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Vatileaks 2. Richieste quattro condanne: un anno per Nuzzi, assoluzione per Fittipaldi

I Pm chiedono oltre tre anni di reclusione per Vallejo e Chaouqui, più di un anno per Maio e Nuzzi con la condizionale. Assoluzione per Fittipaldi per insufficienza di prove. Mercoledì la sentenza, salvo colpi di scena

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Il Vaticano scende a gamba tesa nel processo Vatileaks 2. Durante le requisitorie di oggi, il Pubblico ministero ha chiesto quattro condanne su cinque imputati: tre anni e un mese di reclusione per mons. Lucio Angel Vallejo Balda; tre anni e 9 mesi di reclusione per Francesca Immacolata Chaouqui; un anno e 9 mesi per Nicola Maio; un anno “per concorso morale” per Gianluigi Nuzzi con sospensione condizionale della pena; assoluzione per Emiliano Fittipaldi per insufficienza di prove.

I reati contestati sono associazione a delinquere – limitatamente a Vallejo Balda, Chaouqui e Maio – indirizzata alla rivelazione di notizie e documenti top secret riguardanti “interessi fondamentali” dello Stato della Città del Vaticano (secondo l’art. 116 bis del Codice penale, introdotto da Papa Francesco con la legge 9 del luglio 2013); mentre i giornalisti sono accusati per concorso nella divulgazione di documenti attraverso la pubblicazione dei libri Avarizia (Fittipaldi) e Via Crucis (Nuzzi).

La palla passa ora agli avvocati della difesa che domani, alle 9.30, terranno le loro arringhe. Per mercoledì si attende quindi la sentenza che, salvo imprevisti o rinvii dell’ultima ora, porrà fine a questo processo che dal 24 novembre si è protratto finora tra lungaggini e colpi di scena.

Alcuni di questi sono stati ricordati dai due pm, Giampiero Milano e Roberto Zannotti, nella 18° udienza di oggi pomeriggio al fine di avvalorare le loro richieste. In un’ora e 50 minuti di udienza sono riemerse quindi le parole dei diversi testimoni su una “commissione-ombra” che agiva alle spalle della Cosea, l’impressione “complottistica” avvertita dai dipendenti della Prefettura degli Affari economici, la tendenza a “creare un archivio parallelo” attraverso documenti trafugati e ampiamente fotocopiati.  E poi: il caso del Vam, la testimonianza del gendarme De Santis che ha rimescolato le carte, i pesci rossi, le microspie, la Gendarmeria tenuta fuori dai controlli “per non alzare il livello di sicurezza”, i messaggi Whtasapp minatori, i falsi documenti del Monte dei Paschi di Siena su carte intestate allo Ior solo per avere prove di potere e via dicendo.

Tutta questa storia, ha affermato il promotore di giustizia aggiunto Zannotti, si è consumata negli uffici della Cosea e della Prefettura spiegando che, seppur i giornalisti non vi abbiano mai messo piede, per la legislazione vaticana sono perseguibili in quanto “anche una sola parte del reato commessa nello Stato ’attrae’ gli altri comportamenti”. Lo conferma la già citata legge 9 e l’articolo 116 del Codice Penale in vigore, dove si stabilisce esplicitamente che fa parte dei delitti contro la sicurezza dello Stato anche un reato in questa direzione commesso all’estero da uno straniero.
“Ciò che emerge – ha fatto eco Milano – è l’immagine di un’altra Curia… È la degenerazione dei lavori curiali”. In particolare sulle persone del monsignore e della pr si sono concentrate tutte le accuse: Vallejo come “primo motore della supposta associazione criminale”, posizione aggravata dal fatto di essere un ecclesiastico e portatore di funzioni di rilievo all’interno della Curia; la Chaouqui quale coprotagonista della vicenda ma “soggetto dominante”, “ispiratrice e responsabile” della “iniziativa scellerata” che ha influenzato psicologicamente Balda per poi riversare su di lui tutte le responsabilità.

Tutto è avvenuto in circa un anno e mezzo, ovvero durante la breve vita della Cosea. Proprio lo scioglimento della Commissione istituita dal Papa per riformare le finanze vaticane – secondo i pm – avrebbe provocato il “tracollo”, rinfocolando un “desiderio di vendetta” nel monsignore e nella donna che avevano visto vanificare mesi e mesi di lavoro. In più, ad entrambi erano state chiuse in faccia le porte, rispettivamente, della Segreteria per l’Economia e della Segreteria per la Comunicazione. Indicativo, in tal senso, il messaggio al prelato di Corrado Lanino, marito della Chaouqui: “La situazione sta peggiorando, Francesca è furiosa… Ha molti contatti e tenerla alla porta è pericoloso”.

Intorno a tutto questo, si sviluppavano strategie per raccogliere documenti “in totale dissintonia col mandato ricevuto”, caratterizzate da una “consonanza mantenuta fino alla fine”, una “componente di mitomania” e un “inadeguato impianto culturale che faceva coltivare aspirazioni non fondate”.

La Chaouqui, divenuta mamma qualche settimana fa, con il bambino in carrozzina portato in Tribunale ma lasciato fuori dall’aula, che poco prima su Facebook chiedeva preghiere perché – ha scritto – “ho paura come mai prima”, una volta finita l’udienza ha dichiarato: “È surreale. Che altro posso dire? Domani ci sarà la nostra arringa e vedremo”. Silenzio, come in tutti questi mesi, da parte di Nicola Maio ritenuto dai pm “partecipe ma con responsabilità minore”.

Citato nell’udienza anche monsignor Alfredo Abbondi, ufficiale della Prefettura Economica, il quale – ha ricordato Milano – “testimoniò che davanti al sospetto di microspie nascoste nella Prefettura, su suggerimento della Chaouqui, non chiamarono la Gendarmeria per non alzare il livello di controllo”. A proposito del ruolo di Abbondi, i pm hanno sottolineato che in altri ordinamenti sarebbe stato perseguito come “fiancheggiatore”.

Per quanto riguarda, invece, i due giornalisti i Promotori di giustizia hanno scisso i loro ruoli; a entrambi non viene punita la pubblicazione ma il concorso nella divulgazione. La loro presenza e disponibilità avrebbe dato un “impulso psicologico” ai due corvi a rivelare le notizie, secondo il Tribunale. Una presenza e disponibilità comprovate da parte di Nuzzi, come dimostrato dalla massa “sovrabbondante” di comunicazioni con Vallejo; “più sfuggente”, invece, da parte di Fittipaldi.

Del tutto social la reazione di Nuzzi che ha aggiornato passo passo i 103000 follower del suo account Twitter delle diverse tappe di oggi pomeriggio. Prima di entrare in aula con una foto sorridente insieme al collega Fittipaldi in cui commentava: “Eccoci pronti a entrare in Vaticano tra poco la requisitoria del processo alla libertà di stampa”; subito dopo comunicando che: “Il pubblico ministero vaticano chiede la mia condanna a un anno di carcere per concorso morale e assoluzione per Fittipaldi”. Infine riproponendo la medesima foto accompagnata dal messaggio: “Vogliono separarci ma libertà di stampa rimane una sola”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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