lavoro delle altre cliniche specializzate in questo settore. Hellen Webberley, questo il nome della dottoressa, spiega al Daily Mail che secondo la legge britannica “il trattamento dovrebbe essere disponibile entro 18 settimane”.
Arco di tempo che lei ritiene tuttavia troppo lungo, giacché esistono “casi disperati” che vanno affrontati con solerzia.
Rimane però qualche voce critica nei confronti di questa disinvoltura nel somministrare a bambini con disagi delle terapie che hanno effetti definitivi e così violenti sul loro corpo.
Una di queste voci è quella del dottor James Barrett, psichiatra consulente presso la Charing Cross Clinic, la prima in Gran Bretagna ad occuparsi di disturbi dell’identità sessuale.
Barrett ritiene che sia avventato intervenire con farmaci così incisivi su bambini che ancora non hanno raggiunto l’età della pubertà. Egli evidenzia che spesso questi bambini, una volta arrivati all’adolescenza, “modificano il loro quadro clinico e si sentono semplicemente omosessuali”.
Lo psichiatra ha inoltre espresso preoccupazione per la mancanza di supporto clinico adeguato ai pazienti che frequentano la clinica della dott.ssa Webberley. Barrett afferma che con molti di questi piccoli si interagisce con mezzi elettronici – via e-mail, telefono o Skype – prima di stabilire la diagnosi.
L’invito alla prudenza del dott. Barrett sembra però scivolare negli abissi ideologici del gender che pervade la Gran Bretagna. Come rivela in un’intervista a ZENIT la dott.ssa Chiara Atzori, l’impennata Oltremanica dei casi di “disforia di genere” tra bambini “sembra segnalare la spinta ad assecondare una moda, quella della autodeterminazione dell’identità sessuata, estendendola ai soggetti pediatrici, quasi a validare le pretese di alcune potenti lobby pro-gender”.
E i tentacoli di queste “lobby pro-gender” si allungano anche sulla scuola pubblica. Se in Italia la discussione è accesa intorno ai corsi di educazione sessuale da propinare agli studenti, in Gran Bretagna sono già andati oltre.
Sempre sul Guardian di stamattina, si offre uno spaccato su come le scuole britanniche si stiano adeguando alla diffusione della “fluidità di genere”. Il tabloid ci mette allora a conoscenza di un Called School Revision, un corso di un giorno riservato agli insegnanti per fare della scuola britannica un ambiente il più possibile “trans-inclusive”, per eliminare “stereotipi di genere”.
Di modelli da imitare, in questo senso, ne esiste già un lungo elenco. Si va dalle scuole che hanno eliminato le uniformi per non creare “discriminazioni” a quelle che hanno tolto la distinzione dai bagni e dagli spogliatoi. Alcuni storici college suddivisi per sesso, addirittura, hanno iniziato ad accogliere alunni del sesso opposto soltanto basandosi sulla loro presunta “disforia di genere”.
Intervistata dal Guardian, Susie Green, attivista di un’associazione che sostiene le famiglie di bambini con simili disturbi, racconta che benché la scuola britannica stia facendo “progressi”, restano però casi di “ostruzione”.
Porta l’esempio di una scuola che ha respinto la richiesta di una famiglia, affinché la loro bambina di otto anni potesse indossare la divisa da maschio. Ma simili riluttanze ad adeguarsi al gender sono destinate a scomparire. Rivela soddisfatta la Green: “Quei genitori si sono rivolti alle autorità locali, le quali hanno dato loro ragione”.
Il tabloid parla di bambini anche molto piccoli, di tre o quattro anni, a cui viene diagnosticata sommariamente la “disforia di genere”. Il rischio agitato dalla dott.ssa Atozri è di far pagare a questi piccoli “lo scotto delle nostre sovrastrutture ideologiche a pretesa unisex o pansessuale di stampo gender”.

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Federico Cenci

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