Anthony of Sourozh's funerary monument

WIKIMEDIA COMMONS

Seppellire i morti: la settima opera di misericordia corporale

Avere davanti la lapide di un defunto, ci permette di ricordare la saggezza, l’amore e la dedizione che abbiamo ricevuto e che non sempre abbiamo compreso ed apprezzato

Share this Entry

Le prime sei opere di misericordia corporali sono contenute nel capitolo XXV del Vangelo di Matteo. Seppellire i morti è un atto della pietà cristiana che è stato aggiunto dalla tradizione della Chiesa come l’ultimo gesto corporale di amore e rispetto verso il defunto. Gesù stesso è stato seppellito dentro un sepolcro, il quale si è trasformato da luogo di oscurità, tristezza e disperazione in uno spazio di luce, gioia e speranza cristiana.
La sepoltura del corpo del defunto in un determinato luogo ha costituito da sempre l’occasione di recarsi a visitare il defunto per fare memoria della sua vita, ricordare le sue opere, ringraziare Dio per tutto il bene ricevuto ed anche chiedere perdono se la coscienza ha qualcosa da rimproverarci.
Eppure ci si potrebbe domandare: perché recarsi davanti alla sua tomba quando tutte queste cose si possono fare restando comodamente nella propria casa o davanti ad un affascinate paesaggio della natura? La risposta non è così facilmente comprensibile: oggi assistiamo alla diffusione della pratica della cremazione che incenerisce il corpo per dissolverlo nell’aria, o per depositarlo nelle acque del mare, o nella migliore delle ipotesi, per racchiuderlo all’interno di una urna funeraria.
La pratica della cremazione è condannata dalla Chiesa quando essa è la negazione della fede nella resurrezione della carne. L’essere bruciato in un forno crematorio è spesso la conseguenza dell’incredulità del fatto che il corpo, inteso come abitazione dell’anima durante la vita terrena, possa risorgere glorioso a somiglianza del corpo di Gesù Risorto.
Recarsi davanti alla tomba di un defunto ha un impatto maggiore rispetto al rimanere lontano dai resti del suo corpo mortale, dal momento che l’elemento della corporeità è fondamentale nella relazione tra le persone. Il ricordo di una persona riguarda sicuramente i suoi sentimenti, le sue parole, i suoi pensieri, ma riaffiora soprattutto nei suoi gesti, nei suoi sorrisi, nelle sue espressioni del volto, nei suoi modi di muoversi, nel suo sguardo.
Avvicinarsi alla tomba di una persona cara è quel gesto esteriore ed interiore che ha la forza di attivare quella serie di ricordi corporali che ci fanno sentire vicini alla persona defunta, ci fanno riaffiorare il dolore del distacco e nello stesso tempo ravvivano la speranza di rincontrarsi un giorno nella patria del cielo.
Seppellire i morti significa avere la possibilità di recarsi davanti ad una lapide la quale rispecchia il libro della vita della persona defunta. Leggere tra le righe di quella storia produce sempre sorprese e novità, perché ci viene offerta una nuova possibilità per ricordare la saggezza, l’amore e la dedizione che abbiamo ricevuto e che non sempre abbiamo compreso ed apprezzato.
Seppellire i morti non vuol dire sotterrare un passato, non vuol dire nascondere la morte, non vuol dire dimenticarsi della vita di una persona. Seppellire i morti significa onorare il corpo e la vita di quella persona perché possa continuare a rifiorire il suo ricordo, fare memoria dei suoi insegnamenti, far tesoro della sua testimonianza, riconoscere le opere di bene, perdonare il male commesso e ricevuto.
L’esistenza di chi ci ha preceduto è fondamento della vita presente e speranza della vita futura. La vita è un mistero che non si finisce mai di comprendere pienamente. Quanti giudizi vengono sanati quando ripetiamo gli stessi errori che non abbiamo perdonato a coloro che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio terreno. Custodire la memoria dei morti significa ringraziare delle grandi fatiche dell’educazione ricevuta, lodare Dio per averci dato affetto e protezione ma anche accettare e perdonare tutte quelle mancanze che ci hanno condotto tante volte a non apprezzare le persone vicine.
Per questa ragione recarsi davanti alla tomba di una persona cara significa guardarsi allo specchio per scoprire la nostra identità che ha avuto origine dall’esperienze di chi ci ha preceduto, dall’appartenenza delle relazioni passate, dalla memoria della speranza che non finisce con la morte ma rimane viva nelle generazioni future.
Spesso ci si dimentica troppo velocemente di coloro che ci hanno preceduto, come se la morte avesse cancellato la memoria delle opere e degli insegnamenti di una vita. In realtà i frutti di amore, pace e giustizia non hanno fine, perché sono scritti nel libro della vita che è destinato a rimanere per l’eternità.
Purtroppo capita anche il contrario: le divisioni, i malintesi e le discordie durante la vita del defunto rischiano di rimanere vivi se non vengono sanate prima del congedo finale. Proprio per questa ragione è importante rimanere vicino ai malati nel momento della malattia e della sofferenza, perché questo è un tempo di riconciliazione e di pace che ha la forza ineffabile di guarire il cuore, a condizione di compiere quel gesto di umiltà di manifestare compassione per il dolore altrui.
Ma anche se questo non dovesse avvenire in maniera piena durante il tempo della vita terrena, recarsi davanti al luogo della sepoltura offre la possibilità di riconciliarsi, a condizione di aprire il cuore verso una vita che ha lasciato questo mondo e che ora vive già nel presente al cospetto di Dio o nell’attesa di una purificazione che lo possa introdurre per sempre alla visione beatifica di Dio.
Per questa ragione pregare per le anime dei defunti è il prolungamento naturale dell’opera di misericordia corporale di seppellire i morti. Il seppellimento del corpo ha senso solo quando si eleva una preghiera a Dio, supplicando di ammetterlo alla beatitudine eterna e attendere con fede il giorno del compimento della promessa della resurrezione della carne.

Share this Entry

Osvaldo Rinaldi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione