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Papa in aereo: no a "balcanizzazione" dell'Europa, sì a "una Chiesa che chiede scusa ai gay"

Ampio colloquio di Francesco con la stampa di ritorno dall’Armenia: dalla questione del genocidio a quella delle diaconesse, dalla scarsa creatività europea alle intenzioni “non sbagliate” di Lutero. Fino a Brexit e al rapporto con Benedetto XVI: “Un nonno saggio, ma di Papa ce n’è uno solo”

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Il fatidico “chi sono io per giudicare” riferito alla posizione della Chiesa sulle persone omosessuali, che tanto scalpore aveva creato nella sua prima aereo-intervista da Rio de Janeiro, ritorna a sorpresa nel lungo colloquio che Papa Bergoglio concede ai circa 70 giornalisti che lo hanno accompagnato nel viaggio in Armenia. Colloquio variegato e ricco di spunti, durante il quale, oltre a rispondere a domande su temi prevedibili come Brexit, il genocidio armeno e il Concilio pan-ortodosso, il Papa affronta anche la spinosa questione dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali.

Chiesa chieda scusa ai gay per emarginazione. Ma anche a poveri e donne e bambini sfruttati…

L’input sono le recenti dichiarazioni del card. Marx che, all’indomani della strage di Orlando, aveva affermato che la Chiesa cattolica deve chiedere scusa alla comunità gay per aver marginalizzato queste persone. Francesco replica ripetendo il Catechismo: “Queste persone non vanno discriminate, devono essere rispettate e accompagnate pastoralmente”. “Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi di comportamento politico, certe manifestazioni troppo offensive per gli altri. Ma queste cose non c’entrano, il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio”. Quindi, di nuovo il Papa ribadisce: “Chi siamo noi per giudicare? Dobbiamo accompagnare bene… Io credo che la Chiesa, o meglio i cristiani perché la Chiesa è santa, non solo devono chiedere scusa come ha detto quel cardinale ‘marxista’, ma devono chiedere scusa anche ai poveri, alle donne e ai bambini sfruttati, devono chiedere scusa di aver benedetto tante armi, di non aver accompagnato tante famiglie. Perdono Signore, è infatti una parola che dimentichiamo”.

No “preti padroni”, ma “preti padri”. Santità ha pudore, spudoratezza è sfacciata

Da dimenticare è anche la figura del “prete ‘padrone’” che “bastona”, per lasciare invece il posto a quella del “prete padre” che “abbraccia e perdona”. Ce ne sono tanti di questi santi preti, constata il Papa: i cappellani negli ospedali e nelle carceri, ad esempio, “ma questi non si vedono, perché la santità ha pudore. Invece la spudoratezza è sfacciata e si fa vedere. Tante organizzazioni, con gente buona e gente non tanto buona. Noi cristiani abbiamo anche tante Terese di Calcutta… Non dobbiamo scandalizzarci, questa è la vita della Chiesa. Tutti noi siamo santi perché abbiamo lo Spirito Santo ma siamo tutti peccatori, io per primo”.

Benedetto XVI “un nonno saggio”, ma non ci sono due Papi

Nonostante sia un ‘peccatore’, però, rimane pur sempre il Papa. Unico e solo: “Non ce n’è nessun altro”, afferma Francesco, rispondendo ad una domanda su una ipotetica ‘diarchia’ in Vaticano, come lasciato intuire da un intervento di mons. Georg Gänswein alla Gregoriana in cui si parlava di “ministero petrino ‘condiviso’”. “Benedetto XVI è Papa emerito – spiega Bergoglio – lui ha detto chiaramente quell’11 febbraio che dava le sue dimissioni. Benedetto sta nel monastero, pregando. Sono stato molte volte a trovarlo, ci sentiamo per telefono, l’altro giorno mi ha scritto una letterina facendomi gli auguri per questo viaggio. Ho già detto che è una grazia avere in casa il nonno saggio; gliel’ho detto anche in faccia e lui ha riso”.

“Lui per me – prosegue – è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera. Non so se è vero, ma ho sentito dicerie su alcuni che sarebbero andati da lui a lamentarsi per il nuovo Papa e li ha cacciati via con il suo stile bavarese… Ho ringraziato pubblicamente Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. Oggi con questo allungamento della vita si può reggere una Chiesa a una certa età e con gli acciacchi? Lui ha aperto questa porta”. 

Tuttavia “c’è un solo Papa, l’altro è emerito”, afferma il Pontefice regnante. “Forse in futuro potranno essercene due o tre, ma sono emeriti” aggiunge, ricordando la celebrazione di dopodomani del 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Ratzinger durante la quale – anticipa – “dirò qualche cosa a questo grande uomo di preghiera e di coraggio, che è il Papa emerito, non il ‘secondo Papa’ e che è fedele alla sua parola ed è molto saggio”.

Brexit. Evitare “balcanizzazione”; Europa dia più indipendenza e libertà ai paesi dell’Unione

Immancabile la domanda sul Brexit: questo voto al referendum potrebbe portare alla disintegrazione dell’Europa e anche alla guerra? “La guerra già c’è in Europa”, risponde laconico Francesco, “c’è un’aria di divisione, non solo in Europa…. Queste divisioni non dico che siano pericolose, ma bisogna studiarle bene e prima di fare un passo verso la divisione, bisogna parlare e cercare soluzioni percorribili”.  Il Pontefice dice di non aver “studiato” i motivi dalla decisione del Regno Unito. “Ci sono decisioni che si prendono per emanciparsi”, osserva, “questo è più comprensibile, perché c’è dietro una cultura, un modo di pensare. Invece la secessione di un Paese, pensiamo alla Scozia, è una cosa alla quale i politici, detto senza offendere i Balcani, danno un nome: ‘balcanizzazione’. Per me sempre l’unità è superiore al conflitto, ma ci sono diversi modi di unità. La fratellanza è migliore delle distanze. I ponti sono migliori dei muri”. Tutto questo, secondo il Papa, “ci deve far riflettere” e far capire che “il passo che la Ue deve dare per ritrovare la forza delle sue radici è un passo di creatività e anche di sana ‘disunione’, cioè dare più indipendenza e più libertà ai paesi dell’Unione, pensare a un’altra forma di unione” che si rifletta “nei posti di lavoro, nell’economia”.

Genocidio armeno: “Ho sempre usato questa parola, mai tono offensivo”

In tema di politica, al Papa viene chiesto perché abbia voluto aggiungere la parola “genocidio” nel suo discorso al Palazzo presidenziale, durante il primo giorno di viaggio in Armenia. È “utile” per la pace? Il Pontefice ribatte spiegando che “in Argentina quando si parlava di sterminio armeno sempre si usava la parola genocidio… Io non conoscevo un’altra parola. Quando arrivo a Roma sento l’altra parola ‘Grande Male’ e mi dicono che genocidio è offensiva. Io sempre ho parlato dei tre genocidi del secolo scorso: quello armeno, quello di Hitler e quello di Stalin”. Inoltre “dopo aver sentito il tono del discorso del presidente armeno, e per il mio uso della parola, sarebbe suonato molto strano non dire lo stesso che avevo detto l’anno scorso”.

Durante i genocidi, perché le potenze mondiali non hanno fatto qualcosa?

Il problema che il Papa ha voluto sottolineare venerdì è, comunque, un altro, e cioè il fatto che “in questo genocidio, come negli altri due successivi, le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”. “Durante la Seconda Guerra mondiale, alcune potenze avevano la possibilità di bombardare le ferrovie che portavano ad Auschwitz, e non l’hanno fatto”, annota Francesco. “Nel contesto dei tre genocidi si deve fare questa domanda storica: perché non avete fatto qualcosa? Non so se è vero, ma si dice che Hitler quando perseguitava gli ebrei, avesse detto: ‘Chi si ricorda oggi degli armeni? Facciamo lo stesso con gli ebrei’. Ma la parola genocidio mai io l’ho detta con l’animo offensivo, ma oggettivamente”.

Ad Auschwitz voglio stare in silenzio e piangere

A proposito di Auschwitz, il Papa informa i giornalisti che vorrebbe svolgere la sua visita del prossimo luglio “in quel luogo di orrore” in silenzio, “senza discorsi, senza tante persone, soltanto le poche necessarie, senza salutare questo o quello… Da solo, entrare e pregare che il Signore mi dia la grazia di piangere”. 

In Azerbaigian, dirò che non fare pace per un pezzettino di terra è qualcosa di oscuro…

L’altra grazia che il Papa domanda è “la giustizia e la pace” per il popolo armeno: “un popolo coraggioso” che “ha portato croci di pietra, ma non ha perso la tenerezza, l’arte, la musica. Un popolo che ha sofferto tanto nella sua storia, soltanto la fede lo ha mantenuto in piedi”. Proiettandosi al futuro, Francesco guarda poi al viaggio in Azerbaigian e Giorgia che compierà a fine settembre: “In Azerbaigian – sottolinea, in riferimento alla dura situazione nel Nagorno Karabakh – dirò che non fare la pace per un pezzettino di terra significa qualcosa di oscuro. Ma lo dico a tutti, armeni e azeri. Forse non si mettono d’accordo sulle modalità di fare la pace e su questo bisognerà lavorare. Dirò quello che mi viene nel cuore, ma sempre in positivo, cercando soluzioni che siano percorribili”.

500° Riforma: “Le intenzioni di Lutero non erano sbagliate”

Dopo il viaggio nel Caucaso, nel calendario è in programma ad ottobre la visita a Lund, in Svezia, per il 500° della Riforma. “Pensa sia il momento giusto non solo per ricordare le ferite da entrambe le parti, ma per riconoscere i doni e forse anche per ritirare la scomunica a Lutero?”, è la domanda rivolta al Pontefice. Che risponde: “Credo che le intenzioni di Lutero non fossero sbagliate, era un riformatore, forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, mondanità, attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato, era intelligente e ha fatto un passo avanti giustificando il perché lo faceva”.

Lui – prosegue – “ha fatto una medicina per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di fare, di credere… Dobbiamo metterci nella storia di quel tempo, non è facile capire”. Oggi “ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese. La diversità è quello che forse ci ha fatto tanto male a tutti e oggi cerchiamo la strada per incontrarci dopo 500 anni”. La prima cosa da fare, secondo il Papa, è “pregare insieme”; poi, “lavorare per i poveri, i profughi i rifugiati, tanta gente che soffre” e infine impegnarsi per la pace.

Concilio pan-ortodosso, “un passo avanti positivo”

Sul Concilio pan-ortodosso in corso a Creta, Bergoglio esprime un giudizio positivo: “È stato fatto un passo avanti, non con il 100%, ma un passo avanti. Il solo fatto che queste Chiese si siano riunite per guardarsi in faccia, pregare insieme e parlare, è positivissimo. Io ringrazio il Signore, al prossimo saranno di più!”.

Diaconesse: commissione pronta, pensiero delle donne più importante del ruolo

Invece sulla questione di una Commissione di studi sulla possibilità delle diaconesse, spiega di essersi “arrabbiato” nel leggere sui media titoli tipo: “La Chiesa apre alle diaconesse”. “Questo non è dire la verità delle cose”, chiarisce, “io sono stato il primo a essere sorpreso per questa notizia” anche perché, nell’udienza all’Unione internazionale delle Superiore generali, “io avevo chiesto solo uno studio”.  In ogni caso, una Commissione sarà istituita: “Ho chiesto dei nomi e adesso sono lì sulla mia scrivania, sto per farla”.

Questo perché “è molto importante il pensiero della donna. Per me – dice Francesco – la funzione della donna non è così importante come il pensiero della donna, che pensa diversamente dall’uomo e non si può prendere una buona decisione senza consultare delle donne… Le donne vedono le cose in un’altra luce e la soluzione poi alla fine è sempre stata molto feconda e bella. Vorrei sottolinearlo: è più importante il modo di capire, di pensare, di vedere della donne che la loro funzione”. E poi è importante non dimenticare che “la Chiesa è donna, non è zitella, è sposa di Gesù Cristo”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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