“Incoraggio ogni forma di collaborazione tra cattolici e ortodossi in attività concrete al servizio dell’umanità sofferente”. Questa l’esortazione di Papa Francesco alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli ricevuta oggi in Vaticano, dopo essere giunta come di tradizione a Roma in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Guidata dal Metropolita di Boston, Methodios, la delegazione è stata inviata dal patriarca Bartolomeo a cui Bergoglio indirizza “viva gratitudine” per aver voluto inviare questa “insigne” rappresentanza “per condividere con tutti noi la gioia della festa”. Festa che – osserva il Pontefice – “ricorre mentre la Chiesa Cattolica vive il Giubileo straordinario della Misericordia, che ho voluto indire come tempo favorevole per contemplare il mistero dell’amore infinito del Padre rivelato in Cristo e per rendere più forte ed efficace la nostra testimonianza di tale mistero”.
“I santi Pietro e Paolo, nelle loro vicende personali, per tanti aspetti così diverse, hanno fatto entrambi esperienza prima del peccato e poi della potenza della misericordia divina”, sottolinea Francesco. Proprio attraverso questa esperienza, “Pietro, che aveva rinnegato il suo Maestro, e Paolo, che perseguitava la Chiesa nascente, sono diventati instancabili annunciatori e impavidi testimoni della salvezza offerta da Dio ad ogni uomo in Gesù Cristo”.
Quindi seguendo l’esempio dei due apostoli, “la Chiesa, composta da uomini peccatori ma redenti mediante il Battesimo, ha continuato nel corso della storia a proclamare il medesimo annuncio della misericordia divina”. Inoltre, celebrandone la festa, si rinnova “la memoria di quella esperienza di perdono e di grazia che accomuna tutti i credenti in Cristo”.
Tuttavia, oltre ai punti di comunanza, ci sono anche tante tante differenze, ad esempio tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli in ambito liturgico, nelle discipline ecclesiastiche e anche nel modo di formulare l’unica verità rivelata. “Alla base di tutte queste forme concrete che le nostre Chiese hanno assunto nel tempo – afferma però il Papa – vi è sempre la stessa esperienza dell’amore infinito di Dio per la nostra piccolezza e fragilità e la medesima vocazione ad essere testimoni di tale amore verso tutti”.
“Riconoscere che l’esperienza della misericordia di Dio è il vincolo che ci lega implica che dobbiamo sempre più far diventare la misericordia il criterio dei nostri rapporti reciproci”, rimarca il Pontefice, “Se, come cattolici e ortodossi, vogliamo proclamare insieme le meraviglie della misericordia di Dio al mondo intero, non possiamo conservare tra noi sentimenti e atteggiamenti di rivalità, di sfiducia, di rancore. La misericordia stessa ci libera dal peso di un passato segnato da conflitti e ci permette di aprirci al futuro verso il quale lo Spirito Santo ci guida”.
In tal senso, il dialogo teologico può essere “un contributo al superamento degli ostacoli che impediscono di ritrovare quella unità che abbiamo vissuto nel primo millennio, e che non è mai stata uniformità, ma sempre comunione nel rispetto delle legittime diversità”. Un fecondo lavoro, in questa prospettiva, è stato offerto dalla Consulta teologica ortodossa-cattolica del Nord America che, istituita più di 50 anni fa, “propone significative riflessioni su questioni teologiche centrali nelle relazioni tra le nostre Chiese, favorendo così lo sviluppo di ottimi rapporti tra cattolici e ortodossi di quel continente”.
Nel discorso del Vescovo di Roma ritorna pure il ricordo della visita a Lesbo per fare visita a profughi e migranti. “Guardare la disperazione sul volto di uomini, donne e bambini incerti sul loro destino, ascoltare impotenti il racconto delle loro sventure e fermarsi in preghiera sulla riva di quel mare che ha inghiottito la vita di tanti esseri umani innocenti è stata un’esperienza molto commovente, che ha confermato quanto vi sia ancora da fare per assicurare dignità e giustizia a tanti fratelli e sorelle”, confida Francesco.
“Una grande consolazione, in quei momenti così tristi – aggiunge – è stata la forte vicinanza umana e spirituale che ho sperimentato con il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymo. Guidati dallo Spirito Santo, stiamo prendendo sempre più coscienza che noi, cattolici e ortodossi, abbiamo una comune responsabilità nei confronti di chi è nel bisogno, in obbedienza all’unico Vangelo di Gesù Cristo nostro Signore”. Pertanto “assumere insieme tale responsabilità è un dovere che tocca la credibilità stessa del nostro essere cristiani”.
In conclusione, un pensiero va al Concilio pan-ortodosso appena concluso a Creta. “Insieme a moltissimi fratelli e sorelle cattolici e cristiani di altre Chiese, ho accompagnato con la preghiera la preparazione prossima e lo svolgimento del Concilio” dice il Papa, spiegando di essere stato aggiornato sulle risoluzioni adottate dal card. Koch e da mons. Farrell, che hanno partecipato all’evento come osservatori fraterni della Chiesa Cattolica. Di qui l’auspicio che “possa lo Spirito Santo far germogliare da questo evento abbondanti frutti per il bene della Chiesa”.
[S.C.]