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Torino: l’appello di monsignor Nosiglia per una solidarietà che parte dal basso

In occasione della solennità di San Giovanni Battista, l’arcivescovo presenta la lettera alla città, ringrazia l’amministrazione uscente e fa gli auguri al nuovo sindaco

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“Nel nostro tempo viviamo giorno per giorno la sensazione che il mondo che abbiamo costruito con sacrificio e impegno puntando sui beni materiali e sull’esaltazione del proprio io a scapito di tutti e di tutto, stia crollando e subentri la stanchezza e lo scoraggiamento”. Con queste parole l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha introdotto la sua omelia nella Cattedrale di San Giovanni Battista.
“Ciò che possiamo fare – ha proseguito – ci sembra così poco rispetto all’entità di problemi che si devono affrontare, come quello del lavoro, della casa, della formazione e dell’accoglienza. Eppure, malgrado queste sensazioni, sappiamo che la realtà non è questa, non è solo questa. Tutti, credenti e non credenti, abbiamo in noi i segni della speranza, del rinnovamento, della possibilità di una vita diversa”.
E proprio l’esperienza di San Giovanni Battista ci aiuta a ricordare che “la speranza del mondo” è con noi da venti secoli, ha trasformato e continua a trasformare la nostra storia “non con qualche intervento magico” ma “facendosi presente”, con la grazia di Dio, nella vita e nell’impegno di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Giovanni Battista “non nasconde nessuna delle magagne del suo tempo”; anzi, la sua scelta di vita radicale lo libera da ogni condizionamento che viene dalla ricchezza, dal potere, persino dalla cura materiale del corpo.
Ma il segreto della forza di Giovanni è che le sue risorse non vengono da lui stesso: Giovanni non fa conto sul denaro, sulle buone relazioni; soprattutto, non pensa di essere “autosufficiente”, di bastare a se stesso, tutte scelte che rappresentano anche oggi “la radice della disperazione o dell’indifferenza”.
Tutto nasce dall’orgoglio che alimenta la tentazione di poter compiere qualunque impresa con le sole nostre forze di individui, escludendo sia Dio sia gli altri. Giovanni ci viene presentato come “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3). La parola è il suo orizzonte e il suo strumento.
Vestito di peli di cammello, mangia miele selvatico e locuste.
Giovanni non si preoccupa del proprio “look”, sa di non aver bisogno di piacere a chi lo ascolta. Soprattutto, è consapevole che il “look” rischia di essere l’armatura di chi si sente debole e deve difendersi con la corazza di uno stile – un modo di vestire, un certo telefonino, l’appartenenza a quel “giro”… Il messaggio di Giovanni è per tutti, senza equivoci: ciò che viene detto agli umili che lo cercano sul Giordano vale anche per i potenti di Gerusalemme, e viceversa. Eppure Giovanni “non è un tribuno senza misericordia, un fustigatore di costumi che vuole cancellare la gioia; sa che il suo compito è di predicare una povertà che è il presupposto essenziale, il primo passo verso la libertà vera. Una povertà di costumi e stili di vita, e una povertà di spirito: quella di chi non si crede autosufficiente, né padrone del mondo,ma debitore a tanti altri oltre che a Dio di quello che è e che fa.
Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha.
Così Giovanni rispondeva a chi gli chiedeva: “Che cosa dobbiamo fare per convertici e accogliere il Signore?”. Proprio perché povero, Giovanni Battista sa che cosa significa soffrire per una vita di stenti o comunque faticosa e carente persino di beni essenziali.
Mons. Nosiglia ha qui richiamato alcuni punti chiave della sua Lettera alla Città, Mio fratello abita qui ed ha rivolto questo pressante invito: “Ritengo necessario invitare me stesso per primo, i miei sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi e fedeli tutti, ma anche persone di buona volontà, e in particolare tanti che possono contare su un reddito più che sufficiente a compiere un gesto concreto di solidarietà effettiva che diverse famiglie e singoli cittadini stanno già attuando nella nostra città. Mi riferisco a coloro che hanno deciso di destinare una percentuale anche modesta ma costante del proprio reddito mensile a favore di famiglie o persone povere”.
Un impegno che parte dal basso ma che, salendo, pian piano intende coinvolgere tutti, cittadini, credenti e non credenti, Chiesa, istituzioni…
Il cammino dell’Agorà.
La predicazione e la testimonianza di Giovanni tendeva a unire il popolo nella fraternità e solidarietà, nella giustizia e corresponsabilità. Negli ultimi anni la Chiesa torinese insieme a tante realtà e forze religiose e laiche, ha cercato di costruire un cammino, impegnativo e approfondito, che coinvolga “tutta” la città in una concorde azione comune per affrontare la crisi e offrire risposte concrete a coloro che sono più in difficoltà. Il progetto si chiama “Agorà” perché è sulla piazza che si confrontano le libere opinioni; una piazza cui tutti i cittadini hanno accesso, poiché è essa stessa “bene comune”, patrimonio condiviso.
Sembra cosa ovvia ma non è così: “l’ascolto, il dialogo vivo che parte dall’esperienza diretta e dal coinvolgimento personale è ogni volta qualcosa di nuovo; il dialogo è un invito continuo a cambiare perché dall’incontro con ogni persona ciascuno di noi esce arricchito”.
Sono tre i “pilastri” individuati da Mons. Nosiglia per sviluppare questo progetto: la formazione delle persone “a cominciare dall’istruzione di base fino alle specializzazioni e alle eccellenze”; il lavoro, visto non solo come necessario all’economia ma anzitutto “per la persona umana e per la sua dignità”; il sociale come risorsa: “dobbiamo abbandonare una visione del sociale puramente assistenziale, fatta di aiuti a pioggia e di interventi di emergenza come sono spesso i voucher o le borse lavoro (necessari in certe situazioni ma alla lunga inefficaci). È necessario un nuovo welfare che tenda all’inclusione sociale delle persone offrendo loro opportunità di riscatto, ma anche sostenendo la progettazione di lavori nuovi, promossi e attuati insieme così da ottimizzare costi e personale”. Perché “l’innovazione rappresenta la frontiera del nostro domani”.
La Diocesi e la Città
Al termine della celebrazione, mons. Nosiglia ha ringraziato l’amministrazione uscente della città: “un vivo ringraziamento all’onorevole Piero Fassino e al già assessore ai servizi sociali, Elide Tisi, per la fruttuosa collaborazione che abbiamo realizzato in questi anni in diversi ambiti di comune lavoro per la Città e i suoi abitanti, per la promozione dell’Agorà sociale e infine per la recente ostensione della Sindone e la visita di Papa Francesco”.
Un cordiale saluto è andato anche “alla nuova Sindaca – ed anche un augurio e una preghiera per una pronta guarigione – la dottoressa Chiara Appendino, e ai suoi collaboratori e mi auguro che promuovano quel coinvolgimento responsabile di ogni cittadino e delle realtà sociali, culturali e religiose di cui è ricca la nostra Città, in modo da affrontare uniti le conseguenze di una crisi tuttora presente, che colpisce in particolare le fasce più esposte della popolazione”.
“La Chiesa di Torino ed il suo Vescovo – ha concluso – continueranno, come hanno fatto in questi anni, ad operare nella piena disponibilità e collaborazione con le istituzioni e le associazioni del privato sociale, in particolare nel campo dell’istruzione, della formazione, del lavoro e di un rinnovato welfare che promuova e accompagni l’inclusione sociale di ogni cittadino e di ogni famiglia e giovane in particolare, resi partecipi e responsabili del proprio futuro, ma anche del bene comune di tutti”.

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Alessandro Ginotta

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