Lettura
Nella storia d’Israele, la ricchezza era un segno della benedizione di Dio, mentre la povertà era considerata una punizione divina. Per Gesù, le ricchezze sono il maggior rischio di dannazione in cui l’uomo possa incorrere, in quanto esse hanno l’irresistibile potere di attrarre il cuore dell’uomo tutto verso ciò che non è Dio.
Meditazione
È proprio ricco chi possiede molti beni di questa terra e ad essi si attacca morbosamente? Le cose che sembrano soddisfare chi le possiede, in realtà, sono un tormento: chi ha molto, più brama e più teme che il suo tesoro si sgretoli. Con spirito quasi evangelico il saggio Seneca scriveva al giovane Lucilio: “Non è mai poco, quel che è sufficiente” (XX, 119,7). L’avaro la pensa diversamente: è sempre poco quel che possiede e vuole sempre di più. Questa brama di ricchezze è un vizio che acceca l’uomo, lo rende schiavo del suo stesso tormento. L’avaro è un infelice, perché è incapace di dono. Non è il molto o il poco che conta, ma lo stato d’animo con cui lo si possiede. La brama di stringere qualcosa in mano rende l’uomo tanto un essere asociale, quanto un vero parassita della società: è un infelice disperato, capace di giungere alla crudeltà. «L’avarizia – scriveva san Zenone di Verona – è un’incantatrice, un dolce male, una maledizione per l’umanità tutta, in ogni tempo. Giustamente Dio odia l’avarizia: è una brama senza fondo, un desiderio di rapina che non ha confine, una tensione che non trova pace, che non conosce contento. Spezza la fedeltà, spegne ogni sentimento, pone se stessa al di sopra dei diritti divini e, con argomentazioni cavillose, riduce a nulla ogni diritto umano e, se le fosse possibile, usurperebbe il mondo intero» (L’avarizia, I, 10;11). Il giudizio di Gesù sui beni materiali è chiaro: pur essendo le cose buone in se stesse, sono tuttavia un grave pericolo per l’uomo. L’attaccamento morboso alla ricchezza spegne la carità verso Dio e verso il prossimo; non solo schiavizza, ma rende incapace l’uomo di godere i beni della vita. L’avaro è un uomo triste, duro di cuore e idolatra. «Chiunque di voi che non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). La rinuncia sta anche nella capacità di padroneggiare la ricchezza: il denaro è un buon servo, ma un cattivo padrone. È ricco chi vive la dimensione del dono, cioè gode di quel che onestamente possiede ed è pronto a condividerlo con chi è nel bisogno. Le virtù e le opere buone sono la vera ricchezza, quel “tesoro” che né ruggine, né tignola possono struggere e i ladri non possono rubare.
Preghiera
Signore, non ti chiedo né ricchezza, né povertà, ma quanto basta alla mia vita e rendimi capace di saper aprire la mano a chi è nel bisogno.
Agire
Ricercare qualcosa di mio a cui sono molto legato e domandarmi se sarei disposto a donarlo ad un altro.
Meditazione del giorno a cura mons. Alberto Maria Careggio, vescovo emerito di Ventimiglia – San Remo, tratta dal mensile “Messa Meditazione”, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti info@edizioniart.it
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La borsa stretta
Meditazione quotidiana sulla Parola di Dio — Mt 6,19-23